mercoledì 29 giugno 2011

Ecco i veleni Ilva che stanno uccidendo Taranto

«Altroché che corro dei rischi, guardi qui»: Fabio Matacchiera si accarezza la calibro 9 che sta nella fondina, sotto alla felpa. Non gli servirebbe, probabilmente, se non facesse l’ambientalista e non cercasse di liberare Taranto dalla diossina e dagli altri veleni. Ha ricevuto minacce piuttosto serie, da quando ha creato il Fondo anti-diossina, una onlus che ha scelto la trasparenza (tutti la contabilità è sul web) per raccogliere fondi e usarli per fare analisi e rilievi. Per misurare, cioè, quanti veleni ci sono nell’aria e nell’acqua della città dei due mari, del castello aragonese, ma anche delle nuvole rosse che di notte si muovono nel cielo sopra alle ciminiere, inquietanti e rumorose.
L’Ilva e le sue 10 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, la più grande d’Europa, è una cattedrale gotica che produce ricchezza e preoccupazioni a ritmo industriale. «Vent’anni fa era un ambiente di lavoro altamente nocivo, ora la situazione è ancora oscura e l’azienda non fa nulla per chiarirla»: il professor Giorgio Assennato non è ecologista barricadero, ma il direttore dell’Arpa regionale per la prevenzione e la protezione dell’ambiente. Da i dati che hanno raccolto in primavera sul quartiere Tamburi relativi alle emissioni di benzoapirene, oltre il 90% accertato viene proprio dalla cokeria dell’Ilva, si è messo in moto la macchina politica che ha portato il governo, a cavallo di Ferragosto, ad emettere a tempo di record un decreto che ha messo il bavaglio a norme e controlli fino al 2013. Un provvedimento che è difficile non immaginare scritto su misura per una grande impresa, quella che cinquant’anni fa nasceva come Cosider e poi è diventata Italsider, e che unica nel panorama italiano non ammette nel suo perimetro monitoraggi o controlli, come ricorda Assennato, a parte quelli previsti per legge sui camini per le emissioni standard. L’Arpa ha messo tre sensori due anni fa, ma tutti rigorosamente fuori dai muri e dai cancelli della fabbrica. Diventeranno presto sette e serviranno per tenere d’occhio gli Ipa, idrocarburi policiclici aromatici tra cui il famigerato benzoapirene.
Capita allora che passeggiando per il Tamburi, dove nei secoli scorsi percuotevano appunto quegli strumenti per avvisare la città dell’arrivo via mare dei saraceni, si cammini dentro un paesaggio lunare, anzi da Marte, con marciapiedi, strade e muri arrossati in modo innaturale da sbuffi di polveri, in termine tecnico «sloppate», che scappano via durante il ciclo produttivo da crepe, fessure e altri punti di cattivo funzionamento. Una coppia di signori sono affacciati al primo piano della loro appartamento Iacp di Via Lisippo, un budello di case basse che stanno letteralmente sotto all’Ilva, sul lato del parco minerario dove per chilometri vengono stivate le materie prime necessarie al ciclo produttivo. C’è un costone di terra coperto da una pallida erba e una rete arrugginita a dividere queste abitazioni dal mostro di ferro, l’Ilva è grande due volte e mezzo Taranto. «Non c’è una famiglia dove non ci sia un morto o un malato di tumore o di altre malattie gravi: io sono stato operato due volte alla gola, molti hanno problemi di tiroide» racconta Oronzo, ricordando il pappagallino che per sbaglio una notte di qualche tempo ha dimenticato in balcone, con la gabbia. «La mattina l’ho trovato seccato, morto. Siamo costretti a vivere barricati in casa, perché di notte scoppia l’inferno tra nuvole, fumi e rumori e dobbiamo sigillarci dentro».
Tra gli effetti collaterali che sono il prezzo pagato da questo rione per una cattedrale industriale che impiega migliaia di tarantini, ci sono anche le ondate di scarafaggi che di notte escono dalle vasche dove finiscono, mescolati alle materie prime che le navi portano da tutto il mondo, e marciano su queste stradine fino a ricoprirle completamente: «Qualche notte fa ho visto l’asfalto che si muoveva, tutto nero, mi sono spaventata, erano quegli insetti» rincara Ornella, che vive qui dal ’56 e ci ha cresciuto due figli, ma come il marito non vede vie d’uscita. Non sanno dove andare e nessuno vuole più venire qui, dove le case sono fuori mercato per i prezzi precipitati e per un sentimento diffuso di abbandono, in questo rione di operai e lavoratori che negli anni 70 era una roccaforte del partito comunista. Perfino l’asfalto si è contaminato, con gli anni, e rifarlo è diventato un problema.
Qualche centinaio di metri alle spalle, passando per un mucchio di eternit abbandonato a cielo aperto, come se l’amianto in tutto questo fosse problema trascurabile, c’è il cimitero di San Brunone, il camposanto di Taranto.
Tombe nuove e vecchie, ornamentali, tutte ricoperte da un velo di ruggine rossa che si posa in modo incessante. Il grande cimitero è ai piedi della fabbrica e tempo fa l’Ilva, per dimostrare il suo cuore, regalò delle fontanelle a chi va a trovare i defunti: un cilindro di cemento e un rubinetto, il tutto su piattaforma di ghisa rigorosamente della casa, certo non uno sforzo enorme per una delle principali imprese italiane. Ma non ci sono solo le notti colorate e rumorose di questa gente che vive sotto al parco minerario, i paurosi sfiati e le esplosioni, le urla degli operai e dei capireparto. Ci sono anche i tumori aumentati del 600% negli ultimi 5 anni, anche se poi si scopre che a Taranto non esiste un registro per queste malattie, come se dimenticare fosse più semplice che viverci.
C’è il 93% di emissioni da polveri sottili che proviene dall’area industriale, l’unica città d’Europa che vive questo vassallaggio verso la sua zona produttiva e per i reparti e le filiere che portano pane, ma anche tutto il resto. C’è il mercurio che finisce in acqua dall’Ilva e che è un’incognita su cui, come tanti altri aspetti di questa città di mare e veleni, associazioni come PeaceLink danno battaglia e bussano alle porte dei magistrati. C’è un’inchiesta penale, nella procura guidata dal dottor Franco Sebastio, che attende gli incidenti probatori su diossina e benzoapirene, i grandi imputati alla sbarra di Taranto e delle nostre coscienze.

FONTE: informarexresistere.fr
http://informarexresistere.fr/2010/11/04/ecco-i-veleni-ilva-che-stanno-uccidendo-taranto/


Articolo inquietante che spiega mirabilmente ciò che è veramente l'Ilva da un punto di vista del suo impatto ambientale su tutto il territorio circostante e in particolar modo sulla città di Taranto.
Non c'è molto da aggiungere a questo articolo: l'amara constatazione è quella di sapere quali e quanti danni all'ambiente e alla salute dell'uomo crea questo enorme complesso industriale, e non sapere cosa fare per fermarlo, perchè in ballo ci sono enormi interessi economici e, bisogna ricordarlo, il lavoro che questo stabilimento procura a migliaia di persone. L'errore di base purtroppo è stato fatto in principio, quando è stato creato questo complesso siderurgico senza aver tenuto conto dell'enorme inquinamento ambientale che si sarebbe prodotto, per di più realizzandolo a ridosso di una città, Taranto, che ne paga tutte le conseguenze (e non solo Taranto, perchè i fumi di diossina e altri inquinanti immessi nell'atmosfera arrivano dappertutto). Purtroppo porre rimedio a certi tragici errori commessi in principio diventa ora estremamente complesso.... bisognerebbe che avvenisse una mobilitazione generale di tutti i cittadini di Taranto, uniti e coesi per fermare questo colosso, diversamente credo che ogni altra strada sarebbe vana. Ma non è semplice mettere daccordo tutta Taranto su questo punto perchè, come detto, molti tarantini ci lavorano all'Ilva e quindi ci campano. L'Ilva sembra essere una specie di treno incontrollabile che va avanti senza sosta e senza che nessuno possa (o voglia realmente) fermarlo. Questa è la realtà attuale dell'Ilva.... nella speranza naturalmente che le cose possano cambiare.

Marco

lunedì 27 giugno 2011

Ilva di Taranto: il Noe chiede il sequestro dello stabilimento

I carabinieri del NOE (nucleo operativo ecologico) hanno chiesto oggi a Taranto il sequestro dello stabilimento ILVA. Il provvedimento scaturisce dall’indagine che dovrebbe individuare le fonti dell’inquinamento da diossine, pcb e benzopirene registrate a Taranto e provincia.

L’ILVA è una società per azioni del Gruppo Riva che si occupa prevalentemente della produzione e trasformazione dell’acciaio.

Il Noe ha chiesto oggi il sequestro dopo 40 giorni di rilevazioni che avrebbero dimostrato una gestione illecita dello smaltimento di fumi e polveri nell’aria. Più nello specifico le torce, che sarebbero dovute essere utilizzate solo in casi di emergenza per lo smaltimento dei gas in eccesso, in realtà venivano usate come mezzo per lo smaltimento dei rifiuti quotidianamente.

Ieri, durante l’incidente probatorio il Gip Patrizia Todisco ha disposto un’indagine epidemiologica per capire se ci sono relazioni fra l’emissione di gas e polveri e l’alta mortalità sul territorio tarantino.

Sono stati nominati per questo tre epidemiologi: Annibale Biggeri, docente di statistica medica a Firenze, Maria Triassi, direttore della scuola di specializzazione di igiene e medicina preventiva a Napoli, Francesco Forastiere, esperto di epidemiologia.

il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, ha affermato che “a Taranto ormai siamo in presenza di una situazione ambientale e sanitaria fuori controllo. L’iniziativa dei carabinieri che dopo aver eseguito per 40 giorni misurazioni e rilevazioni sono arrivati a chiedere al Gip il sequestro dell’ILVA, è lodevole ma dimostra la totale assenza delle istituzioni su una questione così importante come la tutela della salute dell’ambiente. Mi chiedo – aggiunge – per quale ragione le istituzioni della Regione Puglia non abbiano fatto lo stesso. È circa un anno che noi Verdi chiediamo al Presidente della Regione Puglia un’indagine epidemiologica nell’area di Taranto per verificare la relazione fra morti e l’inquinamento".

Nell’inchiesta risultano indagati Emilio Riva, suo figlio Nicola e i dirigenti Luigi Capogrosso e Ivan Di Maggio. Sono accusati di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato e getto di cose pericolose.

25 giugno 2011

FONTE: gaianews.it
http://gaianews.it/attualita/ilva-di-taranto-il-noe-chiede-il-sequestro-dello-stabilimento/id=10846


Notizia proprio di ieri, la Procura di Taranto nel giro di 24 ore ha emesso il suo "NO" alla richiesta di sequestro dell'immenso complesso siderurgico inoltrata da parte del NOE (Nucleo Operativo Ecologico) vedi: http://www.rassegna.it/articoli/2011/06/27/75628/ilva-taranto-no-al-sequestro-degli-impianti

Era obbiettivamente da prevedersi questa decisione, visti i grandissimi interessi in ballo, interessi che evidentemente superano di gran lunga quelli relativi all'enorme inquinamento ambientale causati dallo stabilimento industriale con ovvie, conseguenti, ripercussioni sulla salute dell'uomo, in particolare su quella dei tarantini. Nulla di nuovo sotto i ponti quindi, e così si va avanti come nulla fosse, con la gente che continuerà ad ammalarsi e a morire come è sempre stato finora.

Marco

sabato 25 giugno 2011

Sono più di 9000 i gruppi di aiuto per le malattie rare

Nel nostro paese circa 9 mila gruppi di aiuto e auto aiuto del terzo settore si occupano di malati affetti da patologie rare. Si tratta nel complesso di circa 130 mila persone coinvolte.
A segnalare l'impegno di volontari ed operatori per questi malati (circa 2 milioni in Italia) - nell'ambito del Forum internazionale della salute Sanit 2011, tenutosi a Roma - sono i Centri di servizio per il volontariato del Lazio, Cesv e Spes, sottolineando che il terzo settore ''da anni supplisce o completa l'intervento pubblico, attraverso la cultura della solidarieta' e l'impegno nella ricerca e nella prevenzione con azioni che vanno dall'educazione sanitaria alla sensibilizzazione di medici di base, pediatri ed operatori scolastici; dalla costituzione di reti di aiuto e auto aiuto al sostegno e finanziamento della ricerca scientifica attraverso campagne di raccolta fondi''.
Il 35% delle famiglie che hanno a carico una persona affetta da malattia rara - secondo uno studio dell'Istituto per gli affari sociali in collaborazione fra gli altri con la Federazione italiana malattie rare Uniamo-Fimr Onlus - e' a rischio di povertà; una famiglia su 4 spende oltre 500 euro al mese (si arriva fino a 2.000 euro). Solo il 17% dei malati ha il centro clinico nella propria città di residenza; il 9% del campione non ha ancora individuato un centro clinico di riferimento e il 20% non ha alcun referente territoriale; il 14% deve spostarsi all'interno della propria regione, mentre il 40% addirittura in un'altra regione. Nell'83% dei casi i pazienti devono affrontare viaggi più o meno lunghi, e quindi sostenere delle spese di viaggio e pernottamento. Secondo il Cesv e Spes, l'occasione dell'Anno europeo del volontariato e' importante per far emergere il lavoro promosso dal volontariato in ambito socio-sanitario: dalla tutela del diritto alla salute alla sensibilizzazione, dall'assistenza alla prevenzione. Un mondo che affianca i tanti volontari che si occupano di assistere i malati in ospedale, che partecipano alla donazione degli organi, alla raccolta sangue, all'assistenza domiciliare, ai gruppi di mutuo auto aiuto, al disagio mentale, alla disabilità e alla malattia cronica, agli hospice e alle residenze sanitarie; mondi che avrebbero bisogno di diventare protagonisti con le istituzioni pubbliche nella scelta di programmazione politica.

21 giugno 2011

FONTE: malattierare.sanitanews.it
http://malattierare.sanitanews.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1736&Itemid=67


Ci tenevo a postare qualcosa sul mondo del volontariato, un mondo troppo sottovalutato e di cui troppo poco si parla, ma che coinvolge una moltitudine di persone di buona volontà. C'è molto bisogno di queste persone perchè, come afferma l'articolo, una larga parte delle famiglie che hanno un malato raro sono a rischio di povertà e si devono sobbarcare onerose spese mediche nonchè viaggi molto lunghi e dispendiosi per andare in quei centri o da quegli specialisti in cui si tratta la propria patologia. Naturalmente i volontari ci sono anche per chi è malato di patologie non rare, e la loro "opera" tocca tutti i settori, da qualla domiciliare, a quella ospedaliera, a tutto il resto.

Marco

venerdì 24 giugno 2011

Troppi agenti chimici e le angurie diventano deformi e «esplosive»

L'abuso di forchlorfenuron ha mandato in rovina interi raccolti. «I campi sembrano terre minate»

PECHINO - Più che campi di angurie, sembrano campi di battaglia. Gli agricoltori cinesi erano convinti di aver trovato il modo di far crescere velocemente i loro frutti e quindi di ottenere un guadagno extra, ma si sono trovati con le campagne devastate e il raccolto da buttare. Anzi, da dare in pasto a pesci e maiali.

EFFETTO «ESPLOSIVO» - La notizia, diffusa dalla televisione di stato cinese CCTV, racconta l'esperienza di alcuni agricoltori della zona di Danyang, nella provincia cinese dello Jiangsu, nell'est del Paese. I contadini hanno abusato di forchlorfenuron - una sostanza chimica che accelera la crescita delle piante - spruzzandolo sui campi principalmente durante il periodo delle piogge e per un tempo eccessivo rispetto al normale. Il risultato è stato «esplosivo»: in senso letterale. Le angurie sono deformi, fibrose e presentano i semi di colore bianco, invece del solito colore nero. Il servizio della tv cinese descrive le campagne intorno a Danyang come «infestate da mine terrestri». «In una sola mattina ho contato 80 angurie esplose - racconta Liu Mingsuo, un agricoltore di Danyang - nel pomeriggio erano diventate 100. Due giorni dopo, ho smesso di contarle: erano troppe». Liu però non è l'unico: «Ci sono almeno altre 20 fattorie colpite da questo fenomeno, per un totale di 45 ettari di terreno». I resti delle angurie esplose sono stati usati per nutrire pesci e maiali.

AGENTI CHIMICI - Le autorità cinesi non vietano l'uso del forchlorfenuron, impiegato anche negli Stati Uniti in particolare nella coltivazione di kiwi e uva, ma l'inchiestta della CCTV dimostra come sia comune in Cina abusare di agenti chimici sia legali, sia, talvolta, illegali come pesticidi e fertilizzanti. Inoltre, il governo cinese ha espresso preoccupazione sull'abuso di additivi impiegati nei cibi, come tinture e dolcificanti, utilizzati sempre con lo scopo di rendere i prodotti più appetibili al pubblico e, di conseguenza, di incrementare le vendite. Secondo Feng Shuangqing, professore alla China Agricultural University, questo problema dimostra come la Cina abbia bisogno di migliorare la normativa in materia di agenti chimici utilizzati in agricoltura e di tutelare la salute dei cittadini.

17 maggio 2011

FONTE: corrieredellasera.it
http://www.corriere.it/esteri/11_maggio_17/cina-angurie-esplosive-agenti-chimici_d49df912-8065-11e0-845d-a4559d849f1e.shtml


Articolo che si commenta da solo.... queste sono le conseguenze dell'uso e abuso di sostanze chimiche come pesticidi, fertilizzanti & C. E meno male che queste angurie non hanno raggiunto la tavola degli uomini!
E' necessario, veramente doveroso, che ci siano leggi e regole più severe in materia di uso di queste sostanze chimiche (dipendesse da me le abolirei del tutto) e sopratutto controlli severi e PENE ESEMPLARI per chi le utilizza in maniera dissennata. La Cina in questo senso si deve dare una regolata, perchè la mia impressione è che laggiù si fa tutto quel che si vuole, e questo non solo per quanto riguarda i prodotti alimentari, ma anche per tutti gli altri prodotti che poi vengono esportati in tutto il mondo (Italia compresa naturalmente), con ovvie, deleterie conseguenze per tutti.

Marco

giovedì 23 giugno 2011

Licenza media via internet


La tredicenne, malata, non può andare a scuola

E' allergica alle sostanze chimiche, quindi deve rimanere in un ambiente bonificato. Dopo aver seguito le lezioni, la ragazzina usa il Web anche per sostenere l'esame.

La guerra contro la malattia la sta combattendo, ma quella contro le limitazioni che le impone l'ha già vinta. Una tredicenne affetta da MCS (Sensibilità Chimica Multipla) che la rende allergica alle sostanze chimiche e ai loro odori, sta sostenendo in questi giorni l'esame di licenza media nella scuola “Lao Silesu”, in via Perdalonga. Lo sta facendo senza uscire da casa, considerato che non potrebbe, altrimenti avrebbe una crisi allergica molto grave. Collegata in videoconferenza dalla sua cameretta, ha già svolto il tema di italiano e le prove di francese e inglese. Oggi è il turno della matematica.

Novità. E' la prima volta che uno studente può sostenere le prove da casa, senza la presenza fisica di un tutor o della commissione. Dopo una serie di verifiche e la presentazione degli esami clinici, i quali dimostrano che la ragazzina non poteva essere a scuola per via della sua patologia, venerdì è arrivato l'OK del ministero.

Il piano. La tredicenne raggiunge così un piccolo traguardo in una vita difficoltosa: entrare in contatto con profumi, coloranti, mobili, tessuti e altro potrebbe esserle fatale. Per questo tre anni fa la scuola “Lao Silesu” ha avviato in via sperimentale un piano di educazione a distanza in videoconferenza, attraverso internet. L'esame finale, però, non era per niente scontato. “Venerdì scorso non c'era la certezza che potessi sostenere l'esame”, racconta la ragazzina dalla sua stanza bonificata, “poi per fortuna tutto si è risolto nel migliore dei modi”.

Il tema. L'adolescente, nella prova scritta di italiano, ha raccontato la propria esperienza. Il tema invitava a scrivere una lettera a un amica e lei ha espresso la gioia per l'esame, elencato i progetti futuri e le difficoltà nella convivenza con la malattia. Ha poi raccontato il trasferimento in un altro centro, dove vive da qualche tempo, perchè in città non poteva tollerare i fumi dei camini dei vicini. “Se sarò promossa”, dice ancora la ragazzina “m'iscriverò al liceo scientifico”.

La commissione. Ora, però, c'è da pensare all'ultima prova scritta e poi agli orali. “Sta andando tutto molto bene”, assicura il presidente della commissione Pierluigi Pusceddu, “l'alunna svolge gli scritti da casa e poi ci invia la copia via fax. Grazie alla videocamera sistemata sul computer possiamo seguirla passo per passo, senza perderla mai di vista, durante tutte le prove”. Anche i due fratellini della tredicenne, affetti della stessa malattia, seguono le lezioni in videoconferenza. “Siamo molto contenti che possa sostenere l'esame”, si rallegra la dirigente scolastica della “Lao Silesu”, Elisabetta Cossu, “grazie alla sensibilità dimostrata dal ministero”.

Giorgia Daga

18 giugno 2011

FONTE: L'Unione Sarda


ENGLISH TRANSLATION:

“Middle School via the Internet”

Thirteen year old sick, cannot go to school.

She’s allergic ( has acute intolerance ) to chemical substances, and must remain in a safe environment. After completing the lessons, the girl even uses the Web to take her exams.

She’s battling the war against this disease, but the war against the limitations imposed by it, has already been won. A 13 year old affected by MCS (Multiple Chemical Sensitivities) which causes her to react to chemicals and their odors, is receiving support these days by being able to take her middle school exams at “Lao Silesu” in via Pardolonga. She’s doing it without leaving her home, considering she’s not able to do so without it causing a very serious allergic reaction. Connected by video conference in her bedroom, she has already completed the Italian assignment, and the French and English test. Today it’s time for Math.

NEWS. It’s the first time a student can take tests at home without the physical presence of a tutor or administrator. After a series of tests and presentation of clinical trials, which show that the girl could not be at school, due to her illness, the “ok” from the ministry was granted on Friday.

THE PLAN. The 13 year old thus reaches a small milestone in a difficult life, as coming in contact with perfumes, dyes, furniture, textiles and more, could be fatal. For that reason, three years ago, “Lao Silesu Middle School” implemented an experimental plan for distance education (Homebound education) via Internet videoconference. The final examination, however, was not guaranteed to be approved. “Last Friday, there was no certainty that I could take the exam”, said the girl from her cleaned up bedroom. “Luckily, everything was resolved in the best possible way”.

THEME. The teenager, in the written Italian test, has recounted her own experience. The topic invited her to write a letter to a friend, and she expressed her joy in being able to take the exam, listed future projects and the difficulties she encounters living with this disease. She told of transferring to another center, where she lived for some time, because in the city she could not tolerate the fumes and smoke coming from her neighbor’s chimneys.
If I’m promoted “, said the girl, “Ill enroll in High School”.

THE COMMISSION. Now, however, it’s time to think about that last written and oral test. “Everything is going very well”, assures the president of the Commission, Pierluigi Pusceddu, “The student does the assignments at home and then sends us a copy via fax. Thanks to the video camera affixed to her computer, we can follow step by step without ever losing sight of the student during the entire exam". Even the two brothers of the 13 year old, also affected by the same illness, follow the lessons via videoconference. “We are very pleased that they are able to take the exam", and commend the leadership of the “Lao-Silesu Middle School”, Elizabeth Cossu, "and equally grateful for the sensitivity shown by the Administration".

Giorgia Daga

18 June 2011

SPRING: L'unione Sarda


Una bellissima notizia quella di questa tredicenne che, nonostante la sua MCS, ha svolto gli esami scolastici delle scuole medie dal proprio domicilio in videoconferenza, al riparo da quelle sostanze tossiche presenti in una normale aula di scuola che potrebbero gravemente nuocerle. E' una storia che ricorda da vicinissimo quella di Niky Frascisco, quel ragazzo che vive su una barca a causa di una grave forma di asma e che, non potendo frequentare una scuola sulla terraferma, segue le lezioni di scuola dalla propria barca in videoconferenza e, allo stesso modo, ha svolto e superato gli esami scolastici.
Credo che la vicenda di Niky e di questa ragazza potranno aprire la strada in futuro anche ad altri ragazzi che, a causa del "dilagare" di questa tremenda patologia, l'MCS appunto, saranno costretti a studiare e a fare gli esami allo stesso modo, cioè senza spostarsi da casa, in un ambiente idoneo alle loro particolari condizioni di salute. Da parte mia mi auguro che qualcosa di simile possa avvenire anche per il lavoro.... il telelavoro, ovvero lavorare da casa propria con il proprio pc, potrebbe essere un modo concreto per permettere ai malati di MCS di lavorare e guadagnare come qualsiasi altra persona, senza correre i rischi correlati alla propria patologia che avrebbero se frequentassero luoghi di lavoro pubblici. Il telelavoro è molto utilizzato all'estero e francamente non mi spiego perchè non potrebbe esserlo anche in Italia, visto il grande numero di persone disabili e malate che hanno notevoli difficoltà a uscire da casa, ma che sarebbero comunque nelle condizioni di poter lavorare. Vedremo un po' se in futuro le cose miglioreranno in tal senso.... per ora godiamoci le conquiste ottenute da questa ragazza, da Niky e dalle loro famiglie.

Faccio infine un ringraziamento particolare alla mia amica Tovah, che ha tradotto questo articolo in lingua inglese, rendendolo così alla portata di tante altre persone nel mondo.

Marco

martedì 21 giugno 2011

Stati vegetativi, il grido d’aiuto delle famiglie

di Francesca Golfarelli

«Dal 1981 centinaia di persone si sono commosse leggendo la vicenda di mia figlia. Decine di politici hanno promesso attenzione e suscitato aspettative che ad oggi sono state deluse. A tutti sempre ho chiesto: che ne sarà di lei dopo di me? E sono ancora qui ad aspettare che qualcuno dia una risposta». Così racconta Romano Magrini, che vive a Sarzana con la figlia Cristina, la giovane donna che vanta il triste primato del coma vigile più lungo che sia conosciuto. «Ho trascorso la vita sui binari dell’indifferenza delle istituzioni verso le famiglie che dedicano tutta la loro energia per offrire ai propri cari una qualità dell’esistenza degna del termine persona. Occorre che fioriscano iniziative concrete di sostegno per l’assistenza domiciliare integrata da una assistenza residenziale per le fasi critiche che minano ulteriormente l’esistenza di chi è nelle condizioni simili a Cristina. Non solo. Serve una risposta istituzionale con la creazione di 'case' dove le persone come mia figlia possano essere accudite quando i familiari decedono o non hanno più forze. Attenzione, però: devono essere accudite con un protocollo familiare personalizzato, lo stesso che gli offriamo tenendoli a casa e facendo così risparmiare lo Stato. Oggi ho la mia bimba e sono sereno. Ma domani cosa le succederà? Chi mi garantisce la sua cura?». Alla pressante richiesta di Magrini si aggiungono tante voci di familiari stremati dalla sofferenza di propri cari e dalla fatica sostenuta per accudirli tra le mura domestiche. «Ho impegnato tutte le mie risorse in questi 13 anni, oltre 450mila euro, per curare mia figlia Barbara e ora per continuare a garantirle una assistenza adeguata devo vendere la casa», afferma Giampaolo Ferrari, pensionato delle ferrovie, padre di una giovane donna che vive a Galliera, nel Bolognese, in stato di minima coscienza dal 1998, dopo un incidente automobilistico avuto a 25 anni mentre raggiungeva il fidanzato.
«Comunque non tornerei indietro – racconta il genitore – perché il profumo di Barbara mi restituisce ogni giorno nuove forze, nonostante che io passi le notti in bianco per controllare i suoi respiri e che non rischi di soffocare. Certo, è dura perché il comune mi chiede anche una tariffa per le due operatrici che mi aiutano a lavarla e dovrò rinunciare pure a loro. Questa situazione mi fa applaudire la normativa in discussione sul fine vita perché tutela chi non può esprimersi. Però a noi vecchi genitori non servono leggi per amare i nostri figli ma solo un concreto aiuto da parte di istituzioni e anche imprese».

Al Sud del nostro Paese il grafico delle attese non varia, come sottolinea Pietro Crisafulli, fratello di Salvatore, un uomo di soli 45 anni che combatte con gli esiti del coma che ancora oggi lo tengono imprigionato in un letto. «Solo qui a Catania – racconta Pietro – seguiamo con la nostra associazione, nata intorno a Salvatore, ben 46 casi. In Italia assistiamo 1.312 persone. Cerchiamo di condividere con altri familiari meno battaglieri le amare conquiste ottenute per mio fratello. Come le ore di fisioterapia e l’idroterapia. Ma se non si concretizzerà in azioni di vero sostegno alle famiglie certamente la cultura della vita rimarrà patrimonio valoriale di pochi sostenuti solo dalla fede».

La fede è l’unica fune a cui si aggrappano in Toscana i genitori di Chiara Ciacci, una ragazza di 34 anni che da 12 anni è in coma vigile dopo un terribile incidente. «Nonostante gli sforzi siamo sempre più soli, schiacciati non solo dalle spese economiche ma anche dalle responsabilità etiche», si lascia sfuggire Rolando Ciacci, il papà di Chiara. Dunque le famiglie battono il pugno sul tavolo per avere – sottolinea Faustino Quaresmini, papà di Moira, la ragazza di Novi Milanese in stato di minima coscienza dal 2000 – «opportunità concrete alle famiglie, aumentando le ore di assistenza domiciliare, agevolando la costruzione di centri di assistenza residenziale per il sollievo, studiando meccanismi fiscali che possano permettere a fondazioni di dedicarsi esclusivamente al 'Dopo di noi'. Io e mia moglie dormiamo a turni sempre attenti che Moira non abbia attacchi o rischi di non respirare». Le notti sono sottratte anche a Monica Nuzzi, moglie di Ermanno, cinquantunenne bolognese colpito da emorragia cerebrale a 47 anni e rientrato a casa dopo un percorso che si è concluso alla Casa dei Risvegli di Bologna. «Ermanno – dice la signora – richiede un impegno enorme che da sola sostengo grazie ad una energia che non so nemmeno io da dove venga. Lavoro perché la pensione non è alle porte, torno a casa e penso a lui giorno e notte. C’era una proposta di legge per anticipare il prepensionamento ai familiari che curano persone in situazioni estreme come quella di mio marito. Questa è una proposta valida, di aiuto concreto, ma bisogna avere accudito il proprio congiunto per almeno 18 anni, altrimenti non c’è il diritto al prepensionamento. Senza proposte che incidano sui bisogni familiari qualsiasi dichiarazione di principio è inutile». Dunque il verdetto è unanime: benvenuta ogni legge che tutela l’esistenza umana ma servono opere concrete che alimentino la cultura della vita «anche con il contributo di privati che vogliano investire sulla dignità della persona».


LA SFIDA PER I MEDICI: IMPARARE AD ASSISTERLI

«Il rafforzamento dell'assistenza domiciliare deve essere lo strumento attraverso il quale le famiglie possono essere messe nelle condizioni di attuare i sostegni vitali alle persone in condizione di minima coscienza». Vincenzo Saraceni è il presidente dell'Associazione medici cattolici. E anche la sua voce si leva per sostenere i nuclei familiari che vivono accanto a un congiunto in stato di minima coscienza. «L'affermazione della cultura a favore della vita - spiega - passa attraverso un impegno concreto che devono assumere Governo e Regioni nei confronti di quelle famiglie, e sono tante, che scelgono ogni giorno di assistere nel proprio domicilio familiare, le persone in stato di grave compromissione della salute. Accanto agli aiuti assistenziali ed economici alle famiglie bisognerà potenziare una rete di assistenza per tutte le condizioni di malattia: penso agli hospice, alle cure palliative, alle Rsa». La Associazione è in prima linea anche su questo fronte. «La diffusione della cultura della vita è il fulcro dei nostri 60 anni di storia. Lo facciamo con una testimonianza personale nel nostro lavoro e lo facciamo anche attraverso lo sforzo di affermare nel mondo della salute e della sofferenza un modello di medico che sia vocazionale».
Significativa anche la presa di posizione dell'Associazione italiana medici di famiglia.
«L'aiuto al paziente e alla sua famiglia - afferma il presidente Tristano Orlando - può venire solo dalle persone che professionalmente partecipano alla assistenza al paziente, rendendo dignitoso e sostenibile il momento più difficile per una persona umana». Orlando sottolinea il ruolo dei medici di base. «Il medico di famiglia non è particolarmente esperto di assistenza a questa particolare condizione. Ma la nostra Associazione è particolarmente impegnata nella formazione dei propri iscritti sia nella terapia del dolore che dei problemi derivanti dalla necessità di avviare una nutrizione artificiale». Poi aggiunge: «Nei programmi di aiuto al paziente e alla famiglia devono partecipare anche altre figure professionali come infermieri professionali, assistenti alla persona e all'ambiente familiare, non escludendo l'intervento dello psicologo e dell'assistente sociale. Ma è al medico di famiglia che rivendico la responsabilità del team multi professionale». (F. Gol)

12 maggio 2011

FONTE: Avvenire


Estremamente significativo questo articolo che parla del grande disagio che le famiglie in cui si trovano persone in stato vegetativo o con disabilità gravissime, devono affrontare... famiglie che scelgono di occuparsi dei propri cari dal loro domicilio affrontando sacrifici veramente al limite dell'umano. Che cosa chiedono queste famiglie, che danno veramente tutta la loro Vita, per Amore dei propri cari? Chiedono alle istituzioni di avere un maggiore aiuto assistenziale, perchè questi malati abbisognano di un attenzione costante 24 ore al giorno, di avere possibilmente un aiuto economico dal momento che si occupano loro stessi dei propri cari, "sollevando" così lo Stato da questo gravoso (e oneroso) impegno, e infine chiedono precise garanzie affinchè venga assicurato un futuro assistenziale ai propri cari, possibilmente in case adeguatamente strutturate, quando loro non saranno più in grado di farlo per questioni di età o perchè non ci saranno più.
Non posso fare altro che unirmi al coro di queste STRAORDINARIE persone e augurarmi che lo Stato si decida veramente ad occuparsi di loro, ascoltando e soddisfacendo le SACROSANTE richieste di aiuto e assistenza che queste famiglie chiedonto. Questo è quello che deve fare un paese Civile, questo AL DI SOPRA DI TUTTO !

Marco

sabato 18 giugno 2011

Salvatore Crisafulli, una vita ad occhi sbarrati
















 

Un gigante che lotta contro tutto e tutti fissando sempre una meta 

Quando entro in quella casa tutto parla di lui, nonostante lui sia l'unico a non poter parlare. Anche i muri sono intrisi di esperienze, di episodi, di dolore. Salvatore Crisafulli è lì, in quella stanza fatta a sua misura, piena di macchinari e di medicine, immerso in quel cielo dipinto e cosparso di tante stelline bianche, a simboleggiare il suo abbraccio con ciò che di più grande esiste sopra di lui; e lui, col suo carattere mai rassegnato, accetta, anzi lotta per farne parte. Ci accoglie sua madre, una donna minuta, segnata dal tempo e dalla fatica passati a curare quel figlio che con forza ha detto sì alla vita, nonostante gli eventi e le circostanze abbiano lottato tanto contro di lui.
Salvatore è un uomo di quarantacinque anni, e prima di quel disastroso incidente era una persona come tante, sposata e padre di quattro figli; aveva un lavoro e una vita tutta sua. La sua normalità, però, si interrompe quel giovedì 11 settembre 2003, quando Salvatore, allora trentottenne, nel recarsi al lavoro a bordo della sua vespa, viene violentemente investito da un furgone che lo sbalza in aria. L'incidente è gravissimo e Salvatore rischia la vita a causa delle pesanti lesioni cerebrali che lo portano ad uno stato comatoso di quarto grado. Ma la forza di quest'uomo non si ferma; la sua voglia di vivere è più forte della pressione della morte.
Contro tutti i referti e contro ogni aspettativa Salvatore si sveglia dal coma e piange; ma non può più muoversi, né comunicare. E' imprigionato nel suo stesso corpo che non risponde ai suoi impulsi, tanto da indurre i medici a non credere nel risveglio, motivando le lacrime e i piccoli movimenti quali riflessi incondizionati. Ma Salvatore è vivo e, come racconta in seguito nel suo libro “Con gli occhi sbarrati” scritto grazie ad un sofisticato comunicatore elettronico, sente ogni erronea diagnosi medica; e piange quando i suoi cari lo accarezzavano e gli parlavano convinti che possa sentirli.
E' sua madre a continuare a credere in lui, oltre i confini della scienza, oltre la logicità, animata dal legame inscindibile con quel figlio “vivo”. Col passare degli anni Salvatore compie piccolissimi passi avanti, esce dall'ospedale per provare a vivere una vita quanto più “normale” possibile in casa, accudito dalla madre, dal fratello Pietro e dai familiari tutti che non si sono mai arresi all'evidenza. Ma la diagnosi è pesante e troppo dura da accettare: sindrome del Loched-in, che blocca ogni suo movimento, ogni sua parola, ma che gli consente di capire e di sentire tutto.
Dopo sette anni, però, le forze cominciano a venir meno e Salvatore, forse per provocazione o forse per troppo amore nei confronti dei suoi cari, decide di “staccare la spina”. La famiglia annuncia a gran voce attraverso le televisioni, i giornali e le radio l'abbandono da parte delle istituzioni, troppo miopi e distanti dai reali bisogni di Salvatore e di tutte le migliaia di persone affette dal suo stesso problema. Salvatore torna sui suoi passi e durante una trasmissione televisiva dichiara “a gran voce” col suo silenzio di voler continuare a vivere. Poi una speranza.
Un medico russo operante in Israele, il professor Vassiliev, che da anni indirizza la sua attività alla cura delle alterazioni cerebrali attraverso un metodo innovativo da lui stesso brevettato che vanta in alcuni casi una percentuale di successi pari al 100%. Pietro si catapulta nel progetto, nell'ennesimo tentativo di restituire al fratello la dignità di uomo, strappatagli prima dall'incidente e poi dal silenzio e dall'indifferenza delle istituzioni. “Non importa quanto costoso sarà questo intervento.
Ci vogliono circa sessantamila euro. Vendo tutto. Ho messo in vendita anche l'auto attrezzata per disabili con la quale trasportiamo Salvatore per i suoi controlli o per quei pochi momenti di svago. Significa che per adesso ci attrezziamo diversamente. Ma mio fratello deve vivere e deve vivere al meglio”, mi dice Pietro con un misto di amore e orgoglio da fare arrossire quanti non hanno mai mosso un dito. Gli stanno accanto migliaia di amici, stretti attorno a lui nell'Associazione Sicilia Risvegli Onlus (www.siciliarisvegli.org), fondata dallo stesso Pietro, e che in questo momento sta svolgendo una campagna di sensibilizzazione eccezionale al fine di riuscire a raccogliere la somma necessaria a portare Salvatore in Israele; gli sta accanto il mondo del social network dove Salvatore è considerato un eroe e nei quali si formano gruppi spontanei col comune scopo di stare accanto al “gigante”.
Sì, gigante, perchè nonostante sia immobilizzato in un letto, nonostante non possa parlare, nonostante le avversità, è questo ciò che vedo davanti a me: un gigante, che lotta contro tutto e tutti, fissando sempre la meta coi suoi occhi sbarrati.

Luca Reina

Giugno 2011

FONTE: La Zona Franca Catania


Riporto con molto piacere questo splendido articolo tratto dal settimanale "La Zona Franca" di Catania e uscito in questo mese, sulla drammatica situazione di Salvatore Crisafulli.
Ho già parlato di Salvatore su questo blog e mi auguro di poterlo fare anche in futuro.... magari dando la notizia della sua partenza per la clinica del Dott. Vassiliev in Israele, un viaggio verso la speranza che Salvatore e la sua meravigliosa famiglia si augurano di intraprendere quanto prima.

Invito tutte le persone che leggeranno questo articolo a dare una mano concreta a Salvatore a realizzare il suo desiderio.... e per aiuto concreto intendo donare, donare anche pochi euro per permettergli di intraprendere questo viaggio della speranza. Le coordinate per aiutarlo si trovano a questo link: http://www.siciliarisvegli.org/
Tante gocce formano il mare, e ognuno di noi può essere parte di questo mare di Amore e Solidarietà che potrà condurre Salvatore verso un futuro migliore. Avanti allora, ciascuno dia il "suo".... tutti uniti per Salvatore.

Marco

giovedì 16 giugno 2011

La protesta dei malati di Sla a Tremonti "Più risorse per le terapie e la ricerca"

Le persone affette da Sclerosi Laterale Amiotrofica si sono costituite nel "Comitato 16 novembre" per chiedere al ministro dell'Economia un incremento degli investimenti dedicati alla conoscenza della patologia con un'incidenza di 3 casi su 100 mila


ROMA - Ancora non esiste un censimento sulle persone affette dalla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), in Italia. A tutt'oggi, ci sono soltanto ipotesi sul numero dei malati: secondo l'Associazione Luca Coscioni sarebbero dai tremila ai quattromila; ma la stima non è certa. L'unico dato sicuro, per ora, è quello sull'incidenza: due, tre casi ogni centomila abitanti.

Il farmaco. Per combattere la SLA viene utilizzato il Riluzolo, farmaco che però non ha un effetto curativo: agisce soltanto rallentando il decorso di questa patologia che parte dalla spina dorsale e poi si estende a tutto il corpo, fino a immobilizzarlo del tutto. Si perdono anche la fonazione e la deglutizione. La ricerca scientifica deve individuare nuove terapie, più adeguate e più efficienti. Perché ciò accada è necessario ottenere risposte concrete dal governo, sia sul piano legislativo sia finanziario. Per questo, alcuni malati assieme ai loro famigliari si sono costituiti nel "Comitato 16 novembre" e rivolti direttamente al ministero dell'Economia e delle finanze.

Il pressing sul ministero. Il Comitato ha cominciato a fare pressing sul ministero del Tesoro già un anno fa. Poi, di nuovo quest'anno: il 17 maggio scorso una delegazione di circa venti malati, accompagnati dai propri cari, si sono dati appuntamento in via XX settembre, per chiedere un aiuto economico. Per quattro ore i membri del gruppo hanno provato a dialogare con il ministro Tremonti. Alla fine, non ricevendo risposta, hanno deciso di bloccare il traffico. "Soltanto a quel punto si è materializzato un sottosegretario che ha garantito l'erogazione di un finanziamento di 100 milioni di euro da destinare alle Asl, gran parte dei quali vincolati per la ricerca - racconta Roberto Presenti, un amico molto vicino a Laura Flamini, una delle malate presenti il giorno -. Abbiamo aspettato intere ore prima che venissimo ascoltati. Hanno perfino dovuto prestarci la corrente: ci hanno passato un cavo da una finestra perché mentre aspettavamo si è scaricata la batteria di una delle persone affette da Sla".

L'effetto di una protesta. Laura Flamini, una delle malate, promotrice del Comitato che ha avviato la protesta contro il ministero dell'Economia, spiega: "Con la manifestazione abbiamo ottenuto che un decreto di 100 milioni di euro lasciasse il tavolo di Tremonti, sul quale dormiva da mesi, per raggiungere prima il Consiglio dei ministri per la firma e poi la Corte dei conti - racconta Laura Flamini, colpita tre anni fa dalla SLA -. E semmai dovesse trovare nuovi ostacoli torneremo con le nostre carrozzine, ventilatori, aspiratori e sondini a protestare!".

La debole speranza di vita. Chi soffre di Sclerosi Laterale Amiotrofica, mediamente, non vive più di tre anni; in alcuni casi si arriva fino a cinque. La ricerca sta muovendo grandi passi: è stato individuato un gene, la spatacsina, coinvolto nella forma ereditaria della SLA. Quella che colpisce i giovani e costituisce il cinque per cento delle forme a oggi conosciute. Ma c'è ancora tanto da fare. Anche dall'Istituto neurologico Carlo Besta arriva qualche speranza: secondo alcune ricerche l'Epo o eritroproteina, sostanza dopante utilizzata nel ciclismo, potrebbe avere un effetto neuro protettivo per i malati di SLA. I risultati però non sono ancora certi.

9 giugno 2011

FONTE: laRepubblica.it
http://www.repubblica.it/solidarieta/volontariato/2011/06/09/news/la_protesta_dei_malati_di_sla_a_tremonti_pi_risorse_per_le_terapie_e_la_ricerca-17467234/


E' più che mai doveroso che la ricerca in campo medico vada avanti e questo in particolar modo per una malattia terribile come la SLA. Certo non è bello sapere che i malati di questa tremenda malattia siano costretti a scendere in piazza, a rischio della propria vita, per cercare di ottenere fondi a aiuti dallo Stato, nello specifico per "sbloccare" un fondo di 100 milioni di euro destinati alla ricerca e alle famiglie dei malati di SLA e fermo per chissà quale ragione sul tavolo del ministro Tremonti da molto tempo. Purtroppo i tanti tagli operati dal nostro governo hanno colpito sopratutto le categorie più deboli, come i malati di SLA per l'appunto, e anche i fondi destinati alla ricerca sono stati molto ridimensionati.
Ora all'orizzonte ci sono nuove speranze: la scoperta di questo gene, la spatacsina, coinvolto nella forma ereditaria della SLA, e poi la possibilità di utilizzare l'eritropoietina (EPO), sostanza molto conosciuta e passata agli onori della cronaca per il suo utilizzo come sostanza dopante nello sport (non solo nel ciclismo), che potrebbe essere il nuovo orizzonte per la cura di questa malattia (anche se non c'è ancora nulla di certo). Aggrappiamoci a queste scoperte e auguriamoci che la ricerca e la sperimentazione non si fermino mai, ma anzi, che si possa investire maggiormente in essa. Per il bene di tanti malati.

Marco

domenica 12 giugno 2011

Nucleare, appello oncologi: al referendum votare si'

Gli oncologi italiani si schierano compatti contro il nucleare. Come anticipato nei giorni scorsi, arriva oggi dal congresso Asco di Chicago, il piu' importante incontro mondiale di oncologia, l'appello dell'Aiom, l'associazione italiana di oncologia medica, a votare SI' al referendum del 12 e 13 giugno. "Il nucleare e' la cosa piu' cancerogena che esista - sottolinea il presidente dell'Aiom Carmelo Iacono - e non e' controllabile, come ha dimostrato Fukushima. Lasciamo stare le centrali, puntiamo sulle energie alternative, che sono poco inquinanti e non presentano i rischi enormi per la salute che ha il nucleare". Per gli oncologi, insomma, non ci sono dubbi: "Troppi rischi per giustificare i benefici. Anche perche' non rischia solo chi e' vicino alla centrale nel caso, come abbiamo visto non improbabile, di incidente: pensiamo al mare, ai pesci, e quindi alla catena alimentare, le coltivazioni. Gia' la battaglia contro i tumori e' dura, non ci sembra proprio il caso di aumentare ulteriormente i rischi, e che rischi. E sia chiaro, a scanso di equivoci: la nostra non e' una presa di posizione politica, ma esclusivamente tecnica, da scienziati. Non si puo' che andare a votare - conclude Iacono - e votare si'".

4 giugno 2011

FONTE: affaritaliani.it
http://affaritaliani.libero.it/ultimissime/flash.asp?ticker=040611210942&refresh_ce


"Il nucleare è la cosa più cancerogena che esista"... queste sono le parole di Carmelo Iacono presidente dell'Aiom (Associazione italiana di oncologia medica).
Direi che queste parole dicono già tutto... un ulteriore motivo per andare a votare il referendum e votare SI' per dire NO al nucleare. Per il bene di tutti, e sopratutto per il bene delle generazioni future.

Marco

sabato 11 giugno 2011

"Ho lavorato una vita nel nucleare vi spiego perché voterò sì al referendum"


Oltre due decenni di esperienza nel settore, visitando una sessantina di reattori in tre continenti, con la convinzione che le precauzioni prese negli impianti rendessero impossibile una catastrofe. Poi Three Miles Island, Chernobyl, Fukushima: tre disastri in meno di 30 anni...

Di Alberto Barocas

Dopo essere stato allibito per l'incoscienza delle dichiarazioni di uno scienziato, il professor Battaglia (la pubblicazione di una sua opera scientifica con la prefazione di Silvio Berlusconi parla da sé), su un tema così importante per la sorte dell'umanità, mi sento costretto ad intervenire avendo dedicato tutta la mia vita professionale alla ricerca e sviluppo del nucleare ed essendo stato per lungo tempo "abbastanza" a favore dell'energia nucleare.

Dopo una laurea in Radiochimica presso l'Università di Roma e successivo Corso di Perfezionamento in Fisica e Chimica Nucleare, ho lavorato presso i laboratori di ricerca del plutonio di Fontenay-aux-Roses (Francia) nelle ricerche e tecniche del plutonio per l'impianto di riprocessamento del combustibile nucleare di La Hague. Ritornato in Italia ho partecipato, nei laboratori di ricerca della Casaccia (CNEN, ora ENEA), alla messa a punto degli impianti di separazione del plutonio di Saluggia e successivamente allo studio dei siti nucleari in vista della costruzione di centrali di energia nucleare. Dal 1982 sono stato distaccato dal CNEN presso l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) di Vienna dove mi sono occupato prevalentemente di salvaguardie nucleari, in particolare per i reattori nucleari di potenza e di ricerca nel mondo. Per 22 anni ho avuto la possibilità di visitare ed ispezionare una sessantina di reattori in tre continenti, in particolare in Giappone ed in particolare proprio Fukushima.

Durante l'intera attività ero giunto alla conclusione che le precauzioni utilizzate negli impianti nucleari fossero tali da rendere praticamente impossibile un grosso incidente nucleare. Proprio il Giappone si presentava ai miei occhi come il modello per eccellenza di organizzazione, di perfezione, di attenzione al più piccolo dettaglio: l'energia nucleare o doveva essere realizzata così o non doveva esistere. Ed invece... Three Miles Island, Chernobyl, Fukushima... tre catastrofi in meno di 30 anni.

Oggi sono completamente convinto che i rischi dell'energia nucleari siano tali da consigliarne l'utilizzo solo se non ci fossero sulla Terra altre fonti di energia o dopo una guerra nucleare. Voterò quindi SI al referendum per le seguenti ragioni:

a) la progettazione di una centrale nucleare avviene sulla base di dati statistici puri, cioè su una probabilità estremamente bassa di un grosso incidente, anziché basarsi sul fatto che un incidente anche imprevedibile possa avvenire (per esempio: chi avrebbe mai potuto calcolare statisticamente che otto montanari dell'Afghanistan si potessero impadronire contemporaneamente di quattro jet di linea facendoli convergere sulle Torri di New York, sul Pentagono e sulla Casa Bianca? Chi potrebbe calcolare statisticamente la possibilità dell'impatto di un meteorite?) e quindi progettando nello stesso tempo le soluzioni e le difese: naturalmente questo però aumenterebbe enormemente i costi ed allora bisogna ricordarsi che l'energia nucleare è un'industria come tutte le altre, cioè che vuole fare profitti;

b) gli effetti di un grosso incidente non sono come gli altri: terremoti, inondazioni, incendi fanno un certo numero di vittime e danni incalcolabili, ma tutto questo ha un termine. L'energia nucleare no: gli effetti si propagano per decenni se non secoli, con un disastro anche economico per il Paese colpito. I discendenti delle bombe di Hiroshima e Nagasaki ancora subiscono danni. Altrimenti perché il deterrente di una guerra nucleare funziona talmente? Anche i bombardamenti "classici" causano morti molto elevate, ma non portano a danni simili per generazioni...

c) il blocco dell'energia nucleare in Italia del 1987 ha avuto il torto di fermare di botto non solo le quattro centrali in funzione (Trino Vercellese, Caorso, Latina, Garigliano) e la costruzione di Montalto con spese immani per un pazzesco riadattamento dell'impianto nucleare ad una centrale di tipo classico, ma altresì ogni tipo di ricerca nucleare, anche di eventuali impianti innovativi, creando un pericolo, dato l'impauperamento di una cultura "nucleare": non esistevano più corsi di scienze nucleari, né tecnici, né possibilità di tecnologie di difesa da eventuali incidenti in altre nazioni. E questo non è richiesto dalla rinuncia all'uso di centrali atomiche: la ricerca e lo sviluppo del nucleare dovrebbe poter continuare;

d) la presenza di impianti di produzione di energia nucleare porta ad una militarizzazione delle zone in questione: non c'è trasparenza, ogni dato viene negato all'opinione pubblica. Anche agli ispettori dell'AIEA viene proibito di comunicare con la stampa. Lo dimostra anche quello che è successo a Fukushima: il gestore ha tenuto nascosto per lungo tempo la gravità dell'accaduto. E in un territorio come il Giappone, sottoposto non solo a terremoti ma a tsunami, il costo di una maggiore precauzione per gli impianti di raffreddamento è stato tenuto il più basso possibile senza tenere conto dei rischi solamente per fare più profitto!

e) in tutto il mondo non è stato mai risolto il problema dello smaltimento delle scorie mucleari. Nell'immenso deposito scavato in una montagna di Yucca Mountain in USA si sono dovuti fermare i lavori, il maggiore deposito in miniere di sale della Germania si è dimostrato contaminato con pericoli per le falde acquifere, ecc. Il combustibile nucleare delle nostre centrali fermate è in gran parte ancora lì dopo 25 anni. D'altra parte un Paese come il nostro che non riesce a risolvere il problema dei rifiuti può dare garanzie sui rifiuti nucleari?

f) l'Italia è un paese sismico, dove l'ospedale e la casa dello studente dell'Aquila sono crollate perché al posto del cemento è stata usata sabbia. Può dare garanzie sugli impianti nucleari? E la presenza di criminalità organizzata a livelli preoccupanti può liberarci da particolari preoccupazioni nella scelta e costruzione di centrali atomiche?

g) ultima osservazione: anche se molti minimizzano gli effetti delle radiazioni nucleari, una cosa si può dire con certezza: gli effetti delle radiazioni a bassi livelli ma per tempi estremamente lunghi sugli esseri viventi non sono stati mai chiariti. Non deve essere solo il fumo a preoccupare l'opinione pubblica!

Per tutte queste ragioni penso che in Italia l'uso dell'energia nucleare non sia raccomandabile, perlomeno in questa fase della nostra storia, ed invece un miscuglio di diverse fonti di energia (eolica, solare, idrica, gas, geotermica) potrà sopperire ai nostri bisogni, accompagnato da una maggiore ricerca scientifica ed un diverso modello di vita con maggiore eliminazione degli sprechi. Io voto sì.

10 giugno 2011

FONTE: larepubblica.it
http://www.repubblica.it/ambiente/2011/06/10/news/perch_voter_si_al_referendum_sul_nucleare-17463456/?ref=HREA-1


Bella, preziosa ed esaustiva questa lettera, nella quale un esperto del settore dell'energia nucleare, e sopratutto di centrali nucleari, spiega perchè voterà SI' al referendum sul nucleare.
Tutte le sue motivazioni per dire NO al ritorno del nucleare in Italia le trovo perfettamente condivisibili e assolutamente ragionevoli. E questa lettera, mi ripeto, non l'ha scritta un novellino, ma un vero esperto del campo che ha lungamente lavorato nel settore del nucleare, visitando e ispezionando tante centrali in varie nazioni del mondo tra cui anche il Giappone e sopratutto quella di Fukushima.
Ognuno di noi tragga le sue conclusioni..... da parte mia non esito a dire che voterò anche io SI' per dire NO al ritorno del nucleare in Italia.

Marco

giovedì 9 giugno 2011

Oltre 130 incidenti nucleari in 50 anni. Ecco tutti i disastri di cui nessuno parla.


Quando si parla di incidenti nucleari, la stragrande maggioranza della gente pensa immediatamente a Fukushima e a Cernobyl. Quello che la maggior parte della gente ignora però, è che negli ultimi 50 anni si sono verificati oltre 130 incidenti nucleari, in ogni parte del mondo.
Solo nell'anno 2008, quindi ben prima del disastro di Fukushima, gli incidenti registrati sono stati 5: uno in Giappone, due in Francia, uno in Svezia e uno in Slovenia, di cui uno francese e quello sloveno al confine con l’Italia, quindi per ben due volte abbiamo rischiato di rimanere “cotti” dall’atomo.

Il primo incidente nucleare della storia, se non vogliamo considerare incidenti le due bombe della Seconda Guerra Mondiale, lo registriamo nel lontano 1952, a Chalk River, la prima centrale nucleare canadese, a pochi chilometri da Ottawa. Un errore di un tecnico portò alla semidistruzione del nocciolo del reattore. Questo portò alla dispersione del liquido radiattivo che contaminò le acque, e a diverse esplosioni di idrogeno che contaminarono l’aria. Per fortuna non ci furono vittime perchè la zona era abbastanza isolata. Pochi mesi più tardi negli Stati Uniti ci furono però i primi morti, 4 precisamente, a causa dell’esplosione del reattore Argon. Uno dei più grandi disastri ambientali accaduti, e mai raccontati, almeno da questa parte dell’Oceano, accade solo 3 anni più tardi, nel ’55, quando una nave-appoggio, la Fori-Rosalie della Royal Navy, Inghilterra, affondò nell’Atlantico. Tutto si aggravò perchè quella nave trasportava 1500 recipienti con una tonnellata di residui atomici per ognuno. I danni provocati all’Oceano ancora non sono calcolabili.

Nel complesso in Europa possiamo contare 90 incidenti nucleari, più che in tutto il resto del mondo. I maggiori responsabili di questi incidenti sono i francesi, che hanno 58 centrali nucleari, e detengono il record della nazione europea più disastrosa, secondi nel mondo solo agli Stati Uniti. Molti danni sono stati anche creati dall’Unione Sovietica e dalla Spagna.
E l’Italia? Checchè se ne pensi, anche l’Italia ha dato il suo triste contributo, per ben 9 volte. La prima nel 1964, quando un guasto alla centrale di Garigliano portò quasi alla catastrofe, cioè si sfiorò lo stesso incidente di Cernobyl. Solo che Garigliano non era isolata come la centrale ucraina, ma si trovava nel cuore dell’Italia, e se fosse effettivamente esplosa, ora non saremmo qui a raccontarvelo. Solo 3 anni dopo, nel ’67, a Trino Vercellese un guasto impose la chiusura per 3 anni. Il problema fu che, nonostante non fosse più utilizzata, ci si dimenticò della perdita di trizio radiattivo che proveniva dalla centrale e si scaricava direttamente nel Po. E nessuno in 3 anni fece niente per fermarla. Nel 1969 altro pericolo per l’Italia. Due guasti alla centrale di Latina fecero mancare l’alimentazione alla strumentazione. La prima volta fu trovata una soluzione tutta italiana, e si tentò di arrangiarsi in qualche modo, al secondo ostacolo si decise di chiudere la centrale.
1974, nella centrale di Casaccia si rompe un recipiente che conteneva plutonio. Nessuno ha saputo com’è andata a finire. Il 22 novembre del ’75 per una volta la responsabilità non era nostra. Due navi americane, la portaerei J. F. Kennedy e l’incrociatore Belknap si scontrano vicino la Sicilia. A bordo dell’incrociatore c’erano armi nucleari, ma l’incendio divampato a bordo dopo lo scontro è stato fermato pochi metri prima che raggiungesse il deposito.
1978, Caorso, fughe dalle turbine della centrale nucleare, le valvole non tengono, le strutture portanti che dovrebbero sostenere e contenere i gas radioattivi sono mal progettate e lasciano uscire quantità immani di sostanze pericolose. La centrale verrà chiusa. Nel 2003 gli americani si ripetono. Vicino le coste della Maddalena il sottomarino Hartford s’incaglia nella Secca dei Monaci. La tragedia viene solo sfiorata perchè il comandante riesce a disincagliare la nave prima che il danno diventi irreparabile.
L’evento peggiore è accaduto solo qualche anno fa, ma nessuno ne ha saputo niente. Ancora nella centrale di Casaccia, nonostante l’opposizione del popolo italiano di far entrare materiale radiattivo sul proprio territorio, dalla centrale Enea c’è una fuoriuscita di plutonio. 6 dipendenti (ma c’è chi è pronto a giurare che fossero 14) rimangono contaminati. Le autorità ammettono l’incidente, sempre comunque sotto silenzio, solo 4 mesi dopo l’accaduto.

Tra gli incidenti nucleari più gravi, come se si potesse fare una classifica delle tragedie, ricordiamo quello di Windscale, a 500 km da Londra, quando ci fu una fuga di radioattività pari ad un decimo della bomba atomica sganciata su Hiroshima. La nube radioattiva arrivò fino in Danimarca e le autorità, per difendere la propria popolazione dalla radiattività della zona colpita, pari a 20 volte in più del normale, vietò di bere latte in un raggio di 50 km, facendo gettare 600 mila litri di latte ogni giorno. Pochi giorni dopo un’altra centrale inglese, quella di Sellafield, fu colpita da un incendio, generando una nube radioattiva che attraversò l’Europa causando almeno 300 morti (ufficiali, quindi vi lascio immaginare quanti possano essere quelli reali). L’anno dopo tra gli Urali un’esplosione di scorie radioattive fece centinaia di morti e migliaia di contaminati. Migliaia di km ancora oggi sono recintati. Uno scontro tra un B-52 e un B-28 americani nel 1966 fece cadere 4 bombe all’idrogeno su Palomares, in Spagna. Due esplosero. Non ci furono morti accertati, ma ancora oggi quelle zone sono radiattive e la gente continua a coltivare tranquillamente, senza sapere a cosa va incontro. Nel ’68 un incidente simile al precedente, stavolta in Groenlandia, porta ad ammalarsi di cancro le circa 100 persone destinate a bonificare l’area. A Tallin (Urss), nel ’76, salta in area una centrale nucleare sotterranea, provocando la morte di oltre 100 persone e contaminando centinaia di migliaia di km con Iodio 131. L’anno successivo a El Ferrol, Spagna, una fuga radioattiva contamina un centinaio di persone. Peggio ancora quello che accade tre anni dopo nel Tennessee, dove la fuoriuscita di uranio riesce a contaminare 1000 persone, mentre oltre 300 persone vengono contaminate nell’81 per lo stesso problema in Giappone, a Tsuruga. Nel 1997 un incidente tra un trattore e un camion che trasporta isotopi radioattivi fa fuoriuscire sostanze tossiche che innalzano il livello di radioattività della zona di 25 volte più del normale. Nel ’99 in Giappone una serie di esplosioni nella centrale di Tokaimura portano alla morte di 3 persone e alla contaminazione di altre 450, di cui 119 molto gravi, e alla fuoriuscita di uranio. Intorno alla centrale si rilevano valori tra i 10 e i 20 mila volte superiori alla norma.

Alla fine, escludendo il disastro di Fukushima le cui conseguenze sono ancora da valutare, possiamo contare circa 3.400 morti a causa dell’atomo (di cui 2500 solo a causa di Cernobyl), più un numero imprecisato di contaminati, che è impossibile da stimare. Sono in realtà numeri enormemente in difetto poichè è impossibile quantificare il numero dei decessi reali avvenuti nel tempo a causa delle radiazioni. Per la sola Chernobyl infatti, la New York Academy of Sience ha stabilito che sono almeno 1 milione i morti effettivi, più altre 250mila vittime in Europa per tumori e leucemie causati dalla nube tossica.
Dopo i numerosi incidenti, peraltro non più gravi di altre parti del mondo, accaduti in Germania, è stato deciso di chiudere gradualmente tutte le 19 centrali nucleari sul territorio. La prima è stata chiusa nel 2001, l’ultima lo sarà entro la fine del 2022.


Questi, in ordine cronologico, gli incidenti nucleari registrati dal 1952 al 2004

1952 Chalk River (Canada). L'errore di un tecnico provocò una reazione che portò alla semidistruzione del nocciolo del reattore.

1952 USA. Un incidente con reattore Argon. 4 morti accertati.

1955 Febbraio, Atlantico. La nave appoggio Fori-Rosalie della Royal Navy affonda nell'Atlantico 1500 recipienti contenenti ciascuno una (1) tonnellata di residui atomici a 1.600 Km dalle coste inglesi e a 2.000 metri di profondità.

Ottobre 1957 Windscale (GB). Fusione del nocciolo (l'incidente più grave che possa accadere in una centrale). Il reattore viene inondato. Fuga di radioattività pari al 1/10 della bomba atomica di Hiroshima. La nube radioattiva arriva fino in Danimarca. La radioattività su Londra si eleva 20 volte oltre il valore naturale (Londra dista da Windscale 500 km). Il consumo di latte è vietato in un raggio di 50 km (ogni giorno vengono gettati 600.000 litri di latte).

1957 Sellafield (Gran Bretagna). Un incendio nel reattore dove si produceva Plutonio per scopi militari generò una nube radioattiva imponente. La nube attraversò l'intera Europa. Sono stati ufficializzati soltanto 300 morti per cause ricondotte all'incidente (malattie, leucemie, tumori) ma il dato potrebbe essere sottostimato.

1957 Kyshtym (Unione Sovietica). Un bidone di rifiuti radioattivi prese fuoco ed esplose contaminando migliaia di Kmq di terreno. Furono esposte alle radiazioni circa 270.000 persone.

1958 Usa. Un incidente a Oak Ridge: 12 persone investite dalle radiazioni.

1958 zona Urali (Urss). Catastrofe nucleare a causa dell'esplosione di un deposito di scorie radioattive. Centinaia di morti. Decine di migliaia di contaminati. Migliaia di km. ancora oggi recintati.

1961 Idaho (Usa). Esplosione del reattore: 3 morti. Non si sono contati gli intossicati dentro e fuori l'impianto. Il grado di contaminazione dei corpi dei deceduti risultò così alto che le teste e le mani furono tagliate e sepolte in un deposito di scorie radioattive. L'impianto è stato definitivamente chiuso.

1964 Usa. Incidente al reattore Wood River: (1) un morto.

1964 Garigliano (Italia). Guasto al sistema di spegnimento di emergenza del reattore. Si è andati vicino alla catastrofe.

1966 Belgio. Il fisico Ferdinand Janssen intossicato viene portato all'ospedale Curie di Parigi.

1966 Ottobre, Lagoona Beach (Usa). Alcune piastre di protezione si staccano e bloccano il circuito di raffreddamento del reattore auto-fertilizzante Enrico Fermi (61 Mw) per cui si ha surriscaldamento; il dispositivo di arresto automatico non funziona; il reattore riprende la sua attività soltanto nel 1970; e nel 1972 viene fermato definitivamente.

1967 Trino Vercellese (Italia). Fessurazione di una guaina d'acciaio di una barra di combustibile con conseguente chiusura della centrale per 3 anni. Per buona parte di questo tempo la centrale ha scaricato nelle acque del Po Trizio Radioattivo.

1967 Francia. Fusione di elementi combustibili nel cuore del reattore di Siloe (Grenoble). Ciò provoca la liberazione di Iodio 131 e Cesio 137 nell'acqua di raffreddamento del reattore. Si liberano gas radioattivi nell'aria.

1968 Den Haag (Olanda). Per un «errore tecnico» si libera nella centrale Up 2 del materiale radioattivo. La radioattività nell'aria della città supera di 100 volte i limiti «accettabili».

1968 Gennaio, Chooz (Belgio). Grave incidente nel reattore ad acqua leggera. La riparazione è durata 2 anni e 2 mesi. Nel 1970 il reattore è guasto di nuovo.

1968 Agosto, Brenìllis (Spagna). La centrale si blocca completamente. La riparazione è durata 3 anni.

1968 Francia. Il reattore di Monts Arreé si arresta per un incidente. Periodo di riparazione: 3 mesi.

1969 Garigliano (Italia). Sette arresti alla centrale per guasti.

Febbraio 1969 Latina (Italia). Arresto alla Centrale di Latina per mancanza di alimentazione alla strumentazione. (A Marzo si avrà ancora un grosso guasto alla stessa centrale).

Gennaio 1969 Lucens (Svizzera). Dopo sole 7 ore di funzionamento si ha surriscaldamento con rottura di guaine ed infiltrazione di acqua contaminata nel sotterraneo. La grotta contenente la centrale è stata murata definitivamente.

1969 Germania. Per fessurazioni molteplici delle turbine il reattore Gundremmingen sul Danubio viene chiuso per 3 anni.

1969 Usa. Incendio nel reattore di Rocky-Flats. Durante l'incendio si perde Plutonio.

1969 Francia. Parecchi chilogrammi di Uranio vanno persi durante un incidente a Saint Laurent des Eaux. Le riparazioni durano parecchi mesi.

1970 Belgio. Altro incidente nel cuore del reattore di Chooz.

1970 Chicago (Usa). L'impianto Edison perde 200.000 litri di acqua contaminata.

1970 Usa. Il reattore da 600 Mw Dresden 2 sfugge completamente al controllo per 2 ore per un guasto ad una apparecchiatura di controllo.

1971 Den Haag (Olanda). Rottura di un tubo per il convoglia-mento di acqua radioattiva.

1971 Kansas. Si scopre che la miniera di sale scelta per lo stoccaggio delle scorie radioattive, al riparo dell'acqua, è piena di buchi e l'AEC (Ente USA per l'Energia Nucleare) è costretto a improvvisare dei piani di stoccaggio in superficie.

1971 Francia. Fournier rivela in «Charlie Hebdo» n. 14 che un tecnico del centro nucleare di Saclay ha tentato, due anni prima, di suicidarsi dando fuoco al laboratorio in cui lavorava.

1972 Francia. Due militanti del gruppo ecologico «Survivre et Vivre» scoprono che più di 500 fusti di residui radioattivi su 18.000 conservati all'aperto al centro di ricerche nucleari di Saclay, hanno larghe fenditure che lasciano così sfuggire la radioattività.

1972 Francia. Un operaio portoghese che non conosce i segnali di pericolo lavora parecchie ore in una sala irradiata del centro di Saclay.

1972 Francia. Ancora al centro di Saclay sfuggono dieci metri cubi di liquidi radioattivi.

1972 Usa. Due lavoratori nell'impianto di Surry muoiono per l'esplosione dei tubi di un sistema di sicurezza mentre ispezionano tubi già difettosi.

1973 Marzo, Chinon (Francia). Arresto definitivo della centrale nucleare di Chinon I, dopo soli 11 anni di funzionamento. Di fatto la centrale ha mosso le turbine per 43.000 ore, ossia per 5 anni.

1973 Hanford (Usa). La AEC ammette che nei 15 anni precedenti si sono verificati 15 incidenti in cui si sono liberati liquidi radioattivi per un totale di 1.600.000 litri.

1973 Settembre, La Hague (Francia). Fuga di gas radioattivo. 35 lavoratori sono contaminati di cui 7 gravemente.

1973 Settembre, Windscale (GB). Nell'officina di ritrattamento si ha un rigetto di radioattività. 40 lavoratori sono contaminati.

1973 Novembre, Hanford (Usa). Si ha la (17^) diciassettesima fuga di liquidi radioattivi. Gli accumuli di Plutonio in una fossa vicino alla città sono così grandi da rendere possibile una reazione a catena.

1973 Dicembre (Usa). Di 39 reattori, negli Usa, 13 sono fuori servizio. Brown's Ferry lavora al 10%, Peach Botton al 2%, Connec 2 al 20%.

1973 Den Haag (Olanda). 35 addetti agli impianti sono intossicati (7 in modo molto grave). Nubi di gas radioattivo si diffondono per 15 minuti sulla campagna.

1974 Usa. Da un'inchiesta risulta che più di 3.700 persone che avevano accesso ad armi atomiche hanno dovuto essere licenziate. Motivi: demenza, decadimento intellettuale, alcolismo.

1974 Sevcenko (Urss). Reazione tra il Sodio (usato come liquido refrigerante) e l'Acqua con generazione di Idrogeno e Soda Caustica (che a sua volta corrode il circuito di trasporto del fluido). Il risultato è una grossa esplosione.

1974 Aprile, (Austria). Qualcuno contamina volontariamente il treno Vienna-Linz con Iodio 131 e Iodio 113. Dodici (12) persone vengono ricoverate. Gli autori dell'attentato non sono mai scoperti.

1974 Maggio, Casaccia (Italia). Si spacca un recipiente contenente Plutonio. Non si sa altro.

1974 Maggio, (Usa). L'USAEC comunica che 861 anomalie si sono prodotte nel 1973 nei 42 reattori in funzione; che 371 avrebbero potuto essere serie e che 18 lo furono realmente (di cui 12 con fuga di radioattività).

1974 Usa. Una nube radioattiva di Trizio si forma per una fuga di gas da un condotto della centrale di Savannah Mirex, in Carolina. La nube va lentamente alla deriva ad una altezza di 70 metri.

1974 Francia. A 60 anni dall'avvio di una fabbrica di Radio, nonostante il suo smantellamento, si libera ancora una radioattività significativa. L'acquirente del terreno di Gyf-sur-Yvette sul quale la fabbrica è situata scopre in vari punti fonti radioattive che superano 50 volte la dose massima consentita.

1974 Belgio. L'acqua della condotta Visé, captata nel Pletron, contiene da 2 a 3 volte più Radon 22 (gas radioattivo) del massimo ammesso per una popolazione adulta vicina ad una centrale.

1975 Gennaio, Usa. Viene ordinata la chiusura di 23 reattori per guasti nel sistema di raffreddamento, vibrazioni anormali e piccole fughe di gas radioattivo.

1975 Germania. Il 19 Novembre muoiono 2 operai nel reattore di Gundremmingen. I due dovevano riparare una valvola. Escono 4 litri di vapore radioattivo ad una pressione di 60 atmosfere e ad una temperatura di 270°C.

1975, 22 Novembre, Italia. Due (2) navi americane, la portaerei J.F.Kennedy e l'incrociatore Belknap, a bordo della quale vi erano armi nucleari, (come testimonia l'allarme in codice 'broken arrow' che fu lanciato dal comandante della sesta flotta americana e che indica appunto un incidente che vede coinvolte armi nucleari) si scontrano al largo della Sicilia. La Belknap prese fuoco e fu gravemente danneggiata, ma l'incendio venne fermato a pochi metri dal magazzino che conteneva le armi atomiche.

1975 Marzo, Brown's Ferry (Usa). Per cercare correnti d'aria nella cabina di comando della centrale viene usata una candela che appicca il fuoco a tutti i cavi elettrici bloccando tutti i sistemi di sicurezza. Si riesce a rimediare fortunosamente (per un resoconto più dettagliato di questo grave incidente vedi il «Corriere della Sera» del 2/7/1977, p. 3.). Secondo il calcolo delle probabilità questo incidente può verifi-carsi in un caso su mille miliardi!

1976 Gennaio, Germania. Sempre a Gundremmingen la neve caduta in abbondanza spezza le linee elettriche che convogliano l'energia prodotta nel reattore. Questo, spento con la procedura d'emergenza, fu soggetto ad una tale pressione interna che le valvole di sicurezza si aprirono e liberarono vapore radioattivo.

1976 Windscale (GB). Il reattore contamina di Iodio 131 centinaia di miglia di territorio.

Ottobre 1976 Tallin (Urss). Salta in aria una centrale atomica sotterranea: almeno cento persone sono morte. Le autorità sovietiche negano ma dopo il 25 Ottobre, e per una settimana almeno, il quotidiano Russo ha pubblicato una decina di necrologi ogni numero (Per un resoconto più dettagliato di questo incidente vedi «Panorama» de 30/11/1976, p. 145.).

1977 Bulgaria. Nella centrale di Klozodiy, a causa di un terremoto, salta la strumentazione di controllo del reattore. Grazie ai tecnici che sono riusciti a fermare la reazione, l’Europa ha evitato conseguenze gravissime.

1977 Aprile, El Ferrol (Spagna). Fuga radioattiva. Più di 100 persone contaminate.

1978 Maggio, Caorso (Italia). Il giorno del collegamento della centrale con la rete elettrica (26 Maggio '78) si sono avute fughe limitate nel reparto turbine. Ci sono valvole che non tengono, strutture portanti, come i tiranti che sostengono i tubi del gas radioattivo, mal progettati con calcoli sbagliati.

1979 Three Mile Island, Harrisburgh, Usa. Il surriscaldamento del reattore provocò la parziale fusione del nucleo rilasciando nell'atmosfera gas radioattivi pari a 15000 terabequerel (TBq). In quella occasione vennero evacuate 3.500 persone.

1982 USA. Nella centrale di Giuna, uno dei tubi del sistema refrigerante sì fessura e scarica acqua bollente radioattiva.

1982 USA. Dopo l’incidente di Giuna si scoprono in altre sette centrali oggetti di metallo dimenticati nelle condotti. Molti impianti sono così fermati perché ritenuti poco sicuri.

1986 Chernobyl, Unione Sovietica. L'incidente nucleare in assoluto più grave di cui si abbia notizia. Il surriscaldamento provocò la fusione del nucleo del reattore e l'esplosione del vapore radioattivo. Si levò al cielo una nube pari a 12.000.000 di TBq di Materiale Radioattivo disperso nell'aria (per avere un'entità del disastro confrontate questo valore con i 15.000 Tbq del precedente incidente nucleare registrato nel 1979 a Three Mile Island negli Usa). Circa 30 persone morirono immediatamente, altre 2.500 nel periodo successivo per malattie e cause tumorali. L'intera Europa fu esposta alla Nube Radioattiva e per milioni di cittadini europei aumentò il rischio di contrarre tumori e leucemia. Non esistono dati ufficiali sui decessi complessivi ricollegabili a Chernobyl dal 1986 ad oggi.

1989 Finlandia. Avaria nel sistema di controllo nella stazione di Olkiluoto.

1990 Germania. Infiltrazione di tritio nella stazione nucleare di Kruemmel.

1991 Finlandia. Spegnimento manuale dovuto ad un incendio nella stazione di Olkiluoto.

1991 Germania. Incidente durante il rifornimento di carburante nella stazione di Wuergassen.

1992 Germania. Avaria nel sistema di raffreddamento nella centrale di Brunsbuttel.

1995 Germania. L'Alta Corte Tedesca decide che la licenza di attività concessa alla stazione di Mülheim-Kärlich è illegale, a causa della mancata considerazione, in fase di concessione, del rischio di terremoto nella zona.

1996 Germania. Un programma della TV Tedesca, Monitor, svela che la Siemens ha compiuto numerosi errori durante la costruzione della stazione di Kruemmel.

1997 Germania. 20.000 dimostranti si affollano presso il deposito di scorie radioattive di Gorleben per manifestare contro il trasporto di scorie nucleari.

1997 Germania. Un treno trasportante liquido nucleare deraglia di fronte alla stazione di Kruemmel.

1999, 8 Gennaio, Francia. Centrale di Cruas Meysse, 65 persone evacuate dopo che si sono accese le luci d’allarme radioattivo.

1999, 11 Marzo, Francia. Centrale del Tricastin, un (1) contaminato.

1999, 16 Giugno, Russia. Centrale di Seversk, 2 contaminati per fuga radioattiva.

1999, 23 Giugno, Ucraina. Centrale di Rivno, principio incendio.

1999, 4 Luglio, Ucraina. Centrale di Zaporozhie (Ucraina), bloccato un reattore per precauzione.

1999, 12 Luglio, Giappone. Centrale Tsuruga, bloccato reattore per una perdita acqua.

1999, 17 Luglio, Ucraina. Centrale di Cernobyl, 3 operai contaminati.

1999 Tokaimura, Giappone, 1999. Un incidente in una fabbrica di Combustibile Nucleare attivò la reazione a catena incontrollata. Tre persone morirono all'istante mentre altre 450 furono esposte alle radiazioni (119 in modo grave). La mattina di giovedì le autorità rivelano che, a causa di una fuoriuscita d’uranio, si è innescata una fissione incontrollata nel nocciolo del reattore. Alle 10:30 scatta l’allarme, alcuni operai sono stati contaminati in modo molto grave. Alle 12:41 la Polizia crea un 'cordone' intorno alla centrale, si capisce che l’incidente sta diventando più grave del previsto. Alle 15:18 alcune famiglie residenti nei pressi della centrale vengono evacuate. Alle 21:00 si tiene una riunione di emergenza e il governo comprende a questo punto la gravità dell’incidente; oltre 300000 persone invitate a stare in casa. Alle 24:00 la radioattività attorno e dentro all’impianto raggiunge livelli tra le 10 e le 20 mila volte superiore alla norma. Alle 02:30 del giorno seguente 18 tecnici operi nell’impianto accettano una missione da veri 'kamikaze', devono entrare nell’impianto per fermare la reazione a catena, ben consapevoli che, terminata la missione, non sarebbero più stati gli stessi. Alle 06:00 le autorità affermano che la radioattività è scesa a zero (0). Dopo si accerterà che è stato un errore umano, i tecnici stavano infatti trasportando, all’interno dell’edificio dove si tratta l’Uranio usato come combustibile nella vicina centrale nucleare, due barili di miscela di Uranio-Acido Nitrico (che venivano miscelati a mano, con un rudimentale imbuto, di 30 kg ognuno: questi sono involontariamente caduti terra ed essendosi miscelati, hanno innescato la reazione. I tecnici che hanno fermato la reazione sono all’ospedale in gravissime condizioni.

1999, 2 Ottobre, Ucraina. Centrale di Khmelitskaya, blocco del reattore per malfunzionamento.

1999, 4 Ottobre, Corea del sud. Centrale di Wolsong, 22 operai contaminati.

1999, 5 Ottobre, Finlandia. Centrale Loviisa, perdita di Idrogeno.

1999, 8 Ottobre, Giappone. Deposito di scorie a Rokkasho, fuoriuscita radiazioni.

1999, 20 Ottobre, Francia. Superphenix, un incidente arresta lo scarico di materiale radioattivo.

1999, 27 ottobre, USA. 'I bambini statunitensi residenti vicino le centrali nucleari di New York, New Jersey e Florida hanno nei denti un 'radioisotopo' (lo Stronzio 90) che li espone ad un rischio tumore molto alto'. Così Ernest Sternglass, professore di radiologia all'università di Pittsburgh ha esordito nell'ultima conferenza stampa del progetto no-profit di 'radioprotezione e salute pubblica'. Lo sconcertante risultato è stato ottenuto dai ricercatori statunitensi che hanno analizzato 515 bambini residenti negli Stati di New York, New Jersey e Florida. I livelli di radioattività rilevata nei campioni, raccolti dal 1979 al 1992, erano molto vicini a quelli osservati a metà degli anni '50 quando Stati Uniti e Unione Sovietica, in piena guerra fredda, si dilettavano negli esperimenti con le armi invisibili. Secondo i responsabili del progetto i livelli di radioattività dovevano invece essere scesi intorno allo zero. 'Se gli esperimenti nucleari sia di superficie, sia sotterranei sono effettivamente terminati, i primi sospetti cadono sui reattori nucleari e sui relativi incidenti', ha detto Sternglass, che ha aggiunto: 'II mondo è troppo piccolo per gli incidenti nucleari'. I responsabili del progetto attribuiscono parte di questa radioattività al disastro avvenuto nel 1979 a Three Mile Island e a quello di Chernobyl nel 1986. Ci sono documenti federali che testimoniano la fuga nucleare dal reattore di Suffolk (New York) nei primi anni '80.

1999, 18 Novembre, Scozia. Centrale di Torness, un tornado precipita a meno di 800 metri dall’impianto.

1999, 13 Dicembre, Russia. Centrale Zaporozhe, fermato reattore.

2000, 5 Gennaio, Francia. Centrale di Blayais, una tempesta costringe a fermare 2 reattori per allagamento.

2000, 15 Febbraio, USA. Reattore Indian Point 2, fuga vapore radioattivo.

2001 Germania. Esplosione di una parte dell'impianto di Brunsbuettel.

2004, 9 agosto, Giappone. Nel reattore numero 3 nell’impianto di Mihama, 350 chilometri a ovest di Tokyo, una fuoriuscita di vapore ad alta pressione, con una temperatura superiore ai 200 gradi, è costata la vita a quattro (4) operai. Altri sette operai sono in condizioni molto gravi. Si è trattato del più tragico incidente nella storia dello sfruttamento dell'energia nucleare a fini civili in Giappone. L’azienda Kansai Electric Power, che gestisce la centrale, si è affrettata a comunicare che : 'Non c’è stata contaminazione radioattiva!'.

2004, 9 agosto, Giappone. altra centrale non precisata. A quanto ha riferito l'agenzia Kyodo, le fiamme sono divampate nel settore dove vengono smaltite le scorie, adiacente al reattore numero 2, in un impianto situato nella prefettura di Shimane. Anche in questo caso non c’è stata alcuna fuga radioattiva...

2004, 9 agosto, Giappone. Incidente nella centrale nucleare della Tokyo Electric Power Company (Tepco), la più grande impresa produttrice di energia in Giappone. La società ha comunicato che il generatore dell’impianto di Fukushima-Daini è stato fermato per una perdita di acqua.

FONTI: ecologiae.com, cipiri6.blogspot.com



Credo che i dati espressi in questo lungo ed esauriente scritto parlino da soli: non esistono centrali nucleari sicure e l'incidente, la disattenzione, l'imprevisto è sempre dietro l'angolo. Oltre a tutto questo però, oltre alla possibilità di avere degli incidenti, cosa possibilissima anche in centrali di ultima generazione come dimostrato con il disastro di Fukushima, è stato dimostrato che il nucleare fa male alla salute anche se non ci sono incidenti! Da studi recentemente fatti, emerge infatti che vi è un significativo aumento di casi di leucemie e tumori infantili in bambini che vivono nelle vicinanze delle centrali nucleari. E poi c'è il problema delle scorie nucleari, rifiuti pericolosi che rimangono radioattivi per secoli o addirittura per millenni! Nessuno sa come mettere in sicurezza queste scorie o come finanziare un sistema di gestione di queste scorie radioattive che regga per millenni. Insomma, i problemi legati alle centrali nucleari sono molteplici e gravi, e non è veramente pensabile che questa possa essere la strada per avere energia in fututro. Riflettiamo su tutto questo, riflettiamo e facciamo il nostro dovere di bravi cittadini che vogliono vivere in un mondo migliore, andando a votare al referendum del 12 e 13 giugno.

Marco