lunedì 31 dicembre 2012

Luca Bucchi, da parà ad artista surrealista


L´artista disabile, il pittore Luca Bucchi, ripercorre le fasi più importanti della sua vita, dalla passione per il volo, all´incidente con la conseguente riabilitazione, fino alla scoperta delle sue doti artistiche. 
 
LA PASSIONE PER IL VOLO

Fin da bambino Luca Bucchi ha la passione per il volo e uno dei suoi obiettivi primari è di diventare pilota, motivo per il quale decide di effettuare il servizio militare nel corpo dei paracadutisti sia per rimanere a contatto con gli aeroplani sia per avere un brevetto da parà che qualcosa poteva comunque valere…

L' INCIDENTE

Ma non sono i lanci con il paracadute a cambiare la vita di Luca Bucchi: nel luglio 1985 un incidente tanto banale quanto grave che lo renderà tetraplegico. Una domenica come tante, al mare con gli amici, un attimo di distrazione, un tuffo nel posto sbagliato… Comincia un calvario fatto di visite, ricoveri, complicazioni fino alla decisione presa nel gennaio del 1986 con i medici militari di andare a curarsi in Germania, perchè sembrava che in Italia non esistessero le condizioni per venir fuori da questa situazione. 


LA RIABILITAZIONE

Accompagnato da tutta la famiglia, Luca Bucchi parte per il centro specializzato per la riabilitazione della paratetraplegia di Heidelberg. Nei sei mesi trascorsi in Germania a Luca Bucchi viene insegnato a credere in se stesso, a sentirsi parte della società ad imparare a non essere visto con pietismo. La madre lo assisterà costantemente per tutto il periodo con grande coraggio.

IL RIENTRO A ROMA

All´epoca Roma non era certamente una città a misura di disabile. Luca Bucchi si chiude in casa e solo pochi amici con la stessa passione per il volo ed il modellismo vanno a trovarlo. Luca Bucchi impiega diversi anni prima di riprendere una vita sociale normale e mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti in Germania.

ARTISTA DISABILE: DIPINGERE CON LA BOCCA

Luca Bucchi è anche appassionato di disegno e pittura tanto che si diploma Maestro d´Arte. Sa che ci sono molti artisti disabili di valore. Non avendo l´uso delle dita delle mani apprende la tecnica di dipingere con la bocca diventando anche membro di un associazione di pittori che dipingono con la bocca e con i piedi. L´arte diventa la sua professione ma è anche un momento di libertà, libertà di pensiero. Il Surrealismo e la Metafisica sono l´interesso primario di Luca Bucchi che riesce così a mettere sulla tela liberamente i suoi sogni. Si ispira a Magritte, Dalì e De Chirico. Ma il maestro che ha insegnato a Luca Bucchi le tecniche è Riccardo Fiore Pittari. Luca Bucchi sottolinea la grande capacità del nostro cervello nel sapersi adattare alle circostanze aiutandoci ad imparare, per esempio, piedi e bocca al posto delle mani. E´ infatti molto più difficile imparare le tecniche e gli equilibri stilistici piuttosto che usare la bocca al posto delle mani.

IL FUTURO, RITORNO ALLE ORIGINI...


Luca Bucchi ora si esercita con il simulatore di volo che ha in casa. Ogni tanto, insieme al suo istruttore, compie dei voli sull´aliante. Il sogno di domani è poter tornare a pilotare un aereo.

FONTE: abilitychannel.tv
http://www.abilitychannel.tv/video/luca-bucchi-da-para-ad-artista-surrealista/


Come ultimo post di questo 2012, ho scelto di raccontare la storia di Luca Bucchi, un uomo divenuto disabile per un banale incidente che ha saputo "reinventarsi" artista, pittore di valore con l'uso della bocca. Un cammino il suo che non è stato semplice, ma che l'ha visto tornare in campo con tenacia e determinazione.... in attesa del prossimo sogno da concretizzare: tornare a pilotare un aereo !


E tant
i tanti cari Auguri a tutti, per un 2013 radioso, pieno di sorprese e positività, serenità e coraggio, Fede e Amore, nonostante le difficoltà che la vita propone.
Ma non c'è difficoltà che non possa essere affrontata e superata.... non dimentichiamocelo mai !
AUGURONI !!!

Marco

venerdì 28 dicembre 2012

Disabilità, come sconfiggerla. La storia di Nicola Gatto, laureato disabile con lode


Pochi giorni fa ha destato scandalo la notizia di un’insegnante romagnola che ha maltrattato uno studente disabile tetraplegico. Proprio la professoressa di sostegno, colei che avrebbe dovuto tutelare il ragazzo, ha finito per rendere ancora più difficile la sua permanenza tra i banchi.
Come non ricordare poi il caso del 2008 in cui, addirittura alle elementari, una maestra ha schernito un suo studente autistico di 5 anni davanti alla classe intera chiedendo se fosse il caso di sbattere fuori il bambino.
Tanti, troppi svantaggi riguardano i disabili. A questi si aggiungono, purtroppo, quelli che l’università impone a chi decide, nonostante le già notevoli difficoltà personali, di raggiungere la laurea. Ciò nonostante c’è chi riesce a portare a termine con successo questo percorso e, nel caso di Nicola, addirittura con lode.

Nicola si è iscritto a Roma alla Facoltà di Lettere nel 2008. Un percorso arduo e difficoltoso durato cinque anni lo ha portato, pochi giorni fa, a festeggiare una laurea meritatissima. È emozionante incontrarlo mentre tiene tra le mani la sua Tesi su Carducci e ci racconta, dalla sua sedia a rotelle, un percorso che gli ha cambiato la vita.

Caro Nicola, come mai hai deciso di intraprendere il percorso universitario?

Non volevo che fosse la mia disabilità a fermarmi. Sapevo di potercela fare. Lettere è sempre stata la mia passione fin da piccolo e arrivare alla laurea era il mio sogno.

Quali sono state le difficoltà che hai trovato sul tuo cammino?

Potrei elencarne molte, le barriere architettoniche, la mancanza di ascensori, aule troppo piene che mi hanno reso difficile l’ingresso e la permanenza in aula e così via. Però, nonostante ciò, la maggiore difficoltà è data dallo sguardo di chi ti guarda come fossi diverso, con una costante aria di compassione. Io non ho bisogno di essere compatito. So badare benissimo a me stesso.


E lo hai sicuramente dimostrato. L’università ti è stata accanto in questo percorso?

Fortunatamente non sono il primo che sceglie questa strada e dunque l’università era preparata a un’evenienza del genere. Se non è esattamente perfetta la condizione delle strutture in cui mi sono imbattuto, devo però far presente che le persone che ho incontrato mi sono tutte state accanto. Dagli assistenti ai professori, dalle persone incaricate della pulizia ai vari responsabili dell’ufficio disabili.

Com’è stato il tuo rapporto con questo ufficio?

Ottimo, davvero ottimo. La loro più grande forza è non farti sentire inferiore a nessuno.

 
Rifaresti la scelta di laurearti?


Assolutamente si, questa è una soddisfazione che mi porterò dentro per sempre.

Pensi, in base alla tua esperienza, che il diritto allo studio sia universalmente garantito?

Bisogna saper lottare per i propri diritti. Se lo si fa allora si riesce ad ottenere quel che si vuole.

 
Com’è stato invece il rapporto con i tuoi colleghi?

Come accade a tutti capita di fare amicizie o di litigare. Ciò che conta è che effettivamente si vive.

Cosa consigli a chi ha una disabilità ma vuole intraprendere il percorso accademico?


Non ho alcuna intenzione di passare la vita fermo. La sedia ha le rotelle proprio per consentirci di muoverci! A prescindere dalla disabilità, che sicuramente può rendere più difficile il cammino, consiglio di seguire la propria strada e cercare comunque di realizzare i propri sogni. Riuscirci o no non è la cosa più importante. Ciò che conta è provarci. Sempre più persone con disabilità riescono a farsi strada, persino a livello sportivo tra i cosiddetti normodotati. Bisogna crederci, questo è quello che conta.


In seguito a questa intervista ci siamo recati presso l’ufficio disabili dell’università per avere maggiori dettagli sul percorso seguito da Nicola.

Come vi siete trovati con Nicola? Che tipo di ragazzo è stato?


In una parola: coraggioso. Nicola è ben conscio della sua disabilità ma al contempo sa bene che finché è disposto a impegnarsi e a lottare non sarà certo essa a fermarlo.

Quando è arrivato nel 2008 come si è presentato?


Noi gli abbiamo chiesto: “vuoi raccontarci qual è la tua disabilità e come la vivi?”. Lui per tutta risposta si è limitato ad affermare “non ha importanza, voglio la laurea ed è questo che conta”.

 
Dunque all’inizio era restio ad avere le vostre cure?

 
In una fase iniziale si perché pensava lo avremmo trattato con compassione, sentimento che avverte da molte altre persone che lo circondano. Quando ha capito che il nostro sarebbe stato un rapporto alla pari, sincero, onesto, senza remore di alcun tipo, allora si è lasciato andare.

Normalmente trovate più difficoltà a trattare con i ragazzi con disabilità?


Bisogna considerare che ogni ragazzo ha una storia diversa e vive in maniera diversa la sua disabilità. Alcuni sono già giunti a un buon livello di serenità, altri hanno bisogno di lavorarci.

Sapete che nei ringraziamenti della tesi di Nicola ci siete anche voi? Ve l’ha raccontato?


