mercoledì 14 marzo 2012

Il nucleare dopo Fukushima


Nel mondo del nucleare c’è un prima e un dopo Fukushima. Il disastro nella centrale giapponese, conseguenza del terremoto e dello tsunami dell’11 marzo 2011, ha cambiato in molti Paesi il destino dell’atomo. Un anno dopo, è tempo di bilanci.

I reattori nel mondo sono 437 in trenta Paesi (altri tre Stati, fra cui l’Italia, hanno avuto il nucleare nel passato ma lo hanno abbandonato). Il record spetta agli Stati Uniti d’America (104 reattori). Seguono Francia (58) e Giappone (50), mentre in tutta l’Africa c’è una sola centrale nucleare, in Sudafrica, a Koeberg, vicino Città del Capo. La tipologia più diffusa è quella Pwr; i reattori nucleari ad acqua pressurizzata.

Nei primi mesi del 2012 si è registrato l’allacciamento di due nuove centrali – entrambe in Corea del Sud di proprietà della Corea Hydro and Nuclear Power co. – secondo i dati dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica dell’Onu. In tutto il 2011 invece gli allacciamenti sono stati più numerosi e hanno riguardato India, Pakistan, Russia, Iran e Cina (in totale Pechino è arrivata a sette, fra cui un mini-reattore da 20 MegaWatt al China Inistitute of Atomic Energy). Hanno cessato le loro attività, oltre ai quattro reattori di Fukushima interessati dal terremoto-tsunami, l’impianto di Oldbury nel Regno Unito e ben otto reattori in Germania. Paese che, entro il 2022 dovrebbe spegnere anche i restanti. Sono stati invece quattro i reattori di cui è iniziata la costruzione, due in India e due sul territorio del suo vicino e rivale, il Pakistan.

Chi ha scelto di puntare sul nucleare in maniera consistente è la Cina che ha ben 26 reattori in costruzione. A seguire Pechino in questa speciale classifica, la Russia, che sta costruendo 10 reattori e l’India dove si stanno realizzando 7 reattori. Quanto al Giappone, il suo atteggiamento è cambiato radicalmente dopo il disastro di Fukushima: la costruzione già in corso di due nuovi reattori è stata arrestata, mentre per la prossima estate è prevista la presentazione di un nuovo piano energetico nazionale, di cui non è ancora noto il mix energetico (cioè quali fonti di energia Tokyo pensi di utilizzare per soddisfare il proprio fabbisogno).

Per capire quanto fosse importante per il Giappone la produzione nucleare, basta ricordare che – prima del disastro ai reattori della Tepco – l’obiettivo nipponico era di arrivare a produrre il 53% del proprio fabbisogno grazie all’energia nucleare entro il 2030. Una quota che nel 2010 era arrivata al 29%. Fra Fukushima Dai-chi e Dai-ni (due impianti a poca distanza), dei dieci reattori esistenti prima del disastro, in tre si è verificato un danneggiamento del nocciolo, di uno è stato lesionato l’edificio e i restanti sei sono stati disattivati. In tutto il Giappone, ad oggi, sono solo due i reattori attivi su 50. Due nuovi erano in costruzione (a Homa, nel Nord del Paese, e il terzo reattore di Shimane, a Matsue), ma i lavori sono stati bloccati.

Nell’ultimo periodo, secondo il Wall Street Journal, la crisi del nucleare in Giappone ha diminuito la capacità di produzione energetica del Paese di circa un quarto. Da marzo 2011 a oggi la percentuale di sfruttamento degli impianti nucleari è crollata. Tanto che, secondo i dati raccolti da Bloomberg, le centrali nucleari operative sono due, ma anche queste andranno incontro a uno spegnimento programmato. Oltre ai reattori già inattivi prima del disastro di Fukushima, il terremoto-tsunami ha danneggiato anche un reattore nell’impianto di Tokai Dai-ni, sede della prima centrale nucleare giapponese, nella prefettura di Baraki, per cui ora si pensa a uno spegnimento definitivo. I restanti 47 reattori giapponesi non producono al momento energia elettrica, non solo per ragioni che dipendono esclusivamente dal terremoto-tsunami. Alcuni stanno subendo controlli di sicurezza, in altri si stanno facendo lavori di adeguamento dopo il terremoto, ma per nessuno è nota al momento una data di riapertura.

Anche la situazione negli Stati Uniti in qualche modo ha tenuto conto del disastro di Fukushima. Secondo Lucas Davis, professore alla Haas School of Business dell’Università della California a Berkeley, le prospettive del mercato della produzione nucleare negli Stati Uniti «erano grigie anche prima dei tragici eventi di Fukushima», come spiega in una sua lunga analisi. Davis parla di 17 domande di costruzione in attesa di risposta per un totale di 26 unità (che possono essere nuove o sostitutive) depositate presso la Nuclear Regulatory Commission americana, ma «è improbabile che vengano costruite più di una manciata di centrali». L’unico reattore in costruzione, secondo i dati Aiea, è quello di Watts-Bar 2 di proprietà della Tennessee Valley Authority. La prima connessione alla rete elettrica è pianificata per il 1° agosto 2012. Viceversa, sono 28 i reattori in status di smantellamento permanente. Sono lontani i tempi degli anni Settanta: nel 1974 erano 54 le centrali nucleari attive negli Stati Uniti e di 197 era programmata la costruzione, ma meno della metà dei reattori ordinati sono stati poi effettivamente costruiti. Nel 1979, con l’incidente alla centrale nucleare di Three Mile Island in Pennsylvania, ci fu un rallentamento nell’industria. Ad oggi, sono attivi 104 reattori nucleari in 65 siti diversi, che producono circa il 20% del totale dell’energia consumata negli Usa. Di questi nessuno è stato ordinato dopo il 1974.

L’Europa, nell’immediato post-tragedia e nei mesi a seguire ha reagito in maniera diversificata. La scelta di Regno Unito, Repubblica Ceca, Olanda e Finlandia è stata quella di confermare in larga parte i loro programmi, pur tenendo conto di quanto successo a Fukushima. Italia e Svizzera invece hanno rinunciato a nuove costruzioni. Gli elvetici hanno deciso di uscire dal nucleare entro il 2034, mentre per l’Italia c’è stato un referendum che con il 94% dei voti ha abrogato la legge che sanciva la possibilità di produrre energia elettrica grazie al nucleare sul territorio nazionale. Anche la Germania ha deciso di abbandonare l’energia atomica, fissando la data di termine di produzione per il 2022. Nel frattempo Berlino ha fermato la produzione in otto fra i reattori più vecchi. Altri Paesi invece hanno deciso di continuare con i propri progetti: le tre repubbliche baltiche (Lituania, Estonia e Lettonia) proseguono nel loro intento di costruire un reattore nucleare nei pressi del lago Visaginas, in Lituania (dove recentemente è stato spenta la vecchia centrale sovietica di Ignalina). In Francia, grande produttore di energia elettrica dal nucleare e sede di una grande azienda attiva nella costruzione di centrali come Areva, il presidente Nicolas Sarkozy ha espresso la propria intenzione di proseguire lungo il sentiero del nucleare, un settore dove la Francia è leader (produce oltre il 77% della sua energia con l’atomo). All’orizzonte però si avvicinano le elezioni presidenziali e il candidato socialista François Hollande vorrebbe ridurre la percentuale di energia prodotta sfruttando l’energia atomica.

In Russia invece non si fermeranno i progetti della Rosatom, la corporation statale dell’energia atomica, ma è stato deciso di rivedere le misure di sicurezza. L’intenzione di Mosca è di raddoppiare la propria capacità di produzione: al momento sono in costruzione 10 reattori, mentre quelli attivi sono 33, di cui la gran parte nella Russia europea.

Il futuro del nucleare però guarda sempre più ad Est. Passando da Turchia, Emirati Arabi e Vietnam, si arriva ai programmi di sviluppo di India e Pakistan. L’India continua nel proprio percorso, modificando le procedure di controllo post Fukushima. Vuole portare la capacità produttiva dai 28.947 Gigawatt/h del 2011 a oltre 63 mila nel 2020. Il Pakistan invece sta costruendo due reattori da 530 MegaWatt. E andando verso Est si arriva in Cina. Dove in costruzione ci sono 26 reattori, cifra record al mondo per quello che attualmente è il nono produttore mondiale di energia elettrica da nucleare. Al termine degli attuali programmi di costruzione, la Cina avrà più che triplicato la componente energia nucleare nel proprio bilancio energetico.

Ad avere un ruolo sempre più di primo piano sono le grandi imprese sul mercato dei costruttori di reattori nucleari. Fra le aziende in questo campo si trovano molti nomi americani e francesi. Per quanto riguarda questi ultimi è da segnalare Areva, compartecipata dalla Siemens tedesca e da Edf (il produttore francese di energia elettrica), concentrata sullo sviluppo del reattore di modello Epr, un reattore nucleare europeo ad acqua pressurizzata. Tuttavia, la costruzione di questo tipo di reattori si sta rivelando complessa: il primo, che è in via di costruzione a Olkiluoto, in Finlandia, ha subito ritardi e i costi si sono innalzati considerevolmente. Idem nel caso francese di Flamanville. Americane o a partecipazione Usa sono invece la Westinghouse Electric, produttrice del reattore Ap1000, un reattore ad acqua pressurizzata, unico reattore di terza generazione evoluta ad aver ricevuto il Design Certification da parte della Nrc, la commissione sul nucleare Usa, e la General Electric-Hitachi, joint venture fra americani e giapponesi, che ha nell’Esbwr o Economic Simplified Boiling Water Reactor, il suo reattore di più recente sviluppo, di terza generazione evoluta.

Fra i Paesi emergenti dal punto di vista nucleare, in India l’unica società autorizzata a operare sul nucleare nazionale è la NPCIL, l’ente pubblico di sviluppo nucleare indiano, che ha costruito siti di centrali atomiche in sinergia con la Atomic Energy of Canada Ltd e General Electric-Hitachi. Dal 2008 ha firmato accordi con Russia e Usa, e ha visto l’intervento di Westinghouse Electric in alcuni siti. In Cina, invece, è presente la statale China National Nuclear Corporation: quattro reattori sono stati realizzati con l’aiuto della Westinghouse Electric, che ha sede negli Usa, una delle società più importanti che opera su tutti i livelli della filiera, con servizi e know-how per costruire e alimentare una centrale nucleare. Infine va ricordato anche che ogni Paese ha la sua azienda nazionale che collabora con le grandi aziende mondiali per la realizzazione di centrali nucleari, sia per quanto riguarda la componentistica che il know-how.

9 marzo 2012

FONTE: it.notizie.yahoo.com
http://it.notizie.yahoo.com/il-nucleare-dopo-fukushima---inchiesta.html


Bell'articolo che espone quella che è la situazione del Nucleare nel mondo dopo il disastro di Fukushima di un anno fa. Come si evince chiaramente dall'articolo, ogni Stato ha reagito in maniera assai diversa all'evento catastrofico giapponese, e se da una parte Giappone, Stati Uniti e Germania paiono essere in recessione da un punto di vista del nucleare, dall'altra ci sono tanti altri Stati, sopratutto paesi dell'est, che proseguono imperterriti il loro programma di espansione. Sono sopratutto i paesi in via di grande sviluppo ad operare questa scelta, probabilmente per far fronte all'esigenza di un incremento del proprio fabbisogno energetico.

Personalmente trovo che ricorrere al nucleare per produrre energia sia SEMPRE una scelta sbagliata, perchè i rischi sono troppo elevati e poi c'è sempre il problema dello stoccaggio delle scorie radioattive. Fukushima e Chernobyl insegnano a tal riguardo (e non solo questi 2 eventi.... ce ne sono tanti altri, solo di portata minore e quindi meno noti) e non dobbiamo illuderci che ciò che è successo in queste 2 situazioni, non potrà riaccadere anche in futuro. Da questo punto di vista l'Italia, (o meglio, gli italiani) ha dato un segnale forte dichiarandosi fermamente contraria al ritorno del nucleare, e c'è solo da sperare che le cose nel nostro paese non cambino mai. Certo è che lo sviluppo del nucleare nei paesi dell'est è molto preoccupante e sembra proseguire senza sosta.
Se succederanno altri disastri in futuro non potremo proprio incolpare nessuno.... di "tristi" catastrofici esempi purtroppo ne abbiamo già avuti, ma l'uomo, si sa, è molto "lento" a capire dai propri errori.

Marco

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