venerdì 30 dicembre 2011

«Caro 2012, riportami la mia vita». Chiara fa gli auguri a tutti e a se stessa


LIVORNO. Per Chiara Pantani, 30 anni, il Natale non è all'insegna del panettone né dello champagne, non possono esserci panforte e neppure ricciarelli, non esistono tortellini in brodo ma neanche vischio sotto l'abete. Nei giorni scorsi Il Tirreno ha raccontato la storia di questa giovane donna «allergica al mondo», come dice lei, perché colpita dalla MCS, una patologia che crea una ipersensibilità a qualsiasi elemento chimico. Il risultato? Una vita difficilissima cercando di evitare perfino gli odori molesti: da casa sua, nella zona del Cisternone, sente il fumo delle navi da crociera in porto, l'odore delle torrefazioni distanti anche chilometri, i gas di scarico dei motorini...

La lettera di Chiara ai lettori del Tirreno ha dentro tutta l'appassionata voglia di vita di questa ragazza estroversa, brillante e generosa che ha alle spalle anni sui palcoscenici teatrali o come animatrice di bambini. E adesso è costretta a vivere fra le quattro mura della sua camera, cercando di sfuggire al contatto con una interminabile sfilza di materiali che le creano sofferenza fisica evidente. L'"evitamento chimico", come recita il protocollo messo a punto dalla Asl pisana, è il dribbling quotidiano al quale la malattia la costringe.

La missiva si apre salutando con affetto i cronisti che l'hanno incontrata e «tutta la redazione che ha fatto i salti mortali per pubblicare la mia storia». Porta la data del 22 dicembre e ha a che fare con gli auguri di Natale e il sogno di trovare sotto l'albero il regalo della sua vita "normale". In realtà se è arrivata in redazione non è per via delle poste ma del fatto che Chiara ha cercato di scriverla: ma anche il contatto con carta e penna le crea tanti problemi. Ha provato e riprovato per rispondere alla valanga di messaggi che le sono arrivati. Finché è stata costretta a lasciare la penna alla mamma Carla Compiani e a dettarle la lettera.

Ecco la lettera di Chiara

Caro Tirreno, voglio ringraziare le molte persone che stanno scrivendo via e-mail, facebook, chi mi telefona per dimostrarmi solidarietà, le informazioni utili che mi arrivano da altri malati di "MCS" (e sono molti!) o da chi conosce la malattia. Vi chiedo perciò di avere un po' di pazienza e piano piano, con l'aiuto di qualcuno che scriva per me, risponderò a tutti. Mi hanno chiesto chiarimenti su come è iniziata la mia odissea e anche su questa informerò.

Adesso che siamo nel periodo delle feste natalizie, desidero porgere a voi tutti i miei più fervidio auguri ringraziandosi ancora una volta: spero che tutti i desideri di questo mondo siano esauditi. Personalmente desidererei che dal sacco di Babbo Natale o dalla calza della Befana saltasse fuori la "lieta novella", cioè che questa malattia infernale fosse riconosciuta in tutta Italia. Vorrei che medici volenterosi potessero studiare questa "MCS" andando all'estero per approfondire e tornassero in Italia in grado di curare noi malati. Vorrei che negli ospedali italiani (e in quello della nostra città) fossero allestite almeno due stanze adeguate per poterci ospitare in caso di necessità, perché noi non possiamo viaggiare su aerei di linea ma con aerei di Stato adeguatamente decontaminati.

Da Babbo Natale vorrei una lingua sana per poter tornare a bere tranquillamente, gustare un bel piatto di tortellini e una fettina di panettone, fare un gioioso brindisi per Capodanno auspicando pace, salute e lavoro per tutti. Beh, intanto fatelo voi anche per me, Grazie, vi abbraccio idealmente con riconoscenza e affetto.

Chiara Pantani

28 dicembre 2011

FONTE: iltirreno.gelocal.it
http://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2011/12/28/news/caro-2012-riportami-la-mia-vita-chiara-fa-gli-auguri-a-tutti-e-a-se-stessa-5467534


Posto la lettera di Chiara Pantani indirizzata a "Il Tirreno" come ultimo post di quest'anno sul mio blog, e credo che sia una chiusura ideale perchè contiene i suoi Auguri personali di buone Feste rivolti a tutti, auguri che io a mia volta giro a ciascuno augurando a tutti UN MERAVIGLIOSO ANNO NUOVO, ricolmo di serenità, gioia, Amore... e perchè no, anche tante sorprese. Non dimentico naturalmente di augurare a tutti anche la salute, sia quella del corpo che quella dello spirito.

FELICE 2012 A TUTTI !!!

Marco

giovedì 29 dicembre 2011

L'Emilia Romagna conferma l'impegno per la sperimentazione guidata da Zamboni

Il Consiglio regionale si impegna a confermare la copertura economica di 2,5 milioni di euro per avviare la sperimentazione del cosiddetto "metodo Zamboni" sulla Sclerosi Multipla. A darne notizia è l'associazione CCSVI - Sm Onlus


ROMA - Il Consiglio regionale dell'Emilia Romagna ha votato all'unanimità, prima del Natale, un ordine del giorno che "impegna la giunta a confermare la copertura economica" per ‘Brave Dreams' (BD), la sperimentazione guidata da Zamboni, e a farla partire entro tre mesi. A darne l'annuncio è l'Associazione CCSVI - Sm Onlus, che da anni si batte per il riconoscimento della Insufficienza Venosa Cronica Cerebrospinale - la nuova patologia venosa scoperta dal prof. Paolo Zamboni (Università di Ferrara) - e della sua correlazione con la Sclerosi Multipla. Tale sperimentazione, è ricordato nell'odg approvato, si chiama 'Studio della efficacia e della sicurezza del trattamento con angioplastica venosa sui pazienti affetti da sclerosi multipla', ed è un progetto "che sta riscuotendo un crescente interesse da parte delle strutture sanitarie e scientifiche nazionali, europee e mondiali".


Il finanziamento, di 2,5 milioni di euro, spiega l'associazione era il grande scoglio su cui tale sperimentazione si era arenata. "L'unico intoppo possibile dal momento che BD è stato approvato dal Comitato Etico da oltre un anno - aggiunge l'associazione -, e che tutto è da tempo rigorosamente pronto per partire. Adesso, la Regione ER si è impegnata definitivamente, e non potrà più esserci passaggio burocratico od ostacolo di altra natura che tenga". L'Associazione CCSVI - Sm Onlus, inoltre, esprime enorme interesse per il fatto che l'Ospedale di Cona, nel quale si trasferirà tra qualche mese il S. Anna di Ferrara, possa diventare centro di riferimento per tutta Italia per le due patologie: da subito, centro pubblico diagnostico e sede di sperimentazioni terapeutiche, e in un futuro luogo di eccellenza nel quale sia praticata liberamente per CCSVI e SM la terapia individuata da Zamboni e da Fabrizio Salvi (neurologo dell'Ospedale Bellaria di Bologna), ossia l'angioplastica dilatativa (Pta).

"Brave Dreams, Sogni Coraggiosi - spiega l'associazione -, acronimo per Brain Venous Drainage Exploited Against Multiple Sclerosis, significa sfruttare il drenaggio venoso contro la Sclerosi Multipla. Paolo Zamboni ha scoperto la CCSVI e la stretta correlazione tra questa e la Sclerosi Multipla: in pratica, un altissimo numero di malati di SM ha le vene che scaricano il sangue dal sistema nervoso centrale (giugulari e del torace) malformate e/o occluse. Ha scoperto anche che, ‘liberando' le vene malformate e occluse con l'angioplastica, tecnica mininvasiva a bassissimo rischio praticata da oltre vent'anni per disostruire le arterie, i sintomi della Sclerosi Multipla migliorano sensibilmente e la malattia può bloccarsi". Numerosi gli studi su questa tecnica, aggiunge l'associazione, "ma occorre una sperimentazione che risponda a tutti i criteri internazionalmente richiesti perché l'evidenza scientifica di tutto questo diventi inoppugnabile e accettato da tutti. Questa sperimentazione si chiama Brave Dreams, e finalmente partirà".

26 dicembre 2011

FONTE: http://www.superabile.it/web/it/REGIONI/Emilia_Romagna/News/info1713703727.html


Un solo commento: FINALMENTE SI INIZIA.... era ora !

Marco

martedì 27 dicembre 2011

Tutti insieme per aiutare la piccola Noemi a vivere

Noemi Parmigiani è una bimba tarquiniese di 10 anni affetta da una grave e rarissima forma di cancro che non lascia scampo: la D.S.R.C.T., un raro tumore delle cellule.
In Italia non ci sono possibilità di cura per questo tipo di tumore: l'unica speranza viene dagli Stati Uniti, precisamente dal MD Anderson Cancer Center di Houston, dove si adotta un programma terapeutico innovativo ma molto costoso: occorrono infatti ben 380000 euro, cifra che la famiglia di Noemi purtroppo non possiede.
 

La campagna di sensibilizzazione avviata dall’Associazione Semi di Pace (http://www.semidipace.org/) e dal Comune di Tarquinia, denominata “Insieme per Noemi”, è stata sposata in pieno e promossa concretamente dalla Provincia di Viterbo, ma sopratutto è stata immediatamente sostenuta e supportata da tutti: privati, scuole, famiglie, istituzioni, amministrazioni, associazioni, bambini, militari, forze dell’ordine, ospedali, enti, parrocchie e gruppi artistici, attraverso una grande mole di eventi benefici volti al raggiungimento della cifra necessaria a permettere a Noemi di intraprendere le cure che le servono.
Le numerose iniziative di solidarietà che sono state organizzate fino ad ora comprendono raccolte benefiche in vari circoli, cene di beneficenza, gare podistiche, tombole, sfilate di auto, spettacoli e anche l'importante mostra intitolata "Adorazioni artisti uniti per Noemi" (vedi foto sopra), in cui numerosi artisti di Tarquinia, e non solo, hanno messo in vendita le loro opere e il cui ricavato servirà appunto a finanziare le cure di Noemi.

Grazie a questo straordinario coinvolgimento di pubblico e istituzioni, nell'ultimo rendiconto dell'iniziativa "Insieme per Noemi", datato 16 dicembre, sono stati raccolti finora 253.900 euro, una cifra considerevolissima ma purtroppo ancora lontana dal traguardo dei 380 mila euro.

Tutti coloro che vogliono fare del bene e hanno in cuore il desiderio di riuscire a salvare la vita della piccola Noemi contribuendo a raccogliere la somma che le occorre per le sue terapie, possono fare una offerta attraverso l'associazione Semi di Pace Onlus, a queste coordinate:

Conto corrente bancario n° 20180 presso BANCA DELLA TUSCIA CREDITO COOPERATIVO –
Ag. Tarquinia
IBAN IT 10 S 07067 73290 000000020180
BIC/SWIFT TUSCIT31

Conto corrente Postale N. 11149010

CAUSALE: INSIEME PER NOEMI

Intestati a: Associazione Umanitaria Semi di Pace onlus
Via Umberto I, 42 - 01016 Tarquinia VT - C.F. 90030440565


La vita di Noemi, è proprio il caso di dirlo, dipende dalla generosità delle persone, che fino a questo punto hanno risposto in maniera straordinaria, ma il cui obiettivo finale è ancora lontano.

In questo periodo di Natale facciamo un regalo diverso dal solito, apriamo il nostro cuore e offriamo quello che possiamo per la causa di Noemi.... credo che aiutare una bambina a vivere sia il più bel regalo che si possa fare a lei ed anche e a noi stessi.
Un grazie di cuore a chi lo farà.

Marco

FONTI: tusciaweb.eu, newtuscia.it, libero.it, provincia.vt.it, bignotizie.it, semidipace.org

giovedì 22 dicembre 2011

Carla Mari e il trapianto di mani «Abbraccio di nuovo i miei figli»


Monza - Mentre parla gesticola, muove continuamente la mano sinistra, se la porta al mento, nasconde la bocca. Nulla di sorprendente se a parlare non fosse Carla Mari, la prima donna in Italia ad essere stata sottoposta ad un doppio trapianto di mani. La notte che le ha cambiato la vita è stata quella tra l'11 e il 12 ottobre dell'anno scorso, in una sala operatoria del San Gerardo di Monza. Ad operarla c'era Massimo Del Bene, direttore della Chirurgia Plastica e ricostruttiva dell'ospedale monzese che le è accanto anche adesso, mentre racconta i piccoli progressi di questi dodici mesi senza protesi.

«Volevo tornare ad abbracciare i miei figli, adesso riesco anche a dare dei bei pizzicotti. Mi sono emozionata la prima volta che in chiesa ho fatto il gesto della pace, un gesto semplice, ma quando avevo le protesi leggevo molto imbarazzo negli occhi della gente, ora non più». Senza contare che ora riesce a sollevare piccoli pesi, prendere la bottiglia dell'acqua a tavola, afferrare il telecomando, digitare un numero sul telefonino, pettinarsi e lavarsi da sola. I progressi nei movimenti e nella sensibilità delle mani di questa donna della provincia di Varese, costretta a subire l'amputazione di mani e piedi nel 2007 a causa di una grave infezione, sono stati registrati grazie ad una risonanza magnetica funzionale che localizza le varie funzioni del cervello nell'esecuzione di piccoli movimenti o sfiorando le mani con uno spazzolino. «Dalle immagini realizzate a quindici giorni dall'intervento e nei giorni scorsi - ha spiegato ancora il chirurgo Del Bene - possiamo capire che c'è già stato un recupero di oltre il 25% della funzionalità delle mani. La mano destra è più sensibile della sinistra, mentre la sinistra si muove meglio, ma i progressi sono continui».

C'è un altro aspetto positivo di questo trapianto effettuato nella notte tra l'11 e il 12 ottobre dello scorso anno: «Per la prima volta - prosegue Del Bene - abbiamo utilizzato le cellule staminali prelevate dal midollo osseo della paziente per la loro funzione antirigetto. Le abbiamo iniettate nelle ventiquattro ore successive al trapianto e quindici giorni dopo e abbiamo avuto dei risultati sorprendenti: la paziente è l'unica trapiantata al mondo ad utilizzare solo due farmaci immunosoppressori invece di tre e a dosi molto meno elevate. Questo vuol dire che, seguendo questa strada, in futuro le possibilità di trapianto saranno estese a molte più persone che oggi non possono sopportare le cure antirigetto per i loro effetti collaterali». Intanto al San Gerardo c'è già un prossimo candidato per un nuovo trapianto bilaterale: «Stiamo facendo tutti gli esami necessari - conclude Del Bene - ma si tratta di un percorso molto lungo per valutare oltre allo stato di salute anche il quadro psicologico del paziente che deve riuscire ad accettare i nuovi arti come suoi».

di Rosella Redaelli

4 ottobre 2011

FONTE: ilcittadinomb.it


www.ilcittadinomb.it/stories/Cronaca/236995_carla_mari_e_il_trapianto_di_mani_abbraccio_di_nuovo_i_miei_figli/




Bellissima storia quella di Carla Mari e del suo trapianto di mani, che sono lieto di pubblicare su questo blog sotto Natale. Per il S. Natale ci voleva una bella storia e questa la è.
Approfitto di questo post per fare i miei più calorosi AUGURI DI PASSARE UN FELICE S. NATALE A TUTTI, ed in particolar modo a tutti i malati, gli invalidi, i poveri, i soli, gli emarginati, gli anziani, e in generale a tutti coloro che sono nelle difficoltà e nella prova! Che la Pace e la Gioia regnino sempre nei cuori di ciascuno.

Marco

lunedì 19 dicembre 2011

Smog, tre anni di vita in meno per chi vive in pianura Padana

In Europa l'inquinamento uccide 310 mila persone ogni anno (50 mila in Italia). Mosse vincenti: ridurre e rinnovare le auto

Smog killer: che fare? E' confermato. In Europa ogni anno l'inquinamento dell'aria uccide anzitempo 310.000 persone. In Italia circa 50.000. L'ultimo rapporto dell'Agenzia Europea dell'Ambiente di Copenaghen – «Air Quality in Europe 2011» – ribadisce un dato che da qualche anno circola fra gli addetti ai lavori. Detto altrimenti, l'inquinamento atmosferico in Europa porta via in media 9 mesi di speranza di vita, fino ad arrivare a tre anni di vita in meno nelle regioni più esposte, come la Pianura Padana e il Benelux. Così tante morti premature per insufficienza cardiaca, infarti, crisi respiratorie, ma anche tumori, costituiscono ormai un rilevante problema sanitario ma anche economico, visto che hanno un costo di 80 miliardi di euro l'anno. La cifra comprende anche le malattie da smog e le conseguenti ospedalizzazioni e farmaci.

MALANNI DA INQUINAMENTO - Fra i disturbi da inquinamento va annoverata anche l'ipertensione, come ha mostrato uno studio tedesco pubblicato negli scorsi giorni su Environmental Health Perspective. Cinquemila persone sono state seguite nel tempo mettendo in relazione la pressione con il saliscendi delle polveri sottili. Ebbene, lo studio ha osservato che al crescere di ogni 2,5 microgrammi su metro cubo di particolato fine (il micidiale PM 2,5) in media la minima saliva di 1,4 mmHg e la massima di 0,9 mmHg. Maggiore l'aumento dei millimetri di mercurio in chi vive vicino a strade molto trafficate. «La ricerca, eseguita dalle università di Colonia, Essen e Dusserldorf, è un altro tassello a sostegno dell'ipotesi che il particolato ultrafine, penetrando negli alveoli polmonari e da lì passando nel sangue, produca uno stato infiammatorio generalizzato in grado di produrre placche aterosclerotiche» commenta Francesco Forastiere del Dipartimento di epidemiologia della Regione Lazio, forse il più importante studioso italiano di inquinamento dell'aria.

INQUINAMENTO SOPRA I LIMITI - Il rapporto dell'Agenzia Europea dell'Ambiente rileva inoltre che un quinto della popolazione europea vive in zone dove gli inquinanti superano la soglia di legge più volte all'anno. E benché vi siano di anno in anno miglioramenti nelle concentrazioni di polveri di sezione più grande, ossidi di azoto e metalli pesanti, la situazione delle polveri sottili e dell'ozono resta molto critica. E purtroppo sono proprio queste ad essere più cattive.

LA COMPOSIZIONE DELLO SMOG - Che fare, allora? Prima di tutto è importante conoscere la composizione dello smog e la sua provenienza. A giudicare dalla composizione dell'aria lombarda analizzata dal Nono Rapporto del Centro comune di ricerca di Ispra (2011), la metà circa dell'inquinamento da polveri proviene dal traffico stradale, mentre l'altra metà si compone di emissioni industriali e riscaldamento (25%), combustione di legna (13%) ed emissioni dall'agricoltura (12%). A sua volta, dell'inquinamento da traffico, il 30% proviene dai tubi di scappamento e dall'usura di freni e pneumatici, mentre l'altro 20% è la polvere “vecchia” che viene risollevata con il passaggio delle automobili. Quindi – conclude il Rapporto del Centro comune di ricerca di Ispra commissionato dalla Regione Lombardia – per riportare le emissioni sotto controllo non basta passare ai modelli meno inquinanti (le auto euro-5 e i camion euro-6). E' necessario anche ridurre le auto in circolazione. Meno auto, e più pulite.

LE MOSSE VINCENTI - Ecco le due mosse da fare, entrambi assai difficili. Comperare macchine nuove e meno inquinanti risolve metà del puzzle. In parte la sostituzione avviene naturalmente con il passar del tempo. Ma come renderlo più rapido? Ci sono riusciti a Londra e Berlino, ad esempio, imponendo l'accesso facilitato nella Low Emission Zone istituita in queste città alle sole auto a basse emissioni. Le altre pagano salato il privilegio di circolare. Risultato: a Berlino oggi il parco auto circolante è euro-4 al 90%, le polveri nell'area Low Emission si sono quasi dimezzate e gli ossidi di azoto sono scesi del 20%. «Anche le politiche della sosta possono servire a indurre l'acquisto di auto più pulite» spiega Luca Trepiedi, studioso della mobilità dell'Isfort di Roma. In certi borghi londinesi (come a Richmond-Upon-Thames) e in cittadine olandesi si sta diffondendo il parcheggio a pagamento commisurato alle emissioni di CO2 delle auto. L'altro problema italiano è ridurre il numero assoluto di automobili. Seconde solo a Los Angeles, città italiane come Milano e Roma hanno un tasso di motorizzazione che si aggira sulle 6-700 auto ogni mille abitanti. Sarà mai possibile portarle al livello di città come Berlino, Parigi o Londra (circa 3-400 auto ogni mille abitanti)? «Se in città in cui il traffico e la sosta sono malgovernate l'auto si facesse pagare per lo spazio che occupa forse ci potrebbe essere qualche cambiamento positivo» spiega lo studioso di trasporti Andrea Debernardi.

LA POLITICA ITALIANA - Ma a Milano o Roma non è così. L'auto tutto sommato costa poco. Contrariamente a tutte le principali città europee, i residenti non pagano il parcheggio. Inoltre, anziché togliere i posti macchina lungo le strade, questi vengono piuttosto aumentati con la dotazione di parcheggi sotterranei anche nelle zone centrali. Mentre la politica adottata ormai da una decina d'anni dalle altre metropoli europee è quella di ridurre i posti auto. «Con questa politica, per esempio, a Parigi negli ultimi dieci anni 15.000 posti auto lungo le strade sono stati tolti a favore delle 1.451 stazioni Velib (per 20.000 biciclette pubbliche), di spazio per motorini, car-sharing e pedoni» spiegano gli autori dello studio sui parcheggi in Europa pubblicato di recente (“Europe's Parking U-Turn: From Accomodation to Regulation”, ITDP, 2011). «Il risultato di questo giro di vite è una diminuzione del 13% dei chilometri percorsi in auto dai parigini dal 2003 ad oggi». Più ferro, meno gomma.

INTEGRAZIONE AUTO-BICI - Ma come rinunciare alla macchina se i mezzi pubblici nelle città italiane sono cronicamente insufficienti? Altrove si sono mossi per tempo e ora si godono città più pulite e tranquille. «Segnali di vitalità provengono dalle città tedesche e francesi, dove un massiccio programma di investimenti sul trasporto collettivo ha portato alla ricomparsa del tram in centri importanti (come Lione o Nizza) e allo sviluppo di tecnologie innovative, come i progetti di "tram su gomma" e "bus ad alto livello di servizio" che sono in corso in oltre 15 centri» spiega Trepiedi. Anche in Italia si trovano in realtà buoni esempi di integrazione fra bici e mezzi pubblici, come a Bolzano, Trento o Ferrara, per esempio con linee dedicate, servizi bici-bus o treno) riportando in alcune zone il traffico automobilistico a livelli accettabili. Il problema è trasferire queste buone pratiche anche a metropoli più complesse e difficilmente governabili come Roma e Milano.

di Luca Carra

2 dicembre 2011 (modifica il 9 dicembre 2011)

FONTE: corriere.it
http://www.corriere.it/salute/11_dicembre_02/smog-politiche-traffico-carra_f1151ebe-1cc2-11e1-9ee3-e669839fd24d.shtml


Quello dello smog è un argomento che ci coinvolge tutti perchè, chi più chi meno, tutti noi siamo artefici e vittime dello smog. Naturalmente chi vive in città o in zone come la pianura padana è molto più esposto, ma ognuno paga il suo dazio per questo grande "male" del mondo moderno.
Oltre alle politiche che dovrebbero cercare di limitare il più possibile le emissioni inquinanti (assai carenti in Italia, tranne per i continui rincari sul prezzo della benzina), è doveroso che ogni persona faccia la sua parte, perchè lo smog è creato da ciascuno di noi, in misura variabile, ma senza eccezzioni. Cerchiamo quindi di utilizzare il meno possibile le auto (e queste cerchiamo, se possibile, di comprarle a metano o, meglio ancora, elettriche), andiamo a piedi o in bicicletta (grande invenzione questa, non mi stancherò mai di dirlo) ed utilizziamo il più possibile i mezzi pubblici. Ci sono tante piccole e grandi cose che ciascuno di noi può fare per abbattere le emissioni inquinanti e quindi per migliorare le cose.... ebbene, non manchiamo di farle, cerchiamo di creare in noi stessi una mentalità ecologica di maggior rispetto verso l'ambiente dove viviamo. E chi ha maggior rispetto e premura nei confronti dell'ambiente e verso tutto ciò che ci circonda, lo ha anche nei confronti l'uomo.

Marco

sabato 17 dicembre 2011

Segnali d'allarme sulla salute per gli inceneritori

COMUNICATO STAMPA

Sono stati presentati ieri a Bologna i risultati definitivi dello studio Moniter, studio avviato nel 2007 dalla Regione Emilia Romagna per indagare gli effetti sull’ambiente e sulla salute nelle popolazioni residenti in prossimità degli 8 inceneritori presenti sul territorio regionale. Tali risultati, in particolare l’incremento dei linfomi non Hodgkin nella coorte di Modena, appaiono come segnali di allarme circa l’esistenza di ricadute negative per la salute nelle popolazioni esposte alle emissioni di questi impianti ed appaiono coerenti con altre segnalazioni emerse dalla letteratura.

Abbiamo infatti appreso che ai rischi già segnalati di “piccoli per età gestazionale” (ovvero di neonati di di peso inferiore alla nascita di quanto ci si sarebbe aspettato) e di “nascite pretermine
, si aggiunge anche un “andamento crescente della prevalenza di aborti spontanei in relazione ai livelli di esposizione”, un “andamento crescente con l’esposizione a carico della totalità delle malformazioni” .

Inoltre la “mortalità per tumore a fegato e pancreas nei maschi è significativamente associata nel livello di esposizione più elevato” e si registrano inoltre incrementi anche di incidenza per tumore al pancreas nei maschi e, nella coorte di Modena più a lungo indagata, incrementi per tumore al polmone nei maschi, tumore al colon, ovaio ed endometrio nelle femmine e linfomi non Hodgkin in entrambi i sessi.

Segnaliamo che tali rischi, visti i tempi di latenza delle patologie tumorali, potrebbero non essersi ancora manifestati in maniera totale nelle altre coorti che non risultano altrettanto indagate come quella di Modena per quanto attiene l’esposizione temporale.

Inoltre non ci sembra che siano stati indagati effetti a breve termine, in particolare nei bambini, quali i ricoveri per patologie respiratorie e cardiache, indicatori eccellenti di danni immediati alla salute umana e “premonitori” dei danni a più lungo termine.

Ricordiamo che un recente studio condotto a Seoul su 4 inceneritori che rispettano i limiti emissivi ha valutato – per soli 4 inquinanti (PM10, NOx, SO2, CO) – un carico complessivo di morti e malati di ben 297/persone anno!

Se poi si tiene conto che in letteratura gli studi che hanno prodotto i risultati più significativi hanno indagato popolazioni residenti entro 10 km e sono stati condotti su decine di impianti (nel Moniter indagati 8 impianti per un raggio di 4 km ciascuno), le nostre preoccupazioni non possono che aumentare. Spiace inoltre constatare che nello studio Moniter, costato 3 milioni e 400 mila euro e che ha previsto sofisticate indagini ambientali, la ricerca della diossine sia stata fatta nel particolato aereo e non in polli o altri matrici viventi dove effettivamente questi inquinanti si accumulano come esami autonomamente condotti a Forlì hanno evidenziato.

Non può quindi che destare profondo sconcerto la rassicurazione a pieno campo operata dai decisori politici con il comunicato stampa emesso dalla Giunta Regionale che letteralmente recita:
l’indagine epidemiologica condotta nell’ambito di Moniter non mostra un incremento del rischio nè per patologie tumorali, nè per la mortalità in generale. Rimane solo la conferma di un aumento delle nascite pre termine…. Anche questo dato rimane tuttavia entro la media regionale e non è correlato a nessun aumento di rischio per la salute dei neonati”.

A nostro avviso, ma evidentemente anche per il Presidente del Comitato Scientifico che ha invitato a ritirare il comunicato suddetto, i risultati di Moniter sono quanto meno segnali da non sottovalutare, tanto più che viviamo nella Pianura Padana, una delle aree più inquinate del pianeta.

Pertanto, in accordo con i colleghi di Seoul non possiamo che ribadire che:
nessun ulteriore aggravio per la salute umana proveniente dall’incenerimento dei rifiuti può essere considerato accettabile” .

Sezione ISDE Bologna

Sezione ISDE Ferrara

Sezione ISDE Forlì

Sezione ISDE Parma

Sezione ISDE Piacenza


3 dicembre 2011

FONTE: parmadaily.it
http://www.parmadaily.it/Notizie/Dettaglio.aspx?pdi=50062&pda=CTT


Il Comincato Stampa emesso dai medici ISDE (Associazione Medici per l'Ambiente) riferito allo studio Moniter
per indagare gli effetti sull’ambiente e sulla salute nelle popolazioni residenti in prossimità degli 8 inceneritori presenti in Emilia Romagna, deve indurci a riflettere.
In tempi di conclamata crisi e in un mondo sempre più inquinato e le cui risorse, sopratutto petrolifere, non sono eterne, quale può essere il senso di costruire o di tenere in vita gli inceneritori? I loro deleteri effetti sull'ambiente e salute dell'uomo sono evidenziati da un enorme numero di studi, perchè quindi continuare a perseguire questa strada, quando esistono delle alternative? E l'alternativa, l'ho già scritto tante volte, è sopratutto quella di NON PRODURRE RIFIUTI, o di produrne il minor quantitativo possibile, e per quelli che inevitabilmente si fanno, di incentivare al massimo la raccolta differenziata per il loro riciclaggio e quindi riutilizzo. In una parola l'alternativa si chiama Strategia Rifiuti Zero, di cui tanto ho già parlato su questo blog (
http://marco-lavocedellaverita.blogspot.com/2011/11/strategia-rifuti-zero-che-cose.html) e che vorrei venisse adottata in ogni Comune e Provincia d'Italia.

Il mio grande rammarico invece è nel constatare che in certe luoghi si va esattamente nella direzione opposta, e questo è proprio quello che sta accadendo nella mia città, Parma, dove sta sorgendo un enorme inceneritore che potrà bruciare 130mila tonnellate di rifiuti l'anno. Io ripeto e ripeterò questo quesito in eterno... perchè realizzare un nuovo inceneritore, per di più a Parma, la città ribattezzata Food Valley per le sue prelibatezze culinarie, nonchè in Pianura Padana, uno dei luoghi più inquinati del mondo, quando se ne potrebbe fare assolutamente a meno? E SE NE PUO' FARE A MENO, come difatti hanno fatto i vicini di casa di Reggio Emilia che hanno rinunciato all'inceneritore, perchè inquinante, antieconomico e quindi INSENSATO.
Da parte mia spero ancora che questo assurdo progetto, che tanto nuocerà alla città e non solo, possa ancora essere fermato, e se questo non accadrà tutte le persone che lo hanno voluto, l'hanno difeso, l'hanno incentivato, saranno TUTTI quanti responsabili delle sue conseguenze. Che purtroppo inevitabilmente ci saranno (e non saranno certamente buone), come ci sono per qualsiasi altro stabilimento che brucia rifiuti in Italia e nel mondo.

Marco

martedì 13 dicembre 2011

USA: piantagioni zeppe di pesticidi, malformazioni genetiche tra i bimbi dei braccianti


I “bambini di Immokalee” hanno riportato alla nascita gravi malformazioni a causa delle infezioni da pesticidi contratte dalle loro madri durante la raccolta dei pomodori. Barry Eastbrook ci parla del caso che ha scioccato gli Stati Uniti.

Tower Cabins è un campo di lavoro costituito da una trentina di baracche e qualche roulotte in rovina, tenute insieme da un recinto di legno non verniciato a sud di Immokalee, nel cuore delle grandi piantagioni di pomodori della Florida sud-occidentale.

La comunità di poveri braccianti immigrati è desolata nel migliore dei casi, ma poco prima del Natale di qualche anno fa avevano di che rallegrarsi. Tre donne, tutte vicine di casa, stavano per partorire a breve distanza l’una dall’altra, nel giro di sette settimane. Ma nella vita dei raccoglitori di pomodori è sottile il confine tra speranza e tragedia.

Il primo bambino, figlio del 20enne Abraham Candelario e della moglie 19enne Francisca Herrera, arriva il 17 dicembre. Lo chiamano Carlos. Carlitos (come è soprannominato) nasce con una rarissima forma di “sindrome di tetra-amelia”, che gli provoca in breve la perdita sia delle braccia che delle gambe.

Circa sei settimane più tardi, un paio di capanne più in là, Sostenes Maceda dà alla luce Jesus Navarrete. Il bambino soffre della sequenza di Pierre Robin, una disfunzione della mascella inferiore per cui la lingua tende continuamente a riversarsi all’interno della gola, rischiando di farlo morire soffocato. I genitori sono costretti a nutrirlo per mezzo di un tubo di plastica.

Due giorni dopo la nascita di Jesus, Maria Meza mette al mondo Jorge. Ha un orecchio solo, niente naso, una palatoschisi, un unico rene, niente ano e nessun organo sessuale visibile. Solo dopo un esame dettagliato di quasi due ore, i dottori riescono a stabilire che Jorge è in effetti una femmina. I genitori le cambiano il nome in Violeta. Ma le malformazioni congenite sono così gravi che sopravvive soltanto tre giorni.
Oltre al fatto di vivere nel raggio di cento metri l’una dall’altra, Herrera, Maceda, e Meza hanno un’altra cosa in comune. Lavorano tutte per la stessa compagnia, l’Ag-Mart Produce, e nello stesso sconfinato campo di pomodori. I consumatori conoscono Ag-Mart soprattutto per i suoi pomodori commercializzati con il nome Ugly-Ripe e i grappoli di Santa Sweets venduti in contenitori di plastica a forma di conchiglia, abbelliti con tre sorridenti e danzanti pupazzi-pomodoro di nome Tom, Matt e Otto. “I bambini amano fare merenda con le nostre sorprese”, dice lo slogan della compagnia.
Dalle file di pomodori dove lavoravano le tre donne durante i mesi di gravidanza, non si godeva di una visione così confortevole. Un cartello all’entrata avvertiva che la piantagione era stata trattata durante la stagione della semina con almeno trentun tipi diversi di composti chimici, molti dei quali erano indicati come “altamente tossici” e almeno tre l’erbicida Metribuzin, il fungicida Mancozeb e l’insetticida Avermectin sono noti per i loro effetti nocivi “per lo sviluppo e la riproduzione”, secondo il Pestice Action Network. Sono teratogeni, ossia possono provocare malformazioni alla nascita.
Violazioni della sicurezza

Per l’utilizzo agricolo di questi veleni negli Stati Uniti, l’Environmental Protection Agency impone “intervalli d’accesso ristretto” (REI nel gergo dell’agricoltura chimica) tra il momento in cui i pesticidi vengono applicati e quello in cui è consentito ai lavoratori di accedere alla piantagione. In tutti e tre i casi, le donne hanno dichiarato di aver ricevuto ordine a procedere al raccolto in violazione della normativa REI.

Mentre lavoravamo alla piantagione, sentivamo distintamente l’odore degli agenti chimici”, ha raccontato Herrera, madre di Carlitos. Accertamenti successivi hanno dimostrato che Herrera lavorò in campi trattati di fresco con il mancozeb dai ventiquattro ai trentasei giorni dopo la concezione, la fase in cui il feto inizia a svilupparsi fisicamente e neurologiamente.

Meza ricorda: “Mi è successo diverse volte al lavoro di respirare l’agente chimico una volta che si era seccato e polverizzato.” Nonostante la normativa imponga a chi maneggia simili pesticidi l’utilizzo di maschere protettive, guanti appositi, grembiuli di gomma e respiratori al vapore, le tre donne hanno dichiarato di non esser state avvertite dei rischi dell’esposizione agli agenti chimici. Non indossavano equipaggiamenti protettivi, a parte le bandane con cui si coprivano (inutilmente) la bocca per cercare di evitare l’inalazione.

Herrera ha inoltre raccontato di essersi sentita male durante tutto il periodo in cui lavorò alla piantagione, di esser stata soggetta a attacchi di nausea, vomito, vertigini e a svenimenti. Occhi e naso le bruciavano per l’irritazione. Aveva sviluppato anche eruzioni cutanee e ferite aperte.

Mollare il lavoro non era possibile. Herrera ricorda che il suo capo, un sub-appaltatore di Ag-Mart, le disse che se si fosse ritirata sarebbe stata cacciata a pedate dall’alloggio fornitole presso la piantagione. Ironia della sorte, l’imminente arrivo del primo figlio rendeva ancor più indispensabile per lei e il marito un tetto sopra la testa. Lavorò alla piantagione a partire dal concepimento fino al settimo mese di gravidanza, una manciata di settimane prima dell’arrivo prematuro di Carlitos. E anche dopo aver lasciato la piantagione, continuò a lavare a mano gli abiti contaminati di suo marito e del fratello, Epifanio.

La malformazione alla mascella di Jesus si dimostrò meno pericolosa di quanto era sembrato all’inizio, e i dottori dissero alla madre che le condizioni del bambino sarebbero probabilmente migliorate con la crescita.
I genitori di Violeta dovettero piangere la morte della bambina. Ma dopo la nascita di Carlitos, i problemi di Herrera e Candelario non fecero che aumentare. Si avvicinava la fine della stagione del raccolto invernale in Florida, e la famiglia sarebbe dovuto emigrare a nord per trovare lavoro. Ma Carlitos necessitava di cure mediche costanti che gli venivano fornite per mezzo di un’agenzia locale, la Children’s Medical Services della contea di Lee. Pur essendo cittadino americano per nascita, i suoi genitori erano messicani e privi di documenti. L’espulsione dal Paese era un rischio reale.

Le cose peggiorarono ulteriormente quando a tre mesi di età il bambino sviluppò problemi respiratori. Periodicamente doveva essere trasportato in aereo da Immokalee al Miami Children’s Hospital. Privi di automobile, Herrera e Candelario dovettero farsi accompagnare dagli operatori sociali da un capo all’altro dello Stato, in viaggi che potevano durare anche cinque ore e che erano possibili solo nei giorni in cui Candelario non veniva chiamato alla piantagione, dove era ancora costretto a lavorare per pagarsi l’affitto.

Assistenza giuridica

Uno degli operatori sociali giunto in aiuto dei genitori di Carlitos si rese conto delle insostenibili difficoltà che la famiglia stava affrontando. In cerca di assistenza legale, contattò un avvocato del posto e questi gli confidò che il caso era talmente complesso che avrebbe sarebbe stato un rompicapo per chiunque. Ma l’operatore aveva comunque un collega specializzato in lesioni personali, affidabilità dei prodotti e in cause per illeciti sanitari.

Alzò la cornetta del telefono e digitò il numero di Andrew Yaffa, partner della Grossman Roth, con uffici a Miami, Fort Lauderdale, Boca Raton, Sarasota e Key West. Senza saperlo, Abraham Candelario, Francisca Herrera e Carlitos stavano per andare incontro a una prima cesura della lunga catena di sventure che avevano segnato sinora la loro esistenza. Chiunque sia stato coinvolto in incidenti d’auto, infortuni sul lavoro o danneggiato da un medico negligente non può fare scelta migliore che affidarsi alle cure di Andrew Yaffa.

Quando lo incontrai, capii subito perché Yaffa è arrivato a essere un avvocato di grido. Il giorno del nostro appuntamento, era indaffarato fuori dalla sala di rappresentanza della sede della sua azienda a Boca Raton. “Vivo come fosse una scatola di Federal Express,” mi disse, “ho pratiche da sbrigare in tutti gli uffici della ditta.” Quel pomeriggio si era impossessato del tavolo dell’aula solitamente adibita alle conferenze. Faldoni e raccoglitori sparpagliati ovunque. Il computer portatile aperto. Un suo costoso cappotto buttato sullo schienale di una sedia e la cravatta sciolta. Ogni due minuti sul tavolo suonava un cellulare a cui lui dava un’occhiata veloce per poi rimetterlo a posto senza perdersi un solo squillo.

All’epoca della nascita di Carlitos nel 2004, Yaffa aveva poco più di quarant’anni ed era già uno degli avvocati più quotati di tutto lo Stato. Si era aggiudicato sentenze da milioni e milioni di dollari in processi sostenuti di fronte ad alcuni fra i giudici più esigenti della Florida. Uno dei suoi avversari me lo descrisse in una e-mail come “un grande avvocato […] una persona di solidi principi […] integra […] associato di uno studio prestigioso […] creativo […] innovativo […] brillante […] eticamente ineccepibile.

Yaffa è di statura alta e ha un aspetto fotogenico che lo renderebbe perfetto per la parte da protagonista se qualcuno decidesse di girare una versione cinematografica delle sue crociate forensi. I suoi capelli corti, scuri, sono pettinati all’indietro e laccati a puntino. Il suo bell’aspetto è temperato da una franchezza tipica del Midwest. (In realtà è nativo della Virginia)
Yaffa stabilì con me una confidenza immediata, parlando con voce calma e tono costante. Quando gli chiesi perché avesse accettato un caso così complicato come quello di Carlitos, mi lanciò un’occhiata come a un teste poco collaborativo e disse: “Con questo mestiere ne vedo di tutti i colori. Ma quando vedo un bambino o una famiglia che hanno subito un torto e sono in pericolo, non ho bisogno di molte altre motivazioni.

In principio, Yaffa aveva stentato a credere al racconto fattogli dal collega. Doveva vedere coi propri occhi e parlare con i genitori del bambino. Erano persone credibili? Una giuria avrebbe potuto fidarsi di loro? Avevano proprio bisogno del suo aiuto? Lasciato in garage il suo abituale mezzo di trasporto – una BMW nuova di zecca – per evitare di attirare l’attenzione, salì su un vecchio Chevy Suburban riservato alle uscite di pesca nei fine settimana e ai viaggi al mare con la famiglia, si allontanò dal suo ufficio di Miami, attraversò per chilometri le praterie disabitate degli Everglades fino alla cadente capanna a due stanze che i genitori di Carlitos dividevano, assieme al loro povero figlio, con altri sette lavoratori immigrati.
Quando Yaffa bussò alla porta, si ritrovò davanti Herrera. Fu colpito dal fatto che quella minuta donna, dalla faccia tonda, era poco più che una bambina. Tutti gli altri inquilini della baracca erano fuori, a lavorare alla piantagione. Carlitos fu piazzato in un seggiolino per bambini. Brandelli di carne secca pendevano da un filo tirato da una parte all’altra del salotto e l’aria umida aveva un odore fetido e pungente. Le mosche erano ovunque. Quanto Carlitos iniziò a fare chiasso, Herrera lo prese (aveva appena sei mesi) e lo mise sul pavimento. Un cucciolo di cane che gli inquilini della baracca avevano adottato si mise ad abbaiare in giro, e il bambino lo osservava sorridente.

“Né braccia né gambe”

Il cucciolo guaiva, saltellava, e cominciò a mordicchiare Carlitos. Il bambino iniziò a gridare: non aveva possibilità di scacciare una mosca o di allontanare un cagnolino, andava incontro a una vita piena di bisogni. “I pesticidi si erano insinuati dentro di lei colpendo quel bambino e guarda un po’, nasce senza braccia né gambe”, mi disse Yaffa.
Parlando in spagnolo, l’avvocato tentò di cavare qualcosa da Herrera, che a sua volta lo parlava assai poco. Come per molti braccianti immigrati, la sua prima lingua e quella con cui si sentiva più a suo agio era un dialetto dei nativi indiani. Yaffa spiegò di essere stato contattato da un operatore sociale e di essere lì con un solo scopo: aiutarla. Le disse che il processo non sarebbe pesato sulle sue spalle. Come d’abitudine per gli avvocati nel suo campo, si sarebbe fatto carico lui di tutte le spese processuali e, come retribuzione, avrebbe avuto una percentuale dell’eventuale risarcimento.

Quando Herrera finalmente fece con la testa un cenno d’assenso, Yaffa promise che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarla. Ma si trattava di un rompicapo persino per un avvocato di successo e d’esperienza come lui. Per via delle quasi infinite variabili – ereditarietà, esposizione ad agenti chimici su altri luoghi di lavoro, possibili abusi di fumo o di droga, fattori ambientali – dimostrare le connessioni tra esposizione a pesticidi e malformazioni fetali è notoriamente un’impresa ardua.

Anziché adottare l’approccio convenzionale e cercare di identificare i veleni all’origine del danno, per citare la compagnia che lo aveva prodotto Yaffa decise di fare qualcosa che non aveva mai fatto. Avrebbe provato a ottenere un rimborso dalla fattoria dove Herrera lavorava. In sostanza, avrebbe chiamato in causa l’intero sistema di coltivazione moderno e la filosofia dei pesticidi su cui è basato.

ARTICOLO ORIGINALE: BARRY ESTABROOK, The Ecologist, Chemical warfare: the horrific birth defects linked to tomato pesticides
(tratto da: comedonchisciotte)

FONTE: 9online.it
http://www.9online.it/blog_emergenzarifiuti/2011/11/28/usa-piantagioni-zeppe-di-pesticidi-malformazioni-genetiche-tra-i-bimbi-dei-braccianti/


Questo articolo si commenta da solo. Le storie dei piccoli Carlos, Jesus Navarrete e Violeta, tutti e tre affetti da gravi malformazioni, descrive in maniera eloquente quelli che sono gli effetti gravosi dell'uso e abuso di pesticidi sulla salute dell'uomo, in particolar modo quella dei bambini. Non c'è molto da aggiungere purtroppo, tranne il constatare, (come sempre) come per trarre il massimo profitto possibile dai propri interessi, si passa sopra a tutto, compresa la vita stessa dell'uomo, sia nei confronti di chi lavora, come nel caso dei genitori dei 3 bambini malformi, costretti a lavorare in colture irrorate da ogni sorta di "schifezza" chimica senza alcun tipo di protezione, e le cui conseguenze si sono subito evidenziate sia su di loro, che ancor di più nei loro figli, sia nei confronti di coloro che consumeranno i prodotti di queste colture, con tutto il loro carico di "tossico" annesso.
Quanta amarezza in tutto questo, quanta mancanza di umanità, di buon senso... di tutto! Perchè non ci sono più controlli? Perchè l'uomo non ha maggior rispetto di sè stesso e dei propri simili? Ma tutto si paga, come si può ben vedere, gli errori e gli abusi si pagano sempre, solo che su questa Terra a pagare sono quasi sempre gli stessi e cioè gli innocenti!

Marco

Studio scandinavo: Scoperti nuovi legami tra lavoro e tumori

Uno studio scandinavo indipendente esamina milioni di casi e svela inedite associazioni tra alcuni tipi di cancro non comuni e mansioni particolari. Le donne le più colpite dalle malattie professionali

Di Diego Alhaique

Il movimento sindacale ha sempre sostenuto che il numero di tumori professionali viene sistematicamente sottovalutato negli studi sulla materia. I modelli di esposizione utilizzati, la predominanza delle ricerche finanziate e controllate dall’industria e le omissioni sistematiche nel valutare i rischi per le donne, per i lavoratori temporanei e altri gruppi potenzialmente ad alto rischio, sopprimono cifre e ostacolano gli sforzi per una prevenzione efficace.

Se a questo si aggiunge il disinteresse e spesso l’ignoranza dei medici delle strutture sanitarie di ricovero e cura, che non esaminano la storia lavorativa del paziente affetto da tumore, si capisce perché in Italia il numero delle denunce all’Inail per patologie neoplastiche professionali è sempre molto basso (nel 2010 circa 1.300 casi) rispetto alle stime epidemiologiche attese, visto che queste ultime indicano una quota tra il 4 il 10 per cento di cause dovute a esposizioni lavorative tra tutte le morti per cancro che si verificano ogni anno (nel nostro paese circa 125.000).

A volte, però, è sufficiente uno studio approfondito e indipendente per venire a conoscenza di diversi tipi di cancro non normalmente associati con il lavoro.

Ci riferiamo al "Progetto nordico di analisi del cancro professionale", pubblicato in Acta Oncologica (vol. 48, n. 5: 646-790), che ha esaminato 2,8 milioni di casi tra 15 milioni di persone d’età compresa tra i 30 e i 64 anni, in Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia. Le grandi dimensioni del campione hanno permesso di studiare rari tumori e di identificare anche i piccoli rischi per professione e per specifiche esposizioni professionali. Le informazioni sul lavoro sono state ottenute dai censimenti nazionali per oltre quattro decenni, dagli anni sessanta ai novanta.

Gli autori affermano che il gran numero di tumori disponibili per l’analisi ha fornito l’opportunità di valutare possibili associazioni tra tumori rari e professioni e si è scoperto che molte di queste riguardano donne. In un commento di accompagnamento allo studio, Aaron Blair, dell’Istituto nazionale Usa per il cancro, dice: "Sono state osservate un certo numero di associazioni attese. Per esempio, mesotelioma tra gli idraulici, i marinai e i meccanici esposti all’amianto, cancro del labbro tra i pescatori, i giardinieri e gli agricoltori impiegati in lavori all’aperto, cancro nasale tra falegnami e del polmone tra i minatori esposti al radon e alla silice".

Ma l’autentico valore dello studio, ha aggiunto Blair, è nelle nuove associazioni che esso ha dissotterrato. "Trovare associazioni conosciute è rassicurante, ma scoprire nuovi indizi per le indagini future è l’obiettivo principale di un progetto come questo", ha osservato.

"Alcuni dei risultati interessanti che meritano ulteriore attenzione sono il cancro della lingua e della vagina tra le lavoratrici nel settore chimico, melanoma e tumori della pelle, cancro della mammellasia per uomini che per donnee carcinoma ovarico tra gli stampatori, cancro delle tube di falloppio tra le addette all’imballaggio e le parrucchiere, cancro del pene tra i conducenti e cancro alla tiroide tra le lavoratrici dell’agricoltura".

L’importanza dello studio è quindi evidente. Si tratta di una risorsa preziosa per comprendere il ruolo delle esposizioni lavorative nel causare il cancro, per fare prevenzione e indennizzare le vittime. È lecito attendersi una reazione in Italia? La risposta è negativa, purtroppo. Lo strumento ci sarebbe, è il registro nazionale dei casi di neoplasia di sospetta origine professionale, già previsto per legge da molti anni, ma ancora nel limbo dei provvedimenti attuativi.

16 settembre 2011

FONTE: sirsrer.it
http://www.sirsrer.it/modules.php?name=News&file=article&sid=1624

domenica 11 dicembre 2011

Trovata la proteina che causa le metastasi

Si chiama periostina e un anticorpo potrebbe "spegnerla" affinchè il tumore non si sviluppi altrove

di Valentina Arcovio



C’è una proteina che è indispensabile per la diffusione di un tumore nel corpo. Senza di questa i malati non avrebbero il rischio di sviluppare metastasi letali. Si tratta della periostina che ha il compito di preparare il terreno alla diffusione dei tumori secondari. A isolarla è stato un gruppo di ricercatori dell’Istituto svizzero per la ricerca sperimentale sul cancro (Isrec) in uno studio pubblicato sulla rivista Nature. Gli stessi studiosi sono poi riusciti a creare un anticorpo per topolini che “spegne” la proteina rendendo impossibile per il cancro diffondersi in altri luoghi.

Le metastasi sono spesso la causa principale dell’insorgenza di complicazioni o di morte per cancro. Da anni vengono studiate, ma solo i ricercatori svizzeri hanno il merito di averle osservate molto da vicino, tralasciando invece il tumore primario da cui hanno avuto origine.

Il lavoro non è stato semplice. Infatti, non tutte le cellule tumorali possono diffondersi nel corpo e non sempre quindi danno luogo a metastasi. Sappiamo infatti da tempo che non tutte le cellule tumorali sono uguali e solo quelle conosciute co per il loro sviluppo. Ma l’ambiente ideale da solo non basta ed è qui che entra in gioco la periostina. Solo in presenza di questa proteina è possibile per le cellule staminali del cancro sviluppare le metastasi.

Senza questa proteina
, ha sottolineato Joerg Huelsken, scienziato che ha coordinato lo studio, la cellula staminale del cancro non può dar luogo a metastasi; invece essa scompare e rimane dormiente”.

La periostina esiste naturalmente come parte della matrice extracellulare e ha dimostrato di svolgere un ruolo chiave nello sviluppo fetale. Negli adulti, è attiva solo in organi specifici, come nelle ghiandole mammarie, nelle ossa, nella pelle e nell'intestino. Poi si rivela fondamentale per il tumore. I ricercatori svizzeri hanno infatti osservato che nei topolini che non hanno la periostina i tumori non sono riusciti a diffondersi.

Abbiamo sviluppato
, ha detto Huelsken, un anticorpo che aderisce a questa proteina, rendendola inattiva, e speriamo in questo modo di essere in grado di bloccare il processo di formazione delle metastasi”.

Nel corso degli esperimenti, in cui è stata la periostina è stata bloccata, si sono registrati pochissimi effetti collaterali nei topi. “Questo non significa necessariamente che sarà lo stesso per gli esseri umani”, ha precisato il ricercatore svizzero. “Non siamo nemmeno sicuri se saremo in grado di trovare un anticorpo equivalente che funzionerà sugli esseri umani”, ha aggiunto.

Certo è che questa scoperta potrebbe rappresentare, in futuro, un’importantissima opzione terapeutica che potrebbe limitare una volta per tutte gli effetti devastanti di un tumore.

8 dicembre 2011

FONTE: daily.wired.it
http://daily.wired.it/news/scienza/2011/12/08/periostina-proteina-causa-metastasi-tumori-09877.html

venerdì 9 dicembre 2011

"Io, allergica al mondo, vivo in una camera"


Chiara, 30 anni, da anni deve evitare ogni contatto con sostanze chimiche. Un calvario fra ospedali, il sistema sanitario non riconosce la sua malattia rara. «Ridatemi la mia vita», dice.

LIVORNO. «Chiara sembra un batuffolo ma è sempre stata un ciclone di vitalità. Eccome se me la ricordo quando facevamo le recite sulla terrazzona in cima al nostro palazzo, da dove con gli occhi si abbraccia tutta la nostra Livorno dalla Valle Benedetta alle gru Paceco: settimane per inventarci gli abiti, i personaggi e un’idea sulla quale andare a soggetto improvvisando». Carla Compiani ha il cuore di una mamma che vede il suo scricciolo in una stanzetta quattro metri per quattro con la mascherina al naso a caccia di un po’ di tregua fra una crisi e l’altra. L’ha imparato sulla propria pelle cos’è la “MCS”, questa maledetta iper-sensibilità chimica multipla che crocifigge sua figlia Chiara da quattro anni. Duecento settimane, millecinquecento giorni, un fantastiliardo di ore...

L’ha imparato ma lei e suo marito, che conoscono una per una tutte le tappe di questo calvario, non vogliono essere fra quelli che imbullettano Chiara alla propria croce. C’è da combattere per lei la battaglia perché il sistema sanitario nazionale riconosca finalmente come malato chi deve fare i conti con l’apocalisse che la MCS crea nella sua vita.

«Invece mi risulta che per ora solo Lazio e Abruzzo, in parte la Sicilia, l’abbiano inserita fra le patologie», dice il padre Vitaliano Pantani, in pensione dopo una vita in porto. «Eppure negli Stati Uniti la studiano dagli anni Cinquanta, quando fra gli operai che lavoravano alla verniciatura delle navi militari si manifestarono tanti sintomi strani che poi vennero diagnosticati come reazione “allergica” a taluni componenti chimici.
Qui in Italia si conta non più di qualche migliaio di casi ma è solo perché è difficile diagnosticarla». Eppure risale addirittura al ’95 il film statunitense “Safe” presentato al festival di Cannes: l’ha firmato Todd Haynes con Julianne Moore nei panni di una donna che si vede l’esistenza sconvolta dall’“allergia al ventesimo secolo”.

«Ce ne hanno dette di tutti i colori», sussurra la mamma. «Spesso dando la colpa a qualcosa di psicosomatico: come se l’iper-sensibilità stesse nel cervello invece che nel sistema immunitario, e questo è un iter che attraversano tutti i malati di MCS. E’ bastato poi che una volta accennassi a Chiara come alla “ bimba” ed ecco che quei professoroni pensavano di aver visto tutto il film: ci rimproverarono di considerarla ancora una bambina anche se ha più di trent’anni, inutile aggiungere che ci dissero che eravamo troppo possessivi e via psicologizzando. Vàglielo a spiegare che a noi genitori livornesi viene naturale dire la “mì bimba” anche se di anni la figlia ne ha sessanta. Altro che origine psicosomatica: magari fosse quello il problema, dico io».

Il guaio è che neanche i medici di base conoscono questa malattia, e talvolta neppure gli specialisti: Chiara non è un premio Nobel della medicina eppure la diagnosi di quel che sta accadendo al suo corpo martoriato l’ha azzeccata prima dei tanti professoroni che ha incrociato. «Nella primavera di due anni fa, quando poteva ancora usare il computer - raccontano i genitori - scoprì sul sito di “Amica” che i suoi disturbi avevano un nome. Anzi, una sigla: MCS. Abbiamo preso contatto col prof. Genovesi a Roma».

Nei ricordi di mamma e babbo Pantani quella giornata è scolpita: «E’ stata l’ultima volta che Chiara, benché fra mille difficoltà, ha mangiato come tutti, con la sua bocca: ravioli al burro e salvia più macedonia con gelato». Proprio la bocca si rivelerà forse la parte più vulnerabile del corpo di Chiara. A partire soprattutto dal giorno in cui sente che d’improvviso l’arsura diventa un rogo dentro di lei: «Prendeva fuoco la bocca, la gola, l’esofago, lo stomaco. Tutto». «Se manca la consapevolezza nella classe medica, è difficile prima di tutto arrivare a scoprire che sei malato di MCS», aggiunge la madre.

«Ci abbiamo messo tanto di quel tempo: ce ne dicevano di tutti i colori. Mi sforzo anche di comprendere chi ha sbagliato: questa patologia è un fantasma. Ma a chi vuole che interessi? Sotto questa sigla MCS c’è una infinità di tipologie che cambiano da individuo a individuo. Non bastasse, è una malattia che, reagendo malissimo a qualsiasi contatto chimico, ovviamente non può essere curata con un bombardamento di medicinali: insomma, non esiste nemmeno per le case farmaceutiche, dunque nemmeno per la ricerca su nuove medicine. Non interessa a nessuna lobby, non ci si può lucrare sopra: dunque esiste solo per chi ce l’ha. E per chi gli sta accanto».

«Il paradosso - sorride amara Laura Compiani - è che non esiste neppure per le ambulanze né per gli ospedali: so che a Pisa avevano fatto un protocollo ma poi...»
Per intenderci: all’inizio, come da copione, nelle normali corsie c’era da difendersi non solo dall’esercito di virus, odori e materiali di origine chimica che girano in qualsiasi ospedale. «C’era da difendersi anche dalle abitudini standard: come quella di darti da mangiare la braciolina di carne anche se ce la fai a malapena a deglutire». Resta l’interrogativo del babbo: «Possibile che il sistema sanitario non riesca a darsi una metodologia per rapportarsi alle esigenze dei malati di MCS?».

Il mancato riconoscimento da parte del servizio sanitario significa anche qualcos’altro: ogni cura, ogni intervento, ogni tutto cade sulle spalle della famiglia. Anzi, sul portafoglio: finché ce la fa, si arrangia e poi stop («queste mascherine fatte arrivare dall’America costano 395 dollari»). Tante storie familiari che si assomigliano un po’ tutte: ci si divora i risparmi, poi si venderà la casa, poi ci si rimetterà alla solidarietà dei concittadini... Adesso, Chiara dovrebbe volare in Inghilterra: c’è una clinica privata, «unica in Europa», che ha spazi “a misura di malato di MCS” e ha una terapia particolare che riesce a depurare dall’organismo le tossine che da solo non può smaltire perché quel meccanismo fisiologico è andato in cortocircuito. «Prima del ricovero - racconta mamma Carla - viene fatta una intervista telefonica al paziente per avere una prima idea del tipo di terapia specifica e della durata del ricovero: di solito si tratta di 15-30 giorni; ci è stato detto che per Chiara saranno indispensabili almeno due mesi».

Le servirà per portare un po’ indietro l’orologio della malattia, per disintossicare il corpo che in questi anni è come se avesse accumulato veleno su veleno. Per dirne una: sarà un problema depurare la bocca dal mercurio contenuto nell’amalgama che i dentisti usavano anni fa per le otturazioni («la lingua crea grossi problemi, è “corrosa” e allergica a qualsiasi contatto»). E’ un po’ la malattia-simbolo dei nostri anni: l’industrializzazione dei prodotti, a cominciare dai cibi, moltiplica all’inverosimile i composti chimici con cui ciascuno entra in contatto. E se c’è chi non regge l’urto, ecco che salta fuori l’iper-sensibilità chimica multipla (MCS): salvo poi dare la colpa all’individuo, alla sua fragilità psicologica, così da cancellare le “impronte digitali”, anzi il delitto stesso. Il problema non è il mondo inquinato ma sei tu, il tuo corpo che deve smetterla di rinfacciargli di essere “ sporco”.

di Mauro Zucchelli, con la collaborazione di Fabio Giorgi

8 dicembre 2011

FONTE: iltirreno.gelocal.it
http://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2011/12/08/news/io-allergica-al-mondo-vivo-in-una-camera-5389503

giovedì 8 dicembre 2011

La coscienza è sempre più visibile

Come si fa a sapere se una persona è cosciente? Questa domanda, dal sapore così squisitamente filosofico, è al centro di una delle condizioni più misteriose e discusse del cervello umano: lo stato vegetativo. Questo termine descrive una rara condizione in cui pazienti che emergono dal coma entrano in uno stato di veglia non cosciente. Senza una vera comprensione di cosa sia la coscienza nel cervello, però, è difficile stabilirne con certezza la presenza. Così, a oggi, un paziente è considerato cosciente se riesce a produrre comportamenti volontari, come seguire una penna con gli occhi o muovere una mano a seguito di un comando. Se invece un paziente riesce a mostrare solamente comportamenti riflessivi è considerato in stato vegetativo.
Questo approccio si scontra con i casi di cerebrolesioni che possono impedire a pazienti coscienti di produrre comportamenti volontari, rendendoli di fatto impossibile da distinguere da pazienti in stato vegetativo.
In uno studio, pubblicato sulla rivista medica «The Lancet» di questo mese, un gruppo della University of Western Ontario, in Canada, ha mostrato che è possibile vedere tracce di comportamento volontario nel cervello di pazienti considerati – a torto – in stato vegetativo proprio perché non riuscivano a produrre comportamenti volontari. «È incredibile – dice il professor Owen –. in alcuni casi pazienti che sembravano non rispondere a stimoli esterni erano in grado di segnalare che erano coscienti producendo volontariamente attivazioni cerebrali». Un risultato simile era già stato pubblicato nel 2010 utilizzando la risonanza magnetica funzionale, una tecnologia però complessa, costosa, ingombrante e non sempre disponibile. L'aspetto rivoluzionario di questa nuova ricerca è che utilizza l'elettroencefalogramma, cioè un piccolo apparecchio dotato di elettrodi che registrano microscopici campi elettrici prodotti dalle cellule cerebrali. Una tecnologia pertanto più economica, portabile e accessibile. Questo significa che adesso è possibile andare dai pazienti direttamente nelle loro case o negli istituti specializzati dove la risonanza non è disponibile e offrire diagnosi più accurate.
Cosa sia la coscienza nel cervello umano resta uno dei terreni più insondabili della ricerca scientifica, ma siamo un passo più vicini a riuscire a vedere le tracce della sua presenza, e a sciogliere i misteri dello stato vegetativo.

di Martin Monti

13 novembre 2011

FONTE: ilsole24ore.com
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-11-13/coscienza-sempre-visibile-081441.shtml?uuid=Aatvf6KE

mercoledì 7 dicembre 2011

Manovra, famiglie dei disabili gravi: "Pronti a incatenarci"

ROMA – Un impegno "h 24", che non finisce mai, con l'ansia di farcela a resistere nonostante il logoramento, perche' non si sa cosa puo' succedere ai propri cari se si soccombe: e' un incubo la vita quotidiana dei genitori di disabili gravissimi. Che aspettano da 17 anni una legge che gli conceda il pensionamento anticipato, e invece ora, con le nuove misure decise dal governo, vedono allontanarsi sempre piu' il momento in cui, smesso di lavorare, potranno dedicarsi alla cura dei familiari con piu' serenita'.

Simona Bellini e' la presidente del Coordinamento famiglie disabili gravi e gravissimi, che raccoglie piu' di 3.500 famiglie. Vive e lavora a Roma, ha un compagno disabile non grave e una figlia di 23 anni, ultima di quattro, colpita da cerebrolesione congenita e sindrome di Angelman. La ragazza e' incapace di fare qualsiasi cosa, ha un ritardo cognitivo, soffre di epilessia e non controlla le sue funzioni corporali. Non parla e non riesce quindi a comunicare le sue esigenze, se la madre non si ricorda di darle da bere rischia di morire disidratata.

"Il nostro enorme problema – spiega Simona all'ANSA – e' che la disabilita' gravissima non la conosce nessuno. Parliamo di soggetti che non sono in grado fare niente di cio' che gli serve per sopravvivere, hanno bisogno di un assistente 24 ore al giorno per 365 giorni l'anno. Ed e' quasi sempre un familiare, nel 95% dei casi un genitore".

"Quando e' stato formato il governo tecnico e si e' cominciato a parlare di riforma previdenziale, abbiamo pensato fosse il momento giusto per trovare finalmente una risposta al problema di chi assiste i disabili gravissimi. La legge sul prepensionamento di questa categoria e' il provvedimento con la piu' lunga gestazione della nostra Repubblica: sono 17 anni che l'aspettiamo. L'allora ministro della salute Livia Turco, nel 1997, parlo' di 'diritto sacrosanto'; ora siamo nel 2011".

Anche a livello europeo, spiega Bellini, mancano linee guida sulla disabilita' gravissima, e ogni Stato si regola a modo suo. "In Francia, ad esempio – racconta – chi lascia il lavoro per assistere un disabile gravissimo riceve uno stipendio di 1.600 euro se lo lascia del tutto e 800 se lo lascia part-time, e conserva il posto di lavoro. Questo e' welfare!".

"Da noi, invece – continua – il governo chiede ora ulteriori sacrifici sulle pensioni. Ma lo sanno che la ricerca con la quale Elizabeth Blackburn ha vinto il premio Nobel per la medicina nel 2009 ha dimostrato che le aspettative di vita di un genitore che assiste un figlio disabile cronico sono ridotte di 9-17 anni?".

"Di questo volevamo parlare con il ministro del welfare, Elsa Fornero. Le abbiamo anche mandato una lettera – continua Simona Bellini – ma per tutta risposta ci hanno mandati da un ufficio all'altro. Oggi abbiamo minacciato di incatenarci davanti al Ministero e abbiamo ottenuto un nome; abbiamo contattato questa persona ma non siamo riusciti a parlarci. Mi chiedo a cosa servono le lacrime del ministro, se poi non si ascoltano almeno le esigenze delle persone? I pensionati meritano le lacrime, ma noi cosa meritiamo?".

"Accudiamo i nostri figli 24 ore al giorno, ma come possiamo sopravvivere? E dopo di noi, sulle spalle di chi sara' questa assistenza? Ma tanto non ci ascoltano: noi non portiamo voti perche' siamo pochi, siamo invisibili" conclude.

5 dicembre 2011

FONTE: blizquotidiano.it
http://www.blitzquotidiano.it/politica-italiana/manovra-famiglie-disabili-gravi-protesta-incatenati-1041948/


Che altro c'è da aggiungere alle amare parole di Simona Bellini, presidentessa del Coordinamento famiglie disabili gravi e gravissimi? Nulla.... bisogna soltanto toccarsi il cuore e capire che queste persone, a mio modesto parere ECCEZZIONALI, che accudiscono con un Amore infinito e una dedizione totale i propri cari, MERITANO DI AVERE PIU' CONSIDERAZIONE DA PARTE DEL NOSTRO STATO !!!

Non mi stancherò mai di ripeterlo..... si tolga a tutti, a tutti, MA NON A LORO, NON A CHI E' DISABILE GRAVE O GRAVISSIMO, non a chi è stato già così duramente colpito dalla vita, e alle loro STRAORDINARIE famiglie. Le persone che accudiscono questi disabili gravi DEVONO avere il prepensionamento, è una cosa a loro dovuta per la loro vita completamente sacrificata sull'altare dell'Amore verso i propri cari, bisognosi di aiuto e di assistenza perpetua. Se esiste ancora un pò di umanità, o quantomeno di buon senso, non si può negare loro ciò di cui hanno pienamente diritto!

Marco

martedì 6 dicembre 2011

Chi tace i possibili danni da vaccinazione antinfluenzale ha la coscienza sporca. E inganna chi ama

Come ogni anno, la campagna mediatica per la vaccinazione antinfluenzale batte la sua grancassa. In spregio alle più elementari regole sulla memoria, nonostante le polemiche roventi seguite alla falsa pandemia di H1N1 suina, già a settembre 2010 in Italia i giornali riportavano articoli dei soliti virologi che ripetevano esattamente le stesse cose dette negli anni precedenti.

Che l'influenza sarebbe stata potente e devastante, che sarebbe arrivata in anticipo, che avrebbe mietuto vittime in assenza del giusto atteggiamento vaccinale preventivo.

Ricordiamo il 2004 con la SARS e l'aviaria con l'H5N1 in cui i maggiori danni si ebbero per gli effetti dipendenti dalla paura. Molti si vaccinarono anche se dubbiosi. In relazione alla influenza A suina H1N1 del 2009 ho detto chiaramente perché non mi sarei vaccinato in un articolo che è stato poi ripreso anche da diversi quotidiani italiani. Inoltre la prevenzione antinfluenzale è attuabile anche attraverso forme naturali di terapia. Fortunatamente la consapevolezza e internet e la diffusione della conoscenza hanno avuto ragione e nel 2009-2010 la campagna vaccinale fu un flop assoluto.

Noi crediamo che chi ha la convinzione di vaccinarsi abbia il diritto di farlo. Dobbiamo però ricordare che le campagne di stampa non sempre sono legate a fatti oggettivi e che la immunizzazione antinfluenzale è una profilassi forse utile, ma certamente non priva di rischi.

I dati

Un vaccino antinfluenzale ha, come tutti i vaccini, dei possibili benefici, e anche dei possibili danni che dovrebero essere resi noti con chiarezza per consentire scelte consapevoli ai cittadini. 
La variabilità delle influenze è altissima, ed è molto difficile prevedere il tipo di diffusione che avrà: nonostante questo, tra settembre e ottobre di solito i titoli dei giornali parlano di milioni di persone ammalate che puntualmente non si verificano. 
Le previsioni epidemiche spesso vengono disattese. Basta ad esempio pensare a cosa è successo nel 2009 e nel 2010 nella stagione invernale dell'emisfero Sud. L'epidemia o pandemia H1N1 che veniva paventata ha provocato un numero irrisorio di decessi. Circa un ventesimo di quelli che ogni anno vengono riferiti alla classica influenza. La comunità scientifica anziché leggere i dati e interpretarli ha continuato a segnalare rischi e problemi in realtà falsi. 
Per contro sappiamo che negli anni passati intere squadre di calciatori vaccinati erano a letto con l’influenza anziché in campo. E anche se, come ci spiegano alcuni esperti, essere vaccinati fa diminuire il pericolo di confondere i sintomi dell’influenza con quelli della SARS (o con quelli dell'aviaria, o con quelli della H1N1 A come alcuni sostengono), non si vede in che modo questo possa essere vero, considerato il numero di casi di influenza che comunque si verificano proprio tra i soggetti vaccinati. 

Per qanto riguarda la possibile vaccinazione per l'H1N1, è bene invece ricordare, come spiegato sotto, quanto accaduto nel 1976 per la unica vaccinazione suina attuata fino ad ora, per capire quanto sarebbe più utile una riflessione critica prima di partire con una vaccinazione a tappeto con vaccini non ancora sperimentati. Purtroppo, nel vaccino trivalente previsto per la vaccinazione 2010/2011 è stato inserito, senza che ce ne fosse alcun bisogno, il vaccino anti H1N1 suino che tante polemiche ha scatenato lo scorso anno. 

Non intendiamo entrare qui nel dibattito relativo all’efficacia di questa forma di profilassi, ma in considerazione del pubblico e martellante invito a vaccinare tutti i bambini (e non solo quelli per i quali i vantaggi potrebbero superare i rischi), ci appare doveroso contribuire oggi anche con le notizie relative ai possibili effetti dannosi, che gli organi ufficiali di informazione, in questi giorni, sembrano deliberatamente o inconsapevolmente trascurare. 

I bambini in prima linea 

In un paese libero e civile le persone devono essere informate e poter scegliere. Ma se chi stimola la vendita dei vaccini determina anche l’informazione, e questa informazione continua a dire che la vaccinazione è assolutamente innocua, i conti non tornano più. Quanto viene detto è falso e i possibili rischi, anche gravi, della vaccinazione antinfluenzale sono scientificamente dimostrati (ma scarsamente divulgati!). 

Se qualcuno continua a segnalare che quanto più i bambini saranno vaccinati tanto meno avremo paura della SARS o di altre forme virali gravi e tanto meno sofferenze infliggeremo loro, mente spudoratamente, cercando solo di cavalcare un momento emotivo intenso per ottenere un vantaggio commerciale o altri vantaggi indiretti (il mantenimento della paura). 

Un bambino sano che si ammala di influenza (posto che si ammali anche se viene cautelato con la necessaria profilassi comportamentale), se è ben nutrito e ha un adeguato supporto minerale e vitaminico supera l'influenza, talvolta con l’uso di qualche sintomatico di supporto. 

Restiamo sempre sorpresi dal fatto che in due metaanalisi successive la Cochrane (ente mondiale super partes, che analizza tutti i dati scientifici prodotti dalla comunità scientifica internazionali) ha confermato la inefficacia preventiva del vaccino nei bambini fino ai due anni, e che nonostante questo venga sistematicamente indicato di vaccinare i bambini a partire dai 6 mesi di età. Perché il Ministero dà indicazioni contrarie alle conoscenze scientifiche?  

Inoltre, non ci stanchiamo di ripeterlo, ne esce guarito e con un aumento delle difese immunologiche (durante una forma virale cresce l’Interferone che ci difende, ad esempio, da future forme tumorali).

L'esperienza di chi usa forme di terapia omeopatica e naturale, per prevenire le infezioni invernali ricorrenti e l’influenza, è ampia e ben rappresentata nella popolazione italiana.

A fronte di un’informazione corretta, i cittadini potrebbero comunque scegliere, in relazione alle proprie convinzioni, se seguire un iter vaccinale con dei probabili benefici (e alcuni rischi) oppure un trattamento diverso, probabilmente benefico (ma senza alcun rischio “vaccinale”).

Verità scientifiche nascoste sotto il tappeto 

Allora veniamo alle menzogne. Non ci stiamo riferendo al fatto che le troppe vaccinazioni potrebbero fare male (anche se sempre più dati invitano a riflettere su questo tema), perché dalla parte opposta si potrebbe dire che ci attacchiamo a un’ideologia o a un credo diversi da quelli che propone la “scienza” medica. 

Facciamo dunque riferimento solo ad alcuni lavori scientifici, alcuni dei quali recentissimi, che non fanno che ribadire l’esistenza di possibili rischi da vaccinazione antinfluenzale, lavori scritti nei centri più famosi del mondo per le medicine “classiche” e convenzionali. 

Cosa direste, ad esempio, se vi dicessero che vaccinando con “l'innocua vaccinazione” antinfluenzale tutti i bambini italiani ci possiamo aspettare almeno 10-15 casi di sindrome di Guillaine-Barrè (poliradicolonevrite) più del solito, cioè almeno 10-15 bambini minori di 7 anni tra cui forse anche il nostro, semiparalizzati per molti mesi e in alcuni rari casi anche per tutta la vita, con incapacità di muoversi, agire, pensare come prima?

Eppure un gruppo di epidemiologi americani segnala questo dato già dal 1998 (N Engl J Med. 1998 Dec 17;339(25):1797-802 ), un dato che va ad affiancarsi a uno studio australiano che conferma, a fronte di 67 banali eventi post-vaccinali ogni 100.000 dosi di vaccino, la frequenza di ben 16,7 eventi avversi seri ogni 100.000 dosi per i bambini sotto i 7 anni, negli anni 2000 e 2002 (Commun Dis Intell. 2003;27(3):307-23). 

Ma la citazione dei lavori sui danni neurologici post vaccino antinfluenzale può continuare. Non si tratta di eventi frequentissimi, ma si tratta di eventi possibili, gravi, e chi li nega mente, crea un'informazione sanitaria artefatta. 

Andiamo dalla nevrassite (Eur J Neurol. 2000 Nov;7(6):731-3) alla nevrite ottica (J Neuroophthalmol. 1996 Sep;16(3):182-4). Per una corretta informazione, è opportuno ricordare che la stessa influenza può determinare un'infiammazione del tessuto nervoso come complicanza, ma è drammatico riconoscere che la maggior parte delle 58 morti per Guillaine Barrè verificatesi nel 1977 negli USA, si verificò nei soggetti vaccinati, con insorgenza della malattia dopo 3-4 settimane dalla vaccinazione (Neurology. 1980 Sep;30(9):929-33).

Sono forse più i danni da vaccinazione di quelli che determina la malattia? Non lo sappiamo con certezza, ma esprimere un dubbio è molto diverso dal trasmettere una tracotante e colpevole certezza di innocuità. In questo caso, da immunologo, mi sentirei di esprimere ben più che un singolo dubbio. 

Trovo profondamente disdicevole che la presenza di eventi pur non frequentissimi ma ben documentati a seguito della vaccinazione antinfluenzale non sia resa pubblica. Non è accettabile che il sito del Ministero della Salute fino allo scorso anno abbia evidenziato solo un modesto rialzo febbrile e la “bua sul sederino” come unici possibili danni rilevabili nel post vaccinazione. Fortunatamente per la campagna 2010/2011 ha almeno evidenziato che qualche rischio potrebbe esserci (in una pagina raggiungibile dopo 6 click) anche se, nonostante l'evidenza scientifica qui presentata, precisa che tale evenienza è stata riferita ma mai confermata.

I bambini paralizzati dalla vaccinazione, in fondo, non saranno tantissimi nell'economia commerciale italiana, ma ogni singolo caso merita una consapevole decisione per poter affrontare un rischio. E' giusto che chi sceglie lo sappia, e non si senta dire che la vaccinazione è praticamente del tutto innocua, quando non è vero. Sapere le cose dopo, centuplica il livello del dramma. 

Che dire, per fare un altro esempio, dei casi di ORS (sindrome oculo-respiratoria) dei quali Eurosalus ha subito parlato e che sono stati prima minimizzati e ritenuti dipendenti da un vaccino un po' anomalo, e poi oggi addirittura riconfermati in doppio cieco contro placebo nel 44% dei soggetti che l'hanno già avuta? Il lavoro è stato pre-pubblicato on line (Clin Infect Dis. 2003 Oct 15;37(8):1059-66. Epub 2003 Sep 26) ed è stato tanto significativo da portare i suoi autori a suggerirne l'informazione specifica a chi ne ha sofferto. 

Sicuramente si tratta di un problema di gravità molto relativa, ma perché chi si vaccina non deve sapere che potrebbe perdere del tutto i capelli? Questo dato riguarda soprattutto la vaccinazione obbligatoria antiepatite B, ma in buona misura vale anche per l'antinfluenzale (JAMA. 1997 Oct 8;278(14):1176-8). 

In fondo, sembra pensare l'industria vaccinale, che male c'è ad avere dei bambini calvi, se hanno evitato 4 giorni di febbre e mal di gola? 

Che dire poi se dal numero del maggio 2003 della rivista Clinical Immunology (Clin Immunol. 2003 May;107(2):116-21 ) uno dei più autorevoli studiosi americani - analizzando i 382 casi di sindrome di Guillaine-Barrè post-vaccino antinfluenzale rilevati in USA negli anni 1991-1998, cioè la bellezza di 50 casi all'anno documentatamente causati dalla vaccinazione e dal particolare quantitativo di endotossina associato al virus, confrontato a un rischio 0 (zero) per la vaccinazione con la anatossina tetanica - suggerisce che forse per la vaccinazione antinfluenzale dovrebbe essere richiesto un consenso informato scritto? Ma a cosa serve un consenso informato per qualcosa che dovrebbe fare solo bene?

Come cittadino credo che meritiamo qualcosa in più di un'informazione pubblica parziale e aggressiva come si è dimostrata quella di quest'ultima campagna per la diffusione del vaccino antinfluenzale. 

La coscienza della popolazione è probabilmente cresciuta ed è in grado di percepire dove gli interessi commerciali finiscono per prevalere sul rispetto. Rimango comunque indignato. 

Anche se le mie scelte possono essere diverse, rispetto e apprezzo i colleghi medici che suggeriscono la vaccinazione antinfluenzale per loro convinzione, segnalandone però i potenziali rischi. 

Stigmatizzo e condanno invece la protervia commerciale che cerca di nascondere “sotto al tappeto” le verità scientifiche che tanto difende, quando diventano scomode.

Su Eurosalus abbiamo già dato ripetutamente indicazioni esaustive sulle ampie possibilità di prevenzione naturale delle forme di raffreddamento invernale, influenza compresa (vedi anche gli altri links di questo articolo). 

E tutti gli anni ormai riconosciamo un'aggressione di questo tipo, che puntualmente si verifica nella comunicazione televisiva e giornalistica. 

Oggi, questo articolo serve solo per tranquillizzare coloro che sceglieranno consapevolmente di non fare, e di non fare eseguire ai figli la vaccinazione antinfluenzale proposta in modo così pressante e di informare serenamente coloro che in modo consapevole sceglieranno di vaccinare se stessi o di fare vaccinare i loro figli.

Ci sono molti i motivi scientifici che sostengono questa scelta e ci sono, fortunatamente, gli strumenti per affrontare con serenità i virus vecchi e nuovi senza credere di avere fatto scelte sbagliate per i propri figli. Siamo ancora in uno stato che deve garantire le scelte autonome e consapevoli del cittadino, che può farle, in un senso o nell'altro solo se realmente informato.6 gennaio 2011

di Attilio Speciani, Allergologo e Immunologo Clinico


FONTE: eurosalus.com 
http://www.eurosalus.com/malattie-cura/chi-tace-i-possibili-danni-da-vaccinazione-antinfl


Questo articolo è dell'inverno scorso, ma ho deciso di postarlo perchè mi sembra molto esauriente ed equilibrato nella descrizione dei pro e dei contro della profilassi contro l'influenza, tema quanto mai attuale in questo periodo dell'anno.
Come descritto bene dallo specialista, fare un vaccino antinfluenzale non è una pratica senza rischi, ma questo non viene mai evidenziato da televisioni e giornali. Purtroppo vi è sempre una possibilità, seppur molto contenuta, di contrarre patologie estremamente invalidanti in seguito alla vaccinazione antinfluenzale, come ben evidenziato dall'articolo, sopratutto nei bambini più piccoli in cui il sistema immunitario è ancora in gran parte da formare. Ancora maggiori poi sono i rischi nel caso della vaccinazioni obbligatorie, ma questo è un altro discorso che per ora non tocco, ripromettendomi però di parlarne in un prossimo futuro, perchè c'è molta carne al fuoco a riguardo.
La vaccinazione antinfluenzale può quindi costituire effettivamente una difesa contro l'influenza di stagione, ma sempre con una percentuale di rischio, cosa di cui bisogna tenere ben conto. Per tale ragione va quindi presa in considerazione solo ed esclusivamente per le categorie a rischio come malati ed anziani, mentre a mio parere è del tutto da evitare nel caso dei bambini (a meno che non siano affetti da malattie croniche importanti). Questo tenendo sempre ben presente che esistono dei rimedi naturali, omeopatici e fitoterapici, che possono sostituire egregiamente i vaccini ed essere totalmente senza controindicazioni.
Il fatto che quest'anno il numero di persone che ha deciso di vaccinarsi contro l'influenza sia stato ben al di sotto delle aspettative penso che vada letto in chiave positiva, perchè significa che la popolazione ha acquisito una maggior consapevolezza su queste tematiche, valutando quindi alternative diverse ai tanto reclamati vaccini.

Marco