Nicola ci ha raccontato una copia della sua tesi, nella speranza che serva d’insegnamento anche a tutti gli altri ragazzi che hanno il suo stesso sogno. Sembra banale dirlo ma è proprio vero che c’è tanto da imparare dagli studenti, soprattutto da studenti come Nicola.


Una storia a lieto fine dunque ma che fa riflettere sugli ostacoli, sulle difficoltà che uno studente disabile deve incontrare per realizzare il sogno della laurea. Oltre le barriere architettoniche ci sono gli sguardi compassionevoli, l’indifferenza, il menefreghismo: ostacoli molto più difficili da combattere di qualunque barriera. Nicola, però, ci ha dimostrato che anche questo è possibile con la giusta determinazione.

di Tommaso Caruso

15 dicembre 2012

FONTE: controcampus.it
http://www.controcampus.it/2012/12/disabilita-come-sconfingerla-la-storia-di-nicola-gatto-laureato-disabile-con-lode/


Una bella storia, quella di Nicola Gatto, che ci insegna a non fermarci dinanzi alle difficoltà del nostro vivere quotidiano, ma ci sprona ad andare avanti sempre e comunque, per inseguire i nostri sogni che possono certamente diventare realtà.
A tal proposito bisogna dire che sempre più persone invalide al giorno d'oggi raggiungono la laurea, e questa è certamente una cosa molto positiva. E come dice giustamente Nicola: "
Riuscirci o no non è la cosa più importante. Ciò che conta è provarci".

Marco

martedì 25 dicembre 2012

Conta la mia Felicità


Mi chiamo Roberto Bignoli, sono sposato, e ho due bellissime bambine, Mariachiara e Mariastella. Hanno una bellissima voce, fanno già concorrenza al loro papà. Ringrazio il buon Dio di avere una moglie straordinaria: Paola. Perché sopportare un elemento da sbarco come il sottoscritto richiede molta pazienza. Sono un soggetto abbastanza difficile, nonostante quello che racconto e canto, però sono contento di quello che ho fatto in questi anni viaggiando un pò in tutta Italia e all'estero, offrendo in musica una storia raccontata attraverso una canzone, una vita, che in fondo è la storia, la vita di tante persone che incontro.

Quando hai iniziato a fare musica?


Ho iniziato fin da ragazzino a fare musica. Mi ricordo che quando ero in collegio - a causa del mio handicap ho vissuto i primi 15 anni in vari istituti: tra cui il Don Gnocchi di Milano - alle volontarie oltre a chiedere i giochi tipici dei bambini, tipo pistole e spade o giochi di soldatini, chiedevo anche di portarmi degli strumenti musicali. Tanto é vero che ogni volta che accendevo una televisione già mi vedevo in quel contenitore. Crescendo, ho coltivato questa passione e questo amore, prima con canzoni più romantiche, successivamente molto più dure, più impegnate, che facevano parte di un periodo della mia vita abbastanza violento, per poi arrivare alla riscoperta di Dio ed a raccontare questa nuova esperienza attraverso un linguaggio musicale. Ho sempre amato la musica, quindi portare una testimonianza di fede soprattutto raccontando con semplicità tutta la mia storia, tutto quello che ho vissuto, tutto quello che é successo, senza pretendere di fare grandi miracoli, grandi prodigi, senza pretendere che la gente debba credere in ciò che propongo e in ciò che dico, è quello che sento giusto per comunicare la speranza attraverso la mia semplicità, la mia storia, le mie canzoni.

1984, Medjugorie: cos’è stata per te questa esperienza?

 
Sicuramente è stata un’esperienza bellissima, semplice. Intanto quando si parla di Medjugorie si parla di apparizioni mariane ed anche io, come tanti ragazzi di allora, ero affascinato e incuriosito da tutto quello che sentivo raccontare: questa Madonna che scendeva dal Cielo sulla terra, che faceva miracoli. Ovviamente io mi trovavo in una situazione molto difficile della mia vita, un periodo veramente molto buio. Ed avevo bisogno di un miracolo. Non il miracolo di una guarigione fisica, ma interiore. Quindi sono andato anche io e ho vissuto questa esperienza molto bella nella semplicità e devo dire che questo miracolo è entrato a far parte della mia vita. Sono felicissimo di questa mia esperienza e mi rendo perfettamente conto che quando io la racconto non tutti riescono a digerirla e a capirla. Ma questo non conta, quello che conta é che la mia vita é cambiata e che io sia più sereno.... Che cosa pensa la Chiesa? Beh, io non voglio dare giudizi. Chiaramente di fronte alle apparizioni, giustamente, la Chiesa é abbastanza prudente, nel senso che prima di confermare certe realtà, c’è bisogno di un giusto percorso. Ma credo che la cosa più importante è guardare quello che é successo e quello che sta succedendo, cioè questa moltitudine di conversioni, di cuori che cambiano. Questo é il grande miracolo, di cui secondo me la Chiesa può far tesoro. Occorre che tutti capiscano che c’è bisogno anche del Soprannaturale. Se parliamo di Dio, insomma, questo benedetto Dio non é che esistito solo 2000 anni fa e ha fatto i suoi bei miracoli, con Gesù, quando é venuto. Dio agisce anche nel tempo presente - in maniera molto particolare e anche molto normale, in maniera straordinaria o in maniera ordinaria, nel mio caso quello che conta e che io malgrado le mie stampelle e la mia storia abbia trovato la gioia e la serenità nel cuore.

Com’è cambiata la tua vita dopo l’incontro con Dio e la fede?


È stato molto difficile. Intanto a quei tempi io vivevo a Varese, non avevo una bella reputazione, perché negli anni ‘80 ho vissuto un’esperienza legata alla contestazione, frequentavo i gruppi dell'estrema sinistra. E nonostante le stampelle, ero un tipo abbastanza visibile. Nelle piazze mi vedevano spesso coinvolto in manifestazioni varie di cui mi sentivo orgoglioso perchè credevo fermamente che attraverso la violenza si poteva cambiare il mondo. Inoltre ero noto anche per la mia attività musicale. Quando la mia vita é cambiata, chi già mi conosceva non riusciva a credere al mio cambiamento e diceva: “Non é possibile che Roberto improvvisamente entra in una Chiesa e comincia a pregare, a fare il Rosario e a cantare delle canzoni così….
”. E' stato molto duro il confronto con la gente che conoscevo, perchè io stesso ero condizionato dai loro giudizi e avevo un certo timore di confrontarmi. Ma quando sono tornato e con semplicità ho raccontato del mio viaggio e della mia storia, anche se mi prendevano per un pazzo, o mi ridevano in faccia, malgrado la sofferenza ho avuto il coraggio e la forza di domandarmi “ma che razza di amici siete?”. L’amicizia vuol dire anche condividere. Tu puoi anche non credere, però certe esperienze, ascoltarle non fa male. Quindi fra dubbi, incertezze e tra sofferenze sono arrivato a questa conclusione: nella mia vita ci sono state un sacco di pazzie… (nel passato ho fatto uso di droga, ho creduto nella beat generation, nella violenza, nel successo etc) ma alla fine la cosa più bella è stata aver ritrovato la fede e di non aver più avuto paura di testimoniare la mia fede.

Nelle tue canzoni si parla di un Dio che deve intervenire attivamente nella vita dell’uomo, il quale invece tende a sentire Dio quasi indifferente alle proprie vicende, quasi incapace di amore e di amare…


Probabilmente sai, in fondo é perché io ho sempre avuto bisogno di amore, cioè: se tu pensi alla mia storia, la mia infanzia l’ho vissuta tra ospedali e collegi, quindi a me é mancato l’affetto, al di là del fatto che io avessi dei problemi fisici. In fondo io volevo stare nella mia casa, con la mia famiglia, quindi non riuscivo a capire perché anno dopo anno venivo sballottato da un istituto all’altro. Questo mi ha fatto molto soffrire, avevo questo bisogno forte di amore. Infatti anche queste esperienze che ho fatto da ragazzo, le ho fatte perché comunque io credevo in questi ideali. Si parlava di amore, io mi ricordo al Parco Lambro eravamo insieme, d’accordo degli spinelloni, sballati... ma cercavamo l’amore, l’unità. Io cercavo tutto questo, come gli altri e forse in modo più esasperato. Forse in qualche misura l’ho anche trovato, in qualche maniera strana anche nelle strade certamente più sbagliate della mia vita. Ho continuato a cercare questa unità, e oggi che incontro molti giovani, mi rendo sempre più conto che c’è questo bisogno d’amore. I miei concerti si realizzano molto spesso nelle carceri, negli ospedali, nelle comunità di recupero. Ho fatto delle bellissime esperienze, l’anno scorso, in quattro carceri di Panama - i carceri italiani a confronto sono hotel a quattro stelle (ed io ho una piccola esperienza l'ho fatta) - ed è straordinario vedere questi ragazzi, perché in fondo é la mia gente, é gente che io amo, perché ho vissuto queste esperienze.

Alcuni versi delle tue canzoni parlano del non poter fare a meno di Dio. Un non credente potrebbe obiettare che sia una forma di dipendenza da Dio e dalla fede...

Io sono stato dipendente da situazioni più difficili, più amare. Non penso di essere, se vogliamo, “tossicodipendente” di fede, no! Ci credo e basta, sono convinto di questa scelta, sono felicissimo, non mi vergogno, ho bisogno di Lui perché credo in Lui. Cerco di proporlo col massimo della trasparenza e semplicità. Non voglio catechizzare nessuno, non voglio fare il profeta, non voglio fare l’eroe perché non lo sono. Voglio solo trasmettere qualcosa in cui credo fortemente. Sono consapevole che quando vado soprattutto nelle piazze, o nei teatri certe affermazioni possano provocare la gente forse: “Ma questo da dove viene fuori? Da quale pianeta? Questo é pazzo”. Ma non é importante. Guarda, io ho capito una cosa dalla mia esperienza: che se tu sai trasmetterlo con il massimo della sincerità, allora la gente anche se non crede capisce che in fondo sei sincero ed ammira la tua sincerità e questo è già tanto. In fondo questa é la mia storia e questa é diventata la mia missione, questo é diventato il perché di tutte le mie canzoni, della mia vita.

La tua storia, fatta di ricerca e conversione, è motivo di attrattiva e di dialogo con i più giovani, magari emarginati?


Direi di sì, se pensi che spesso vengo chiamato in licei, in università, dove noi sappiamo che ci sono… chiaramente moltissimi bravi ragazzi… ma che spesso sono a digiuno sul discorso della fede. Però é interessante quando si instaura un rapporto, un contatto, quando ti fanno delle domande. Molto spesso mi dicono: “Bella musica, bella storia, sei anche bravo a raccontarla. Ma tu parli di Dio, di amore, mentre voi cristiani, alla fine, date un pessimo esempio della vostra fede”. E io dico: “Avete ragione, molto spesso noi inganniamo, siamo dei bravi predicatori. Probabilmente sono stato anche io un bravo predicatore. Probabilmente sono diventato anche un bravo comunicatore. Però, alla fin fine, parliamoci chiaramente, siamo degli uomini, quindi anche noi cristiani non siamo quei santi - io non voglio sembrare un santo - abbiamo le nostre debolezze, i dubbi, i perché, i nostri deserti, possiamo anche noi cadere in contraddizioni. Se noi dovessimo guardare al lato negativo di ogni persona, non crederemmo più a nessuno. Forse é meglio guardare il lato positivo di ogni persona, di chi crede e di chi non crede”.

Una canzone deve formulare dubbi o dare certezze...?

Vanno bene sia i dubbi che le certezze, l’importante è stimolare e provocare, anche perché alla fine la conclusione non la dai tu, io non ho la bacchetta magica per i problemi della gente. Se l’avessi, farei un sacco di miracoli, proprio perché in primis ho vissuto queste esperienze e mi dà fastidio veder soffrire la gente. Non lo dico perché voglio apparire sensibile alla sofferenza, ma perché l’ho vissuto sulla mia pelle e la capisco. E’ molto bello e molto facile parlare! Parlare è, sì, importante… dare una speranza. Ma é molto difficile entrare nel dramma di una persona ed io non ho la soluzione in tasca. L’importante è provocare l’ascoltatore, poi lascio a lui - perché parto dal presupposto che chi ascolta è una persona intelligente indipendentemente dal fatto che creda o non creda - sta a lui scegliere quale strada intraprendere per la propria vita, l’importante é che sia la strada della ricerca di ciò che è buono, anche a prescindere dalla fede, che creda comunque nella solidarietà, nell’unità, che creda in quella forza con cui costruire un mondo migliore. Sembrano delle frasi fatte, o forse magari é solo follia, o solo utopia. Ma io credo che non sia follia o utopia e che se noi ci crediamo, insieme possiamo cambiare il mondo. Io cerco nel mio piccolo, unito a quelle persone che condividono e quelle che non condividono. L’importante é metterci insieme e cambiare questo mondo che sta andando a fondo. Basta guardarsi attorno: a meno che uno non sia indifferente e pensi a se stesso e sia egoista, ma se uno é intelligente, sensibile, non può essere indifferente a tutto quello che sta succedendo. Forse vale la pena magari di guardarsi negli occhi e che tu creda o no, insieme, cercare di costruire questo mondo migliore, questa speranza.

Non è limitativo essere etichettato come cantautore cristiano?


No, non é limitativo. E’ invece interessante chiedere: ma che cosa é la musica cristiana? La musica é musica... cioè non é che la musica cristiana sia in se stessa un genere a sé. Noi usiamo il linguaggio musicale: io spazio dal pop al rock, dal blues alla ballata. Quindi uso questo linguaggio, anche perché fin da bambino ho sempre amato ed ascoltato la musica e un certo tipo di musica e tuttora continuo ad amarla e ascoltarla. Sono cresciuto con Fabrizio De André, il primo cantautore che ho scoperto e ho conosciuto. Poi la beat generation e la musica pop internazionale. Ho ascoltato e ascolto musica anglosassone, amo il blues, un certo tipo di rock. Possiamo anche dire che non esiste una “musica cristiana”, perché prima bisogna essere cristiani per essere dei comunicatori o artisti cristiani. Non é limitativo dire di essere un cantautore cristiano. Se lo dici perché dietro c’è la tua fede, ben venga…

C’è una canzone, tra le tante che hai scritto, che è particolarmente significativa per te?

La canzone che più mi é cara, tra le tante che ho scritto, sicuramente è quella che mi porto nel cuore e continuo a cantare, al di là del fatto che grazie a Dio la guerra è finita, e parlo della Bosnia – Erzegovina, è “Concerto a Sarajevo”. L’ho scritta andando in Bosnia durante la guerra; quando l’ho scritta qualche persona del posto l’ha sentita, spesso veniva trasmessa dalle radio clandestine a Sarajevo. La canzone nasce dall'esperienza di una persona straordinaria: Monsignor Tonino Bello, un testimone della fede, un uomo coraggioso, un uomo che ha creduto nella pace, che ha creduto nella solidarietà, ma è anche il frutto della mia piccola esperienza quando, in uno dei miei numerosi viaggi con gli aiuti umanitari ho avuto modo di incontrare nei campi profughi, quei bambini sopravvissuti che erano stati deportati nei campi di concentramento o di ascoltare il triste racconto delle donne stuprate. E da chi? Dai vicini di casa, o da quegli amici che erano solite incontrare al sabato o alla domenica che pensavano fossero amici. Ho sentito questo urlo di dolore, questa rabbia, questa irritazione che si é poi trasformato in questa canzone. E siccome le Sarajevo nel mondo sono tante, ho deciso di continuare a cantare anche per quelle altre Sarajevo, per quei drammi, quelle tristezze, per quella gente che molto spesso paga un prezzo, i bambini, le donne, gli anziani. E questo non é giusto. Non sarà questo concerto, non sarà questa canzone, ad arrivare alla pace. Ma ci provo, con le mie note stonate, con la mia faccia, la mia storia, con la mia vita. Forse, magari un giorno, con altre note, insieme ad altre persone, con altre canzoni, riusciremo a portare un po’ di pace. Anche se, scusate, ma per uno che crede ed é convinto di quello che fa, attraverso Dio… se noi fossimo veramente così fiduciosi, probabilmente questa pace avremmo già potuto raggiungerla. In questo caso parlo della Palestina, di Israele e di tutti quei luoghi che sono le mie piccole Sarajevo.

(Intervista video registrata da Pater Tv - rivista e corretta)

FONTE: informusic.it
http://www.informusic.it/patertv.htm

Sito ufficiale di Roberto Bignoli:

http://www.robertobignoli.it/



In questi importanti giorni di Festa, del S. Natale e di S. Stefano, ho pensato di pubblicare questa bella intervista a Roberto Bignoli, un cantautore Cristiano invalido, che ha contratto la propria invalidità dall'età di un anno a causa di una poliomelite. A causa di questa invalidità, come lui stesso racconta, Roberto ha passato un infanzia, una fanciullezza e un adolescenza difficili, con tanta sofferenza e tanta solitudine, arrivando anche a percorrere nella propria vita vie traverse molto pericolose. Ma poi, grazie ad alcune persone Cristiane che l'hanno aiutato e grazie ad un pellegrinaggio a Medjugorie avvenuto nel 1984, è sopraggiunta quella Fede in Dio che ha cambiato completamente la sua vita e che ora testimonia costantemente attraverso la sua attività musicale e la sua vita di tutti i giorni.
Personalmente mi piace molto la testimonianza che Roberto da di sè..... usando parole semplici e fatti concreti, non di chi si atteggia ad essere un "profeta", ma di chi testimonia il proprio credo con semplicità, umiltà, riconoscendo anche i propri limiti umani (che abbiamo tutti) e senza avere la pretesa di cambiare il mondo. E poi Roberto è, ancora e sempre, un ennesima importante testimonianza di come anche da invalido si possa riuscire pienamente nella vita, coltivando i propri sogni di bambino fino a trasformarli in "vita vissuta".
Grazie Roberto !

Marco

sabato 22 dicembre 2012

Roma - Sensibilità Chimica Multipla, l´allarme del Professor Genovesi

ROMA - Il professor Giuseppe Genovesi lancia l´allarme su una grave malattia che rischia di espandersi sempre più. Si tratta della Sensibilità Chimica Multipla.
"Le indagini che il sottoscritto, con la preziosissima collaborazione dell’associazione dei malati di MCS “AMICA”, ponte tra il mio Dipartimento di Fisiopatologia Medica del Policlinico Umberto I di Roma e l’IDI di Roma, istituto questo che possiede laboratori adeguatissimi e soprattutto “know how” adeguato, eseguite dietro mia specifica prescrizione su moltissimi pazienti affetti da MCS, hanno finora prodotto risultati eccezionali - ha affermato il medico - abbiamo una casistica di circa 200 casi, 70 dei quali dallo screening già effettuato presentano dei risultati incontrovertibili; il 100% dei pazienti possiede, infatti, un’alterazione funzionalmente molto significativa di un gene che produce un enzima fondamentale per eliminare i radicali liberi, il 90% circa possiede una spiccata riduzione funzionale di un altro enzima chiave nell’eliminazione dei radicali liberi, ed è superfluo dire che, ovviamente, i controlli fatti su persone non affette dall’MCS, hanno mostrato le alterazioni esaminate solo in circa il 20% dei casi e la maggior parte delle volte non associate tra di loro come invece accade nell’MCS. Tuttavia l’elemento più significativo e paradossale, forse, è che la maggior parte dei malati affetti da MCS ha un’alterazione funzionale di una classe di enzimi che servono a metabolizzare le benzodiazepine e i neurolettici cioè proprio quella classe di farmaci che i medici ignoranti prescriverebbero ai pazienti ritenendoli “picchiatelli”; non solo quei farmaci sarebbero inefficaci come sedativi o deliriolitici, ma soprattutto sarebbero estremamente pericolosi su un organismo non in grado di utilizzarli correttamente ed eliminarli adeguatamente.
Avrò un ulteriore incontro con la Regione Lazio con la quale stiamo cercando di puntualizzare la diagnostica e la terapia da offrire ai malati di MCS, i suggerimenti dovrebbero consentire a chi di dovere di identificare il centro di riferimento regionale e, poi, sulla scia, nazionale per la diagnosi e la cura dell’MCS. Spero che prevalgano i dati e le competenze acquisite rispetto a ragioni politiche e clientelari che sono un male cronico del nostro paese. E’ follia tutto ciò? No, è solo la realtà dei fatti in un paese in cui non c’è rispetto per la “diversità” e non c’è cultura per comprenderla, in un paese dove chi è affetto da una patologia sconosciuta non solo non viene assistito, ma viene perseguitato anche nelle aule dei tribunali perché nel non dichiararsi pazzo ed affrontando un male sconosciuto ed una trasformazione totale della propria vita, deve anche essere perseguitato da chi crede di essere e di sapere di fare il bene della collettività magari nel negare un supporto economico a delle cure che non hanno saputo dare. L’ignoranza verso uno stato di sofferenza e di malattia ne impediscono assolutamente qualunque miglioramento ed eventuale chance di guarigione.
Conduco questa lotta consapevole dei rischi e la conduco in qualità innanzitutto di uomo, un uomo che è anche medico, e come medico è presidente della Società italiana di Psico Neuro Endocrino Immunologia, che da sempre agisce secondo una linea di pensiero per la quale le verità scientifiche debbano essere divulgate anziché tenute nel cassetto, ed anche ed ancora di più conduco questa lotta nella mia qualità di Presidente di un Associazione per la tutela dei consumatori, la SOS UTENTI, che in Italia conta oltre 30.000 iscritti e che ha voluto proprio quali utenti prioritari nel proprio statuto i malati di MCS, nella consapevolezza delle gravi carenze socio-economiche sanitario-assistenziali alle quali gli stessi sono soggetti, espressione globale di come una assolutamente inadeguata tutela da parte delle istituzioni sotto profili plurimi e di come questo possa condurre a danni estremi quale il rinunciare alla propria stessa vita
".

29 Settembre 2011

FONTE: roma.ogginotizie.it
http://roma.ogginotizie.it/39440-roma-sensibilita-chimica-multipla-laallarme-del-professor-genovesi/#.UNUrsKxSRFa


Dopo aver presentato su questo blog le storie di Daniela Vitolo, di Sara Capatti e di Daniela Davilla, tutte e 3 persone colpite da Sensibilità Chimica Multipla (MCS), posto ora questo bell'articolo del Prof. Giuseppe Genovesi, uno dei pochi "baluardi" in Italia che lavora e combatte a fianco dei malati di MCS.
Riflettiamo molto bene sui dati e sulle parole, forti ma veritiere, espressi da questo insigne Professore, cui va il mio plauso e il mio ringraziamento per essersi schierato dalla parte di questi malati, perseguendo tenacemente la Verità, anche a costo di mettersi contro a certi "poteri forti" e a una classe medica che, spesso e volentieri, è assoggettata a questi poteri forti, o che si porta ancora appresso tanti giudizi preconcetti frutto dell'ignoranza che aleggia attorno a questa invalidante patologia. Grazie Professore.


Marco

martedì 18 dicembre 2012

Sensibilità Chimica Multipla (MCS): la storia di Daniela


Sono Daniela Davilla in Toscano, ho 32 anni, sono nata in Piemonte ma attualmente vivo in Lombardia.
Tutto comincio' all'eta' di cinque anni dove ci siamo trasferiti in una casa nuova appena costruita e circondata da campi agricoli, ed e' li' che la mia salute comincia a vacillare, con rinite cronica senza causa apparente e forte sonnolenza e stanchezza da non permettermi di stare sveglia a scuola durante le lezioni. A 8 anni non tollero il deodorante auto della macchina di mio padre e per me salire su quell'auto era un incubo e cominciavo a dare di stomaco. Dopo un paio di anni cado nell' anoressia dove, dopo un lungo ricovero, ho dovuto ripetere lo svezzamento.
Passano gli anni ma non i problemi, anzi, ho continui ricoveri per forti tonsilliti che non potevano essere tolte chirurgicamente e per altri disturbi come dolori al corpo e alla testa, e questa nausea e colon irritabile che non mi abbandonavano mai. Me li diagnosticano come disturbi psicosomatici con prescrizione di un psicofarmaco che mi ha fatto stare peggio. Nel frattempo mi sposo e ho tre figli, con gravidanze problematiche, ed una figlia nasce prematura.
La situazione si aggrava sempre di piu', comincio a non tollerare i detersivi, i prodotti per il corpo e i cosmetici. Gli esami e le visite che faccio non rilevano nulla e ripetono sempre che sono stressata, nervosa ecc.......
Da pochi mesi ho scoperto il nome della mia malattia: Sensibilita' Chimica Multipla (MCS)!
Ho perso molto peso ultimamente, adesso sono 42 kg e non tollero la carne, il latte, il glutine, i legumi e molte verdure e frutta. Non tollero integratori per aiutarmi a coprire le carenze nutrizionali e molti farmaci.
Esco poco e sempre con la mascherina, ma poi sto male lo stesso e non riesco a far venire nessuno a trovarmi a casa mia. Non tollero il cellulare e l'asciugacapelli. Ho dovuto eliminare quasi tutti i mobili di legno, eliminare i tessuti sintetici che mi creavano problemi alla respirazione e alla pelle. Ultimamente faccio fatica a tollerare anche i termosifoni.
Oltre a lottare con i miei problemi, ho i figli intolleranti a molti alimenti e allergici a prodotti per la casa e il corpo, ai colori usati nell'industria tessile e al toner per la fotocopiatrice.
Potete immaginare il costo di vita della nostra famiglia che e' costretta ad una alimentazione biologica e prodotti per la casa e il corpo naturali con costi notevoli.... mio marito fa' molti sacrifici per non farci mancare il necessario. Ma nonostante tutto siamo una famiglia felice e molto unita, dove l'amore, l'affetto, la comprensione e la solidarieta' e' molto forte.
Spero di poter trovare una casa adeguata alla mia situazione in alta montagna, dove potrei vivere e non sopravvivere!

Se qualcuno desidera aiutarci ogni mezzo e' gradito. Lascio i miei dati per potermi contattare:
Telefono fisso - 0383 899173
Cellulare – 388 88 35 174
Mail – danielaminu8@gmail.com


Ringrazio di vero cuore Daniela, per avermi permesso di postare sul mio blog la sua storia di malata di Sensibilità Chimica Multipla (MCS).
Una storia difficile la sua, costellata da tanti problemi fin dalla più giovane età, e poi aggravatasi nel corso del tempo. Una storia fatta però anche di coraggio e tanto Amore, con una famiglia unita e coesa nell'affrontare nel miglior modo possibile le tante difficoltà che questa famiglia deve quotidianamente superare.
Tanti auguri per tutto Daniela.... e che la tua vita, nonostante gli ostacoli che ci sono, ti possa riservare tante Belle cose.

Marco

giovedì 13 dicembre 2012

Vivo segregata in casa per sfuggire alle allergie


Sara Capatti, di Calusco d'Adda, soffre di MCS: tutto ciò che è chimico la fa stare male. Niente saponi nè libri, pc solo schermato e cibi bio. "Ma a San Candido rinascerei".


di Angelo Monzani

Dici segregata in casa e pensi a una tutta mugugni e musi lunghi. Invece Sara Capatti è un vulcano di positività, cose belle da dire, meglio se in fretta. Così, con una parlantina da cento all'ora, ci riceve a casa sua con l'inseparabile mascherina.
Sopra c'è ricamata la sigla M.C.S., Multiple Chemical Sensitivity, la malattia che da tre anni la costringe chiusa in casa, al civico 91 di via Pace a Calusco d'Adda, nel condominio Roma dove vive con mamma Fiorenza Dalla Costa e il fratello Alessandro.
Sara, 33 anni, è allergica a tutto ciò che è chimico anche a sostanze volatili. Persino profumi e detersivi potrebbero farla star male, e per parlarne lei ricorda di quando «un'amica venne da me indossando i miei vestiti». Più sintonia di così. «Non posso mai aprire le finestre sia d'estate che d'inverno per evitare che possa entrare qualche odore, soprattutto di biancheria stesa, profumi e polveri sottili - racconta Sara seduta sul letto della sua stanza di pochi metri quadri, tutto il suo mondo -. La MCS ti rende allergica a tantissime sostanze. Non posso lavarmi con saponi ma solo con acqua; i vestiti li lavo in lavatrice sempre solo con acqua; per bere e cucinare posso usare solo bottiglie di vetro e posso scegliere solo fra due-tre marche. Per cucinare devo usare solo pentole in ceramica; non posso leggere libri o giornali per l'odore del petrolio; posso usare solo vestiti di fibre naturali. Le rare volte che esco perché devo recarmi a fare qualche visita devo portare una mascherina per proteggermi, ma non basta: con questa malattia l'olfatto si sviluppa 300 volte in più della norma. Anche se biologici, tollero pochissimi alimenti».
Per conoscere il suo menù quotidiano consigliamo di entrare nel suo blog, che è un'esplosione di voglia di vivere: www.sara-pat.blogspot.it. Un titolo su tutti: «Anche la fesa di tacchino può dare felicità». Provare a mangiare tutti i giorni 40 grammi di pasta con una carota, una zucchina e una patata, rigorosamente biologici. Lamentarsi? Sara preferisce godere delle piccole cose, «come la conquista di essere riuscita a inserire nelle mia dieta una fettina di tacchino».
L'elenco dei «non», per Sara, prosegue poi con una completa intolleranza ai farmaci comprese le anestesie sia totali che locali. «Vivo chiusa in questa stanza con un depuratore d'aria acceso 24 ore su 24 - aggiunge -. L'unico mio contatto col mondo esterno è il computer, ma per usarlo devo proteggermi con un tappeto elettromagnetico perché sono anche elettro-sensibile».

Il primo segnale
Sara Capatti prima di scoprire di essere affetta da Sensibilità Multipla Chimica conduceva una vita regolare. Il primo segnale l'ha avuto a 20 anni.
«Mi trovavo in ferie a San Gimignano e dopo un pranzo a base di funghi ebbi uno choc anafilattico. Un farmacista mi iniettò del cortisone che mi salvò». Poi, a 23 anni, una forte infiammazione alle spalle e alle braccia la bloccò per sei mesi. «I medici di vari ospedali della Brianza, allora vivevo a Monticello Brianza - aggiunge Sara - non riuscirono a capire l'origine della malattia. A Calusco d'Adda avevo aperto un negozio di parrucchiera in via Rimembranze, la mia passione, ma nello stesso tempo il mio male: non mi accorgevo che erano i prodotti chimici che usavo a peggiorare la mia salute. Mi consigliarono di mangiare verdura biologica e riuscii a disintossicarmi, ma continuando a lavorare a contatto con prodotti chimici nel 2008 le mie condizioni peggiorarono».
La sindrome le provocava forti dolori muscolari, allergie multiple anche al semplice contatto e per inalazione, con conseguenze anche gravi, fino agli choc anafilattici: «Ne ho subiti otto in questi ultimi anni e mia mamma o mio fratello devono essere sempre presenti per intervenire prontamente. Soffrivo di asma, gastrite, colite, reflusso, infiammazioni gravi delle vie respiratorie, insonnia, stanchezza cronica, infiammazioni dei linfonodi, collassi e altri problemi. Chiusi il negozio, non ero più in grado di portarlo avanti. Ricoveri, visite specialistiche e consulti non portarono nessun beneficio». Sara, la mamma e il fratello stavano perdendo ogni fiducia quando nel 2010 una trasmissione su RaiTre presentò il caso di una ragazza con MCS: Sara si riconobbe in lei. La contattò e arrivò al professor Giuseppe Genovesi del Policlinico Umberto I di Roma. «Ci andai con mille difficoltà e gli esami confermarono: era MCS».

Il sogno, la speranza
Dopo la diagnosi, un destino da reclusa? No, ma c'è un ma. Sara potrebbe stare meglio se si trasferisse a San Candido, in Val Pusteria. C'è stata due volte «e sono rinata: è un posto incontaminato, e poi è l'unico paese sopra i mille metri d'altitudine con un ospedale». Che per lei è fondamentale.
Ma Sara ha speso tutto per visite e cure, l'unico a sostenere la famiglia ora è il fratello Alessandro, 34 anni, operaio. Ma il trasferimento a San Candido, che ha mostrato i suoi benefici («il mio fisico si è disintossicato e i linfonodi sono tornati nella normalità, questo è il posto ideale dove poter vivere per non peggiorare le mie condizioni»), rischia di restare un sogno. «Mi mancano le possibilità finanziarie» confessa Sara con dignità. Nei mesi scorsi le è stata riconosciuta una pensione di invalidità al 100%: 250 euro al mese.
Eppure se le chiedi qual è il suo obiettivo lei risponde: «Fare conoscere questa terribile patologia in modo che molta gente ne venga a conoscenza perché, oltre che dalla medicina, i malati vengono ignorati anche dalle persone più vicine. Per questo con la giornalista Patrizia Piolatto sto scrivendo un libro sulla mia esperienza personale». Racconta, anzitutto, «le piccole cose belle che cerco di trovare in quello che mi succede». Le cose belle, reclusa in casa? «Certo mi guardo intorno, vedo la camera vuota. Mi mancano le cose normali, la vita che avevo. Ma cosa ci devo fare, l'importante è esserci. O no?».


Cosa è l'MCS
 
La scatenano fumi, solventi e vernici 

La Multiple Chemichal Sensitivity (MCS) secondo molti scienziati può essere scatenata da un esposizione chimica o un infezione seria in un adulto o un evento traumatico. Agenti scatenanti più comuni sono da considerarsi i solventi, i disinfettanti, gli insetticidi, i pesticidi, il fumo di sigaretta, i fumi di asfalto, le colle e le vernici.
I sintomi da MCS sono difficoltà nella respirazione, tossesecca, poliapnea, costrizione toracica, tachicardia, raucedine delle mucose degli occhi, naso gola, fatica cronica, nausea e vomito, disturbi gastrointestinali, dolori ai muscoli e alle articolazioni, dermatosi e altre forme di eruzione cutanea, vertigini, cefalea, alterazione del tono dell'umore, generale indisposizione, scarsa memoria, senso dell'olfatto ipersensibilizzato. L'impossibilità di individuare con precisione le ragioni di disturbo rende estremamente complesso frequentare qualsivoglia ambiente.


4 dicembre 2012

FONTE: l'Eco di Bergamo


Un grazie di cuore a Sara per aver raccontato la sua storia all'Eco di Bergamo e al giornale per essersi interessato al suo caso.... ed è una cosa importante che avvenga questo, così che questa subdola malattia possa divenire sempre più conosciuta e chi ne è colpito possa sentirsi meno solo e incompreso.
Sara ha anche appena terminato di scrivere la sua autobiografia, e quando questo libro verrà pubblicato (speriamo il prima possibile), anch'esso darà il suo prezioso contributo nella divulgazione e nella conoscenza di questa patologia, la Sensibilità Chimica Multipla, che sempre più persone colpisce in questa nostra società purtroppo, ahinoi, sempre più inquinata.
A Sara e a tutte le persone che si preoccupano di far conoscere questa malattia, nonchè di aiutare altre persone che ne sono colpite, posso solamente dire il mio sentito "grazie".

Marco 

giovedì 6 dicembre 2012

L'inferno di mercurio e fango dei 20mila minatori-bambini delle miniere d'oro del Mali


Secondo il rapporto di Human Right Watch intitolato "Mélange toxique: travail des enfants, mercure et orpaillage au Mali", «Almeno 20.000 bambini lavorano nelle miniere d'oro artigianali del Mali, in condizioni estremamente dure e pericolose. Il governo maliano e i donatori di fondi internazionali dovrebbero prendere delle misure miranti a mettere fine al lavoro dei bambini nella ricerca dell'oro».

Il lavoro minorile nelle miniere artigianali d'oro non riguarda solo il Mali ed è particolarmente diffuso nella cintura aurifera dell'Africa Occidentale, che si estende in Burkina Faso, Costa d'Avorio, Ghana, Guinea, Niger, Nigeria e Senegal. Il poverissimo Mali è il terzo più grande produttore d'oro dell'Africa. Nei pozzi lavorano anche bambini di poco più di 6 anni, che vivono praticamente sotto terra, trasportano pesanti carichi di minerali e li frantumano.

«Numerosi bambini lavorano anche utilizzando il mercurio, una sostanza tossica, per separare l'oro dal minerale - spiega Human Right Watch- Il mercurio attacca il sistema nervoso centrale e si dimostra particolarmente nocivo per i bambini».

Juliane Kippenberg, ricercatrice capo alla divisione diritti dei bambini di Human Rights Watch, sottolinea che «Questi bambini mettono letteralmente la loro vita in pericolo. Portano dei carichi che pesano più di loro, scendono in pozzi instabili e gli tocca inalare il mercurio, una delle sostanze più tossiche sulla Terra».

L'Ong è riuscita a intervistare 33 bambini lavoratori e 21 hanno dichiarato di avere regolarmente dolori a schiena, testa, nuca, braccia o alle articolazioni. I bambini hanno anche la tosse e soffrono di malattie respiratorie. Human Rights Watch denuncia che «Il governo non ha preso nessuna misura per mettere fine all'utilizzo del mercurio da parte dei bambini lavoratori e dovrebbe immediatamente elaborare una strategia mirante a contrastare gli effetti del mercurio sulla salute dei cercatori d'oro bambini ed adulti». Gli effetti tossici del mercurio non si vedono immediatamente, si sviluppano col tempo, e la maggior parte dei cercatori d'oro ignora i terribili effetti del mercurio sulla loro salute.

Attualmente, non esiste un'alternativa economica all'utilizzo del mercurio per estrarre l'oro nelle miniere artigianali, ma secondo o il Programma Onu per l'ambiente (Unep), le quantità utilizzate possono essere fortemente ridotte ed i suoi effetti controllati molto meglio. Ad esempi, bisognerebbe utilizzare contenitori chiamati "cornues" per trattenere i vapori di mercurio e mettere fine all'amalgamazione nelle zone residenziali. Le miniere d'oro industriali dispongono naturalmente di tecnologie molto più complesse e costose e senza mercurio, ma impiegano comunque il cianuro.
La maggior parte dei piccoli minatori del Mali lavora insieme a parenti, per arrotondare i magri guadagni dei cercatori d'oro adulti. Sono i più fortunati in questa catena della miseria: altri bambini migrano da soli verso le miniere d'oro e finiscono per essere sfruttati e maltrattati sia da chi li "assume" che da altri che si appropriano della loro paga. Le bambine sono spesso vittime di abusi sessuali o vengono destinate direttamente al mercato del sesso per poter sopravvivere. Diversi bambini che lavorano nei siti di ricerca dell'oro sono originari di altre regioni del Mali, ma anche della Guinea, del Burkina Faso e di altri Paesi vicini.
Nel giugno 2011, il governo del Mali ha adottato il "Plan d'action national pour l'élimination du travail des enfants", «Questo piano costituisce un passo importante - dice Human Rights Watch - ma la sua messa in opera è stata differita ed il governo ha preso poche iniziative sul territorio. Le miniere artigianali non sono fatte oggetto di ispezioni del lavoro regolari ed il divieto dei lavori pericolosi dei bambini, considerati come la peggior forma di lavoro dei bambini, non è applicato. Secondo i termini della legislazione maliana e del diritto internazionale, i lavori pericolosi, che includono il lavoro nelle miniere con il mercurio, sono vietati per tutte le persone con meno di 18 anni di età».
Ma il governo di Bamako è anche responsabile di un altro crimine verso questi minatori-bambini: non assicura loro nessuna istruzione scolastica, anche perché le scuole sono spesso lontane dalle miniere, richiedono tasse di accesso e non vogliono bambini migranti dalle altre regioni del Mali. Anche quando i bambini dei minatori riescono ad andare a scuola, spesso non riescono a seguire il ritmo scolastico e quello del lavoro. Secondo la Kippenberg, «il Mali ha adottato leggi stringenti sul lavoro dei bambini e sull'insegnamento gratuito ed obbligatorio, ma sfortunatamente il governo non le applica pienamente. Le autorità locali traggono spesso profitto dalla ricerca dell'oro e si preoccupano poco della lotta contro il lavoro infantile».
La maggior parte dell'oro delle miniere artigianali del Mali viene acquistato da piccoli commercianti che lo rivendono ad intermediari e a grossisti della capitale Bamako. Human Rights Watch è riuscita ad intervistare 12 commercianti e la maggioranza si è detta poco preoccupata per il lavoro minorile e per i rischi che i bambini corrono utilizzando il mercurio. Uno di loro ha detto: «La nostra idea è solo quella di guadagnare soldi», sempre meglio del presidente della Chambres des Mines du Mali, un organo che rappresenta il settore minerario, che ha negato l'esistenza di manodopera infantile nelle miniere artigianali. Tutta questa sofferenza, ingiustizia, spreco di innocenza e bellezza, vale, secondo i dati ottenuti da Human Rights Watch dal ministero delle miniere del Mali, 4 tonnellate di oro "artigianale" esportate ogni anno, più o meno 218 milioni di dollari ai prezzi di novembre 2011. La maggior parte di quest'oro viene esportato in Svizzera e negli Emirati Arabi uniti, in particolare a Dubai, dove anche gli italiani vanno a fare shopping di oro sporco di lacrime e malattie di tanti bambini.
Human Rights Watch ha contattato 3 multinazionali che acquistano oro proveniente dalle miniere artigianali del Mali: Kaloti Jewellery International, di Dubai, la società belga Tony Goetz e la svizzera Decafin. Kaloti ha smesso di comprare l'oro artigianale del Mali dopo aver letto I risultati del dossier di Human Rights Watch; Decafin ha detto che interviene solo alla fine di una catena di approvvigionamento composta da almeno 4 intermediari e di non avere nessun rapporto con le imprese produttrici nè con il governo del Mali, ma ha detto che indagherà sull'origine dell'oro e sulle condizioni di lavoro e che interpellerà la Chambre des Mines du Mali per ottenere più ampie informazioni. La Kippenberg si rivolge anche agli altri acquirenti di oro del Mali: «Se non l'hanno ancora fatto, le imprese devono mettere in atto delle procedure per assicurarsi che il loro oro non sia stato estratto da bambini. Devono anche operare a fianco del governo e delle Agenzie internazionali per eradicare il lavoro minorile nelle miniere. Un boicottaggio non è la risposta a questo problema».
Human Rights Watch chiede al governo di Bamako e ai donatori internazionali che forniscono aiuto al Paese africano di: «Far applicare le leggi esistenti che metterebbero fine a tutte le forme di lavoro dei bambini nella ricerca d'oro; Mettere in opera il piano d'azione governativo del giugno 2011 sull'eliminazione del lavoro minorile; Migliorare l'accesso all'educazione, soprattutto abolendo le spese scolastiche, apportando un sostegno dello Stato alle scuole comunitarie e mettendo un programma di fondi, in particolare per finanziare la scolarizzazione dei bambini vulnerabili; Elaborare una strategia globale in materia sanitaria, mirante ad affrontare gli effetti del mercurio; Fornire un sostegno economico maggiore ai cercatori d'oro, per esempio attraverso la reazione di cooperative».
Human Rights Watch ha espresso anche la sua inquietudine per la decisione degli Usa di sospendere i finanziamenti di progetti per porre fine al lavoro minorile in Mali: «I donatori di fondi internazionali dovrebbero appoggiare finanziariamente, politicamente e sul piano della conoscenza tecnica le iniziative che hanno l'obiettivo di eliminare i lavori pericolosi dei bambini». Inoltre l'Organizzazione mondiale del lavoro dovrebbe riattivare l'iniziativa mondiale Minors out of Mining che aveva avviato nel 2005 per eradicare il lavoro minorile nell'industria mineraria.
«L'oro, è glamour - conclude Juliane Kippenberg - Il lavoro dei bambini e l'intossicazione al mercurio non lo sono e non dovrebbero far parte del processo della ricerca dell'oro».

7 dicembre 2011

FONTE: greenreport.it
http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=%2013600


Quello dello sfruttamento del lavoro minorile è una delle più grandi "barbarie" che l'uomo possa mai concepire, ed è sorprendente vedere quanto questo problema venga poco trattato dagli organi d'informazione e quindi, di conseguenza, poco conosciuto dalla massa.
Quello che succede nelle miniere d'oro del Mali, come anche in altre zone povere dell'Africa poi, è veramente di una GRAVITA' estrema, in quanto a questi bambini, oltre ad essere sfruttati selvaggiamente, vengono imposti lavori particolarmamente pesanti e deleteri per la loro salute, essendo a contatto con sostanze estremamente tossiche e dannose come il mercurio, la cui costante e prolungata inalazione porta ad una molteplicità di problemi che li minerà inesorabilmente nella loro salute per tutta la vita.
Certe cose NON DEVONO ASSOLUTAMENTE ESSERE PERMESSE e i Governi di questi paesi (e non solo) si devono impegnare al massimo affinchè vengano elaborate e MESSE IN PRATICA delle Leggi, che VIETINO ASSOLUTAMENTE il lavoro ai minori.
 
Lo sfruttamento del lavoro minorile è un male che bisogna ASSOLUTAMENTE SRADICARE da ogni parte della terra, e ciascuno di noi deve fare la propria parte affinchè questo accada.

Marco

martedì 4 dicembre 2012

Uomo in stato vegetativo da 12 anni comunica con i medici: "Non soffro"

Un caso clinico eccezionale al Brain and Mind Institute dell'University of Western Ontario, in Canada. Il paziente ha 39 anni e ha subito diverse lesioni dopo un incidente automobilistico. E' la prima volta che una persona, che si ritiene priva di coscienza, trasmette informazioni rilevanti sul suo stato di salute
 
USCIRE dal coma e comunicare: "Non soffro". E' successo a un uomo di 39 anni in Canada, che si riteneva in stato vegetativo da 12 anni, in seguito ad un incidente automobilistico. E' riuscito a rispondere alle domande di alcuni scienziati e a spiegare che non aveva alcun dolore. E' la prima volta che una persona, che si ritiene priva di coscienza, trasmette informazioni rilevanti sul suo stato di salute. La notizia, diffusa dalla Bcc e dal giornale britannico The Telegraph, è un caso eccezionale, destinato secondo gli esperti a modificare le conoscenze mediche su coma e stato vegetativo. "E' la prima volta che un paziente incapace di parlare e gravemente cerebroleso è stato in grado di dare risposte clinicamente rilevanti ai sanitari", spiegano i medici del Brain and Mind Institute dell'University of Western Ontario, in Canada, intervistati dalla Bbc.

In coma da 12 anni.
L'uomo protagonista di questo caso clinico eccezionale si chiama Routley Scott, ha 39 anni e aveva subito una grave lesione cerebrale 12 anni fa, in un incidente stradale. E' riuscito a rispondere ai medici mentre la sua attività cerebrale era controllata grazie a una risonanza magnetica. Di solito i pazienti vegetativi emergono dal coma in una condizione in cui hanno periodi di veglia apparente. Hanno gli occhi aperti, ma non hanno la percezione di se stessi o del mondo esterno. Nessuna delle valutazioni fisiche condotte su Scott aveva mostrato in lui segni di consapevolezza, o la capacità di comunicare. Ma secondo il neuroscienziato Adrian Owen, che ha guidato il team del Brain and Mind Institute, University of Western Ontario, Rutley non era in stato vegetativo.

La 'lettura' del cervello. L'esperimento è stato possibile grazie alla tecnica messa a punto dallo stesso Owen che da tre anni la sperimenta per 'leggere' la mente di persone in stato vegetativo. Tramite un'avanzata scansione del cervello con la risonanza magnetica funzionale, gli scienziati dell'università di Cambridge hanno dimostrato che i pazienti stavano pensando e potevano interagire con loro.

Il dialogo con Routley. Dopo aver pubblicato i risultati di questo primo studio sul New England Journal of Medicine nel 2010, Owen è andato in Canada per continuare la sua ricerca presso il Brain and Mind Institute of Western Ontario, dove ha esaminato il caso di Routley. Anche se i suoi occhi erano aperti e seguiva il normale ciclo sonno-veglia, tutti i test convenzionali, con stimoli visivi, uditivi, tattili, non producevano alcuna risposta. Con la sua tecnica, Owen ha verificato che Routley aveva una qualche consapevolezza mentre gli si davano delle istruzioni e si monitorava la sua attività cerebrale. I medici gli facevano delle domande e gli chiedevano di immaginare due scenari diversi, cioè giocare a tennis e camminare verso casa, a seconda che la risposta fosse 'Sì' o 'No'. Hanno così innescato uno 'schema' di attività in diverse aree del cervello che sono state mappate dalla risonanza, permettendo agli scienziati di comunicare con il paziente.

"Una mente conscia e pensante".
"Scott è stato in grado di dimostrare che ha una mente conscia e pensante. Lo abbiamo analizzato più volte e il suo modello di attività cerebrale mostra che sta chiaramente scegliendo di rispondere alle nostre domande. Crediamo che sappia chi è e dove si trova", spiega Owen, soprannominato anche il 'lettore della mente' per i suoi studi sui pazienti con lesioni cerebrali. "Da anni abbiamo lottato per capire cosa provassero i malati. In futuro potremmo porre loro domande per riuscire a migliorare la loro qualità di vita. Potrebbero essere cose semplici che riguardino, ad esempio, la frequenza in cui nutrirli o lavarli", ha aggiunto Owen.

"Sono rimasto molto colpito quando ho visto che Scott stava dando risposte precise", ha detto il professor Bryan Young dell'University Hospital, di Londra, che da dieci anni segue Routley.

di Valeria Pini

13 novembre 2012

FONTE: la Repubblica.it
http://www.repubblica.it/scienze/2012/11/13/news/un_uomo_in_stato_vegetativo_da_12_anni_parla_con_i_medici_non_soffro-46540804/?fb_action_ids=4929216318870&fb_action_types=og.recommends&fb_ref=s%3DshowShareBarUI%3Ap%3Dfacebook-like&fb_source=other_multiline&action_object_map={%224929216318870%22%3A386109811468958}&action_type_map={%224929216318870%22%3A%22og.recommends%22}&action_ref_map={%224929216318870%22%3A%22s%3DshowShareBarUI%3Ap%3Dfacebook-like%22}


Una storia davvero sorprendente, che mi ricorda molto da vicino quella dell'amico Salvatore Crisafulli, di cui ho parlato spesso su questo blog.
Credo che questa storia, così come quella accaduta a Salvatore, ci faccia capire bene quanto ancora c'è da imparare sul mondo della cerobrolesione e degli stati vegetativi in generale.
Da parte mia spero che siano dedicati sempre maggiori studi e maggiori risorse nei confronti di questi disabili gravissimi, perchè poterli capire, poter interpraetare i loro pensieri, i loro bisogni, poter comunicare con loro laddove un attività cerebrale è presente, significa in un certo qualmodo farli vivere ancora. Onore e merito quindi a professionisti come i Dott. Adrian Owen e Brian Young, che si dedicano a questo genere di problemi..... nella speranza che tanti altri Professori possano seguire i loro passi.

Marco

sabato 1 dicembre 2012

Paolo Puddu: la storia del ragazzo che si laurea parlando con gli occhi

Colpito da tetraparesi spastica è dottore nella facoltà di Lettere di Cagliari, con 110 e lode

Un sogno diventato realtà. Ecco cos’è per Paolo Puddu, 27enne cagliaritano affetto da tetraparesi spastica, la laurea a pieni voti, conquistata martedì a Cagliari. Perché lui è la dimostrazione vivente che la malattia si può sconfiggere e che soprattutto i luoghi comuni si possono sfatare. E soprattutto dimostra che anche chi non è normodotato può raggiungere grandi risultati e traguardi importanti nella vita.

GLI OCCHI DI PAOLO PUDDU
– E questo lo sa bene Paolo, affetto da una malattia che lo ha completamente immobilizzato e obbligato a comunicare in un unico modo: muovendo gli occhi. Così per lui ogni singola frase, da quella diretta agli amici fino alla risposta alle domande degli esami universitari, l’ha sempre dovuta dire indicando con lo sguardo le lettere di una tavoletta. Un gesto per lui normale. Tanto che vedere i suoi occhi muoversi svelti mentre saltano da una lettera all’altra, per chi lo circonda, è ormai diventato un gesto abituale. Ma la sua tenacia e forza in realtà sono esempio per tutti di coraggio e voglia di lottare. Fino all’ultimo. Così neanche la malattia è riuscita a soffocare il suo desiderio, quello di laurearsi. Un titolo conquistato con fatica e tanta forza di volontà, ma che l’ha reso dottore nella facoltà di Lettere di Cagliari, a pieni voti, 110 e lode, con una tesi dal titolo “Trasporti aerei e disabilità”, uno studio che elimina le barriere durante il viaggio in aereo, esperienza che, come tanti, ha vissuto sulla sua pelle.

IL SOGNO DI PAOLO PUDDU – Ma la laurea di Paolo non è solo un esempio di tenacia, ma deve essere un monito per chi ha anche solo pensato di dare un taglio ai fondi per la non autosufficienza, si direbbe. Una laurea attesa, cercata, sospirata. Perché per lui l’obbiettivo era chiaro sin da subito. Il suo sogno era diventare “Operatore culturale per il turismo”. E niente e nessuno lo ha potuto, o voluto, fermare. Così il suo percorso, prima scolastico e poi universitario, si è basato su questo desiderio. “Ma soprattutto è stato un esempio di come, se i progetti vengono sostenuti, si possano ottenere risultati strepitosi”. Parola di Francesca Palmas, presidente dell’Associazione bambini celebrolesi Sardegna. “Basta pensare che Paolo ha un’assistenza personalizzata, degli educatori che lo aiutano nella comunicazione e nella sua autonomia personale e che gli hanno dato la possibilità di raggiungere questo importante risultato”. Un appello chiaro e deciso quello di chi tutti i giorni si trova a convivere con queste malattie che rendono non autosufficienti. “Rischiare di perdere questi servizi” afferma Francesca Palmas, “significherebbe rischiare che tanti, anche come Paolo, non riescano più a vivere la loro vita dignitosamente”. E questo il nostro Paese di certo non può permetterselo.

L’EMOZIONE - Ma oggi Paolo ha dimostrato che se si desidera con tutte le proprie forze qualcosa, tutto si può ottenere. Anche conquistare una tappa importante per il proprio futuro professionale. Nonostante non si venga considerati “come gli altri”. Così per lui, martedì 27 novembre resterà per sempre il giorno più bello della vita. “Questo è un obiettivo che ne racchiude tanti altri” ha detto. “C’è quello professionale, ma anche la conquista a livello personale. Sono molto emozionato”. Felicità e commozione dimostrata anche da colleghi, amici, familiari che hanno assistito alla discussione della tesi. “Paolo è il nostro orgoglio” racconta ancora Francesca Palmas, “ma questa soprattutto è una vittoria per tutte le famiglie”. E davvero lo è visto che Paolo ha un’assistenza personalizzata che gli permette di vivere una vita indipendente, anche grazie alla legge 162/98 diventata il modello Sardegna, invidiato in tutta Italia.

LA VITTORIA - Una vittoria anche e soprattutto per i genitori, che nel giorno più bello del figlio non potevano certo mancare. Loro che da sempre hanno creduto nel loro ragazzo, nonostante abbia da sempre dovuto lottare con la malattia. Così ancora una volta al suo fianco erano lì, a raccogliere con lui i frutti del suo sacrificio e della sua fatica, con gli occhi lucidi di chi solo sa quanto impegno ci ha messo Paolo per arrivare davanti a quella commissione. E gli occhi lucidi di mamma Susanna, di papà Enrico e della sorellina Elena parlavano chiaro. “Sono orgogliosa di avere questo figlio. Paolo è un ragazzo forte, non si è mai piegato alla sofferenza” hanno raccontato. E, questa volta certo non era solo il cuore di mamma a parlare. E ora il traguardo della laurea è raggiunto Paolo pensa già ai prossimi obiettivi. Come la sfida quotidiana con la malattia che se proprio non riesce a vincere, vorrebbe almeno pareggiare.

28 novembre 2012

FONTE: giornalettismo.com
http://www.giornalettismo.com/archives/627815/paolo-puddu-la-storia-del-ragazzo-che-si-laurea-parlando-con-gli-occhi/


Una bellissima storia, piena di coraggio, volontà e voglia di vivere..... una di quelle storie chè è sempre bello poter conoscere.
Caro Paolo, grazie per l'esempio che ci dai..... e tanti, tanti auguri per i tuoi prossimi obiettivi.

Marco

martedì 27 novembre 2012

Ammalarsi a Gaza

I devastanti effetti dell’embargo israeliano e del governo di Hamas sul sistema sanitario della Striscia di Gaza raccontati in un videoreportage shock del Guardian. Le storie di chi si ammala in una situazione di continua emergenza.
 
Marah non ha neanche sei anni ma in seguito ad un collasso renale, da un anno e mezzo si sottopone a dialisi tre o anche quattro volte a settimana. Lo fa in uno degli ospedali di Gaza, da cinque anni tenuta in scacco dall’embargo Israeliano, che impedisce di fare arrivare sul territorio beni di prima necessità, medicinali e anche energia elettrica. Il padre di Marah è preoccupato, denuncia la mancanza di filtri adeguati per questo tipo di procedura, una mancanza che potrebbe rivelarsi molto pericolosa per la bambina.

Mohamed Rayyan, infermiere, racconta le condizioni difficilissime in cui si lavora negli ospedali di Gaza, dove molto spesso, durante i trattamenti di dialisi, la luce viene a mancare e medici e infermieri devono far funzionare a mano i macchinari, per evitare che si formino coaguli di sangue, pericolosissimi per i pazienti.

Sono alcune delle storie di ordinaria emergenza ritratte dal videoreportage di Simon Rawles, Noah Payne-Frank and Karl Schembri, inviati del Guardian a Gaza. Nel video, viene ritratto un devastante spaccato del sistema sanitario in questo territorio palestinese dove, per avere cure adeguate nella vicina Israele, i casi più urgenti devono sottoporsi ad un travagliato percorso burocratico per richiedere un permesso speciale, che spesso viene negato.

Una situazione definita inaccettabile dal direttore sanitario del’ospedale di Rantisi, Al Aila, che affida proprio alla videocamera dei tre reporter, un appello disperato: “Sono un medico, ho tutte le capacità per salvare questi bambini, ma non ho i mezzi. I diritti umani devono essere rispettati, almeno per i nostri figli”.

Nel 2010 Israele ha reso meno severo il blocco, ma i medicinali e le attrezzature medico sanitarie continuano ad essere estremamente difficili da recuperare. La situazione è resa ancora più complessa dalla mancanza di cooperazione tra l’Autorità Palestinese e Hamas. Lo scorso aprile Munir al Bursh, direttore generale del dipartimento farmaceutico della Striscia di Gaza, aveva lanciato l’allarme, dichiarando che il bilancio di medicine e attrezzature ospedaliere era pari a zero ma affermando l’esistenza di un dialogo con il governo di Ramallah, auspicando di raggiungere presto un’intesa. 



16 luglio 2012

FONTE: yallaitalia.it
http://www.yallaitalia.it/2012/07/ammalarsi-a-gaza/



Mentre incombono le dolorosissime notizie dell'attacco israeliano sulla striscia di Gaza, che già tante vittime ha causato, questo articolo mette in evidenza la situazione critica degli ospedali di Gaza a causa dell'embargo israeliano. Una situazione critica, ma ora ulteriormente aggravata dalla pioggia di fuoco che si sta verificando su questa terra martoriata in questi ultimi giorni.
Questi sono gli effetti dell'embargo e della guerra.... e a pagare il prezzo più salato sono, purtroppo, proprio gli innocenti.


Riuscirà mai a capire l'essere umano, che la guerra è la cosa più ASSURDA, INSENSATA E CONTRO OGNI LEGGE DI DIO, che possa esistere? Quanta tristezza, quanto dolore, quanta sofferenza........

Marco

giovedì 22 novembre 2012

Sla, svolta dopo la protesta al ministero. "I fondi per l'assistenza raddoppieranno"


A decine in strada davanti al dicastero dell'Economia per sollecitare il governo a rifinanziare adeguatamente il fondo per la non autosufficienza e il sostegno domiciliare. Dopo l'incontro con il sottosegretario la decisione di sospendere lo sciopero della fame. Verifica fra 5 giorni


ROMA - "Non molleremo". Questo il messaggio che Salvatore Usala, malato di SLA e segretario del comitato "16 novembre" aveva rilanciato all'inizio della protesta sotto la sede del ministero dell'Economia per sollecitare il governo a rifinanziare adeguatamente il fondo per la non autosufficienza, indispensabile per le famiglie dei malati. A fine mattinata, dopo l'incontro con il sottosegretario Polillo, arriva l'assicurazione del governo: i fondi saranno raddoppiati. E l'associazione annuncia la sospensione dello sciopero della fame dei malati.

Usala, che è costretto a usare un respiratore automatico e comunica attraverso una lavagna con delle lettere, aveva dichiarato in mattinata di essere pronto a lasciarsi morire in assenza di risposte certe: "Sono nove mesi che chiediamo risposte - aveva sottolineato Mariangela Lamanna, vicesegretaria dell'associazione - Salvatore salirà al ministero senza le batterie di riserva del respiratore. Chiediamo solo il rispetto della Costituzione, che garantisce il diritto alle cure".

Alla manifestazione hanno partecipati alcune decine di malati, alcuni dei quali possono respirare soltanto grazie alle macchine: "Le famiglie non possono farcela da sole - aveva sottolineato Giuseppina Vincentelli, la moglie di Usala - alcune non riescono neanche a pagare la bolletta elettrica". "Sono in arrivo malati da tutta Italia - aveva aggiunto Raffaele Pennacchio, del direttivo del comitato "16 Novembre" - alcuni di loro hanno un respiratore la cui batteria durerà 5-6 ore e chiederanno che non vengano attaccate quelle di riserva. Sono pronti a lasciarsi morire".

I malati chiedevano che più fondi fossero destinati soprattutto per l'assistenza domiciliare: "Se si finanzia l'assistenza in casa - sottolineava Pennacchio - lo Stato risparmia rispetto a quella nelle strutture. Vogliamo proposte concrete, ci hanno offerto un fondo di 200 milioni ma ne servono almeno il doppio".

Al presidio è intervenuta presente anche Mina Welby, co-presidente dell'associazione Luca Coscioni: "Sono qui non per confortare i malati e appoggiare la loro persistente manifestazione, ma per cercare di convincerli a dare fiducia al lavoro che si sta facendo sul ripristino dei Lea, livelli essenziali di assistenza".

Poi una delegazione dei pazienti e dei familiari è stata ricevuta dal sottosegretario Gianfranco Polillo; di essa facevano parte Salvatore Usala, la vicepresidente Mariangela Lamanna, Luca Pulino, malato della provincia di Viterbo costretto a muoversi in barella e i loro familiari. All'incontro ha partecipato anche il senatore Ignazio Marino, presidente della commissione parlamentare sull'efficienza del Ssn. Alla fine c'è stata fumata bianca.

L'assicurazione ricevuta dal governo di raddoppiare il fondo per la non autosufficienza per ora è soddisfacente per i malati, che interromperanno gli scioperi della fame in corso in questi giorni. L'annuncio è stato dato da Mariangela Lamanna. "L'invito è a non drammatizzare la situazione e a fidarsi delle istituzioni, del governo e del parlamento che sicuramente non li lasceranno soli", ha detto il ministro della Salute, Renato Balduzzi, parlando del caso dei malati di SLA a margine della presentazione della 2* conferenza sull'amianto.

Polillo, a nome del governo, secondo quanto riferiscono i partecipanti all'incontro, si è impegnato a portare da 200 a 400 milioni il fondo per l'assistenza domiciliare delle persone gravemente non autosufficienti bisognose di assistenza vigile 24 ore su 24. I soldi saranno destinati a partire dai casi più gravi sulla base di un elenco che dovrà essere predisposto dalle Asl e di una verifica sui singoli casi che sarà affidata anche ai carabinieri del Nas. "L'incontro è andato bene - ha precisato -, ma abbiamo dato cinque giorni per mettere in pratica queste cose, altrimenti siamo pronti a tornare in piazza a protestare".

"Si distingueranno tre diverse categorie - ha spiegato Mariangela Lamanna - : chi ha bisogno solo di carrozzina, chi di carrozzina e alimentazione, e chi ha bisogno anche di respiratore. Noi monitoreremo costantemente tutte le iniziative. Questa indagine sarebbe già dovuta essere pronta, e non essere annunciata come iniziativa urgente". Il senatore Marino si è poi impegnato a fornire al ministero in tempi brevissimi le cifre esatte sui disabili gravi.

21 novembre 2012

FONTE: repubblica.it
http://www.repubblica.it/salute/2012/11/21/news/sla_protesta_dei_malati_davanti_al_ministero-47104477/


La protesta dei malati di SLA di fronte al Ministero dell'Economia fortunatamente si è risolto bene, e certi gesti estremi che si erano paventati nel caso non fossero state accolte le loro giuste richieste non sono accaduti. Di questo non posso fare altro che rallegrarmi. Ciò nondimeno preferisco aspettare il seguito di questa storia, perchè tante, troppe volte, alle parole non sono seguiti i fatti. Auguriamoci che non sia così anche in questa occasione.
Ai malati di SLA e alle loro famiglie rivolgo tutta la mia piena comprensione e solidarietà..... chi porta una Croce così pesante ha il pieno diritto di poter vivere un esistenza serena, almeno da un punto di vista economico, e questo un paese civile LO DEVE GARANTIRE !
Non mi stancherò mai di dirlo: si tolga a tutti, ma non a loro, non a malati e disabili, ancor più se questi lo sono in maniera gravissima come per tanti che sono colpiti dalla SLA. Il buon senso, la ragione, il CUORE, devono prevalere sempre. Sempre e su tutto.

Marco