martedì 12 aprile 2011

San Giuseppe Moscati


Ci sono ricette con la sua firma su cui ha scritto: “Cura: Eucarestia”. A un malato che è poi guarito, aveva infatti diagnosticato che la sua sofferenza fisica era dovuta solo all'allontanamento da Dio. Ma quando le suore dell'ospedale degli Incurabili di Napoli gli chiedevano perché continuasse a fare il medico anziché il sacerdote, lui che ogni mattina andava a Messa e si comunicava, che ogni sera recitava il Rosario, che aveva fatto voto di castità, che diceva di vedere in ogni malato “il libro della natura creato da Dio”, rispondeva sicuro che “si può servire Dio anche lavorando”.
Questo medico napoletano che sembrava rubare il ruolo e il mestiere del sacerdote era in realtà un laico irriducibile che si comportava, quasi un secolo fa, come né allora né oggi usano fare i cappellani di ospedali quando assistono un malato. Questo medico si chiamava Giuseppe Moscati. Papa Giovanni Paolo II che lo canonizzò il 25 ottobre 1987 definì la sua figura “un attuazione concreta dell'ideale del cristiano laico”.

Cenni biografici

E' nato il 25 luglio 1880 a Benevento, settimo di nove figli da famiglia profondamente cristiana e fu battezzato il 31 Luglio 1880. Fin da bambino si distingue per la sua attitudine nello studio che lo fa essere sempre il primo della classe e all'eta di soli 17 anni consegue la licenza ginnasiale e liceale. Pochi mesi dopo comincia gli studi universitari presso la facoltà di medicina dell'Ateneo partenopeo.
Il 4 Agosto 1903, Giuseppe Moscati consegue la laurea in medicina con una tesi sulla urogenesi epatica con il massimo dei voti più la lode e la dignità di stampa e a distanza di pochi mesi prende parte al concorso pubblico indetto per assistente ordinario negli Ospedali Riuniti di Napoli e quasi contemporaneamente sostiene un altro concorso per coadiutore straordinario negli stessi ospedali. Nel primo dei concorsi riesce secondo, nell'altro riesce primo assoluto, e ciò in modo così trionfale che, come si legge in un giudizio qualificato, “fece sbalordire esaminatori e compagni”. Nel 1904 Moscati inizia a prestare servizio di coadiutore all'ospedale degli Incurabili a Napoli, mentre sette anni più tardi, nel 1911, si presenta al concorso per aiuto negli Ospedali Riuniti. I posti disponibili sono soltanto 6 a fronte delle decine di concorrenti, molti dei quali carichi di raccomandazioni e di sostegni della casta medica e massonica. Giuseppe Moscati è scandalizzato dallo “sleale e vigliacco piano di concorrenza ordito da alcuni” giungendo al punto di promettere di “presentare carta bianca, purché gli esami siano sinceri”. Vincerà il concorso perché è il più preparato, ma lo farà vincere anche a un collega altrettanto bravo, intervenendo ad alta voce durante il suo esame per denunciare l'accanimento dei commissari teso a cogliere in fallo quel malcapitato, che aveva il solo difetto di non essere raccomandato. Ormai nessuno lo può più fermare..... si succedono le nomine a coadiutore ordinario negli Ospedali Riuniti, e poi, in seguito al concorso per medico ordinario da lui vinto, diventa direttore di sala, cioè primario, nel 1919, trasformando l'ospedale in un gioiello di efficienza. Nel 1922 diventa libero docente in Clinica medica.
Ricercatissimo nell'ambiente partenopeo da quando è giovanissimo, il professor Moscati conquista ben presto una fama di portata nazionale ed internazionali per le sue ricerche originali, i risultati dei quali lo pongono in un posto d'onore fra i medici ricercatori della prima metà del secolo. Sarà il primo medico italiano a sperimentare l'insulina per i diabetici (la madre è morta di questo male), il primo a fare ricerche sulle malattie endocrine e sulle malattie contratte sul posto di lavoro.

Illuminazione diagnostica, Fede e Carità

I giovani medici, gli infermieri, le suore, seguono il professor Moscati tra le corsie d'ospedale come in una processione. Standogli vicino si poteva scoprire la sua “illuminazione diagnostica”, un Dono Divino che gli permetteva di individuare una malattia anche ad un semplice sguardo. Ai suoi tempi mancava mancava l'apparato diagnostico della medicina moderna e l'intuito del medico, affinato dagli studi e dalla pratica quotidiana, era un elemento indispensabile. Il suo era straordinario, spesso lasciava meravigliati tutti, sia quando riusciva a salvare una persona, sia negli esiti infausti, quando l'autopsia rivelava che aveva avuto ragione. Il grande luminare, il prof. Cardarelli, che lo aveva avuto come allievo, lo scelse come proprio medico curante e spesse volte si consigliava con lui dicendo: “Peppino, come mai imbrocchi sempre ogni diagnosi... è nell'umano sbagliare!”. Giuseppe Moscati allora rispondeva: “Io non visito mai un ammalato affidandomi solo alla scienza medica, ma chiedo al paziente anche la sua collaborazione attraverso la preghiera ed i Sacramenti”. Per Moscati non c'è distinguo, ma intrecci solidissimi tra fede e scienza, cura del corpo e cura dell'anima, evangelizzazione e professione umana. Lui lo definiva, con simpatico umorismo napoletano, “un mastodontico groviglio di guai in cui mi trovo da mille parti ingrovigliato”.
Per lui la Fede è la sorgente di tutta la vita, l'accettazione incondizionata, calda ed entusiasta di Dio e dei nostri rapporti con Lui. Moscati vede nei suoi pazienti il Cristo sofferente, lo ama e lo serve in essi a costo di qualunque sacrificio. Egli non si pone mai davanti al semplice corpo di un malato, ma al malato nella sua pienezza di vocazione umana e cristiana. Partendo dalla necessità di un corpo malato e bisognoso di cure, ha di mira il bene integrale del paziente e, quando è necessario, gli indica i mezzi per recuperare la salute non solo del corpo, ma anche dell'anima. Alla visione personale del malato infatti si aggiunge in Moscati quella soprannaturale dello stesso che indicava come vera causa di tante malattie. Per questo con molta naturalezza indicava come terapia per guarire il corpo rimedi anche spirituali, come liberarsi dal peccato con una buona Confessione, una vita retta lontana dai vizi e nutrita dalla SS. Eucarestia.
Lo slancio di amore generoso che aveva verso i malati lo spingeva a prodigarsi senza sosta per chi soffre, a non attendere che i malati andassero da lui, ma a cercarli nei quartieri più poveri ed abbandonati della città, a curarli gratuitamente, anzi, a soccorrerli con i propri guadagni. E tutti, ma in modo speciale coloro che vivono nella miseria, intuiscono ammirati la forza Divina che anima il loro benefattore. Così Moscati diventa l'apostolo di Gesù: senza mai predicare annuncia, con la sua carità e il modo in cui vive la sua professione di medico, il Divin Pastore, e conduce a Lui gli uomini oppressi e assetati di Verità e bontà.
La sua giornata è così scandita: mattino presto all'alba la S. Messa (cui non avrebbe rinunciato per nulla al mondo) poi mattina e pomeriggio in ospedale, la sera (e molto spesso anche la notte) visite private agli ammalati, la notte dedicata allo studio e alla preghiera.
Con il progredire degli anni il fuoco dell'amore sembra divorare Giuseppe Moscati. L'attività esterna cresce costantemente, ma si prolungano pure le sue ore di preghiera e si interiorizzano progressivamente i suoi incontri con Gesù Sacramentato.

La morte

la sua intensa vita di Fede e il suo prodigarsi incessantemente per i malati che egli amava veramente “come se stesso” e come “suo corpo” e che non cessava di curare nemmeno quando la salute non glielo permetteva, portò Moscati a una lenta ma progressiva consumazione di sé stesso fino alla morte avvenuta a soli 47 anni. Il professor Moscati passò da questo mondo al Padre “in punta di piedi”, in modo rapido e soave il 12 Aprile 1927, martedì Santo. Dopo aver assistito alla Messa e visitato i malati in ospedale egli torna a casa, consuma un pasto frugale, riceve la visita di un paziente, l'accompagna all'ascensore, rientra in casa, si siede sulla sua poltrona, incrocia le braccia sul petto e si spegne serenamente.
Per tutti è morto il “medico Santo”. La fama della sua Santità era così radicata che il suo confessore, dopo la sua morte, chiama i suoi famigliari chiedendo loro di conservare i suoi abiti e i suoi oggetti, sicuro che Dio se ne sarebbe servito per trasformarli in reliquie.
E' impressionante leggere ciò che scrisse il giornale di Napoli, Il Mattino, di ciò che avvenne alla morte di Moscati: “Intorno alla salma di Giuseppe Moscati si è raccolta reverente tutta la cittadinanza, rappresentata in ogni sua classe, dalla più umile alla più eletta. Poche volte Napoli ha assistito a uno spettacolo così imponente nella sua infinita tristezza e che sta a testimoniare quanto affetto, quanta stima ed ammirazione avesse raccolto l'uomo che seppe fare della sua professione un nobilissimo apostolato, che seppe prodigare col benefico soccorso della sua dottrina, la sua bontà impareggiabile alle creature sofferenti, che seppe dimostrare come possano mirabilmente conciliarsi in un animo nobile, la religione e la scienza”. Ma la testimonianza forse più bella avvenuta durante il suo funerale fu quella fatta da un anziano che scrisse: “Noi lo piangiamo perché il mondo ha perduto un Santo, Napoli un esemplare di ogni virtù, e i malati poveri hanno perso tutto”.



Oggi, 12 aprile, è la giornata in cui si festeggia questa figura di Santo a cui sono molto devoto. San Giuseppe Moscati è per tutti il "Medico Santo" e ho pensato di scrivere questo post su di lui, perchè in un blog che si occupa di salute e di malati, questa è la figura di Santo che più di ogni altra si addice a un blog come questo.
Per me San Giuseppe Moscati costituisce la figura di medico "ideale", medico del corpo e dell'anima, medico che faceva della propria professione una missione e una vocazione senza ricercare nessun tornaconto personale ma solo ed esclusivamente per il bene dei malati e per la Gloria di Dio. Io credo che tutte le persone che decidono di intraprendere l'"altissima" professione di medico si dovrebbero ispirare a lui, a prescindere dal fatto che si abbia la fede oppure no. Interpretare il proprio ruolo di medico come una missione e non come un semplice lavoro da svolgere per percepire uno stipendio, cercare solo ed esclusivamente il bene del malato, essere disinteressati ai soldi e alla gloria personale.... questi sono i capisaldi che ciascun medico dovrebbe possedere, uniti naturalmente alla competenza, all'umiltà (che bella dote questa... e così rara) e all'apertura mentale. Se tanti di noi hanno avuto sovente delle esperienze negative con medici e specialisti, è proprio perchè spesso essi si discostano troppo da questi valori, indispensabili nella propria importantissima (e difficile) professione.
Vorrei tanto che la figura di San Giuseppe Moscati venisse studiata attentamente nelle università da coloro che si preparano a diventare medici, perchè credo che un tale esempio (la sua vita è ricolma di episodi e aneddoti estremamente edificanti) segnerebbe la crescita personale e morale di coloro che si preparano a divenire i "tutori" della salute altrui.

Caro S. Giuseppe Moscati illumina con il tuo esempio i dottori di oggi e di domani e disponi che essi ti abbiano come modello e possano seguire le tue orme.... per il bene di tutti!

Marco

3 commenti:

  1. “si può servire Dio anche lavorando”.
    ciò che penso anch"io.. <3

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  2. Certo che ci saranno ancora dei bravi medici che si sacrificano per il prossimo e non ne parlano, ma si può servire Dio in ogni modo basta che si faccia con vero amore, anche una mamma che sacrifica la vita per la famiglia e cresce i figli con i valori che Dio ci ha insegnato, quella mamma sarà nelle braccia di Dio poichè tutta la sua vita l'ha spesa per amore della famiglia sacrificando lei stessa nel dovere quotidiano.

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  3. Certamente Dio si può servire in tanti modi.... si può servire lavorando come si può servire accudendo nel migliore dei modi la propria famiglia. Non dimentichiamoci che Gesù stesso, prima di portare nel mondo la Parola di Dio, ha lavorato e, cosa da molti poco considerata, ha scelto di venire al mondo attraverso una famiglia. In questo modo ha santificato sia il lavoro che la famiglia.... entrambe cose molto care agli occhi di Dio.

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