giovedì 28 febbraio 2013

Roma, muore di Sla aspettando un pc che gli avrebbe permesso di comunicare. Il padre: «Sconfitto dalla burocrazia»

Leandro Rambelli: «A ottobre chiesto il dispositivo per aiutarlo a scrivere sul pc: mi hanno detto che non c'erano soldi. Oggi Andrea è morto»


ROMA - Non poteva far sapere se provava dolore o aveva fame. Il buio pesto della malattia gli aveva lasciato solo un ricordo della libertà, la possibilità di muovere un indice. Il silenzio delle parole poteva essere interpretato solo dal linguaggio del cuore della famiglia: mamma, papà, i due fratelli e la fidanzata erano andati a scuola di dolore per imparare a intuire cosa significasse quella smorfia, quella piccola piega che nasceva sotto un labbro.

Andrea Melone, 41 anni, romano, tre anni fa aveva scoperto di essere malato di SLA. Un metro e novanta di vita, sorrisi e sogni immobilizzati in un letto da un mostro che non conosce pietà. Aveva combattuto con dignità, chiesto al padre, finché ha potuto, di battersi per le anime chiare come le sue che piano piano precipitano nel doloroso silenzio di corpi sconfitti dall'incubo della SLA.

Andrea ha combattuto fino alla fine, fino all'ultimo respiro, oggi. Non ha potuto neanche salutare la vita e la famiglia, a parte quel battito di ciglia. Aveva smesso di parlare a ottobre dello scorso anno. Il papà aveva iniziato le pratiche per chiedere un puntatore oculare, un dispositivo medico che consente di comunicare con il computer. Diecimila e cinquecento euro per continuare a far sapere al mondo che Andrea c'era ancora, Andrea aveva fame, sete, aveva paura, Andrea voleva un abbraccio.

Ma quei soldi le istituzioni non le avevano, «i soldi non ci sono più» dicevano i burocrati. Oggi Andrea ha smesso di battere anche le ciglia e il papà ha deciso di portare avanti la sua battaglia: «Devo perseguire il desiderio di mio figlio, lottare per il futuro dei malati di SLA affinché da questa falsa e ipocrita società possano trarre benefici».

La storia di Andrea la racconta Leandro Rambelli, 62 anni, pensionato, secondo l'anagrafe marito della mamma di Andrea, secondo le ragioni del cuore, semplicemente il papà del ragazzone di quasi due metri morto oggi. «A ottobre, non appena Andrea ha smesso di parlare – racconta Leandro – ho iniziato la procedura per ottenere il puntatore oculare: l'ospedale dove era in cura, il Policlinico Umberto I, ha inviato la richiesta alle strutture preposte dalla Regione a fare le verifiche e a stanziare i fondi per il dispositivo. Una cooperativa ha compiuto un sopralluogo in casa per capire che tipo di supporto servisse. Poi la richiesta finale all'ospedale San Filippo Neri, struttura accredita dalla Regione all'acquisto dell'apparecchio».

A dicembre Leandro chiama il San Filippo Neri
e arriva la risposta: «Siamo desolati, non abbiamo fondi per comprare il puntatore oculare per suo figlio – racconta Leandro - La signora al telefono è stata molto gentile, era commossa, mi ha detto che se avesse potuto avrebbe dato lei i soldi necessari». Ma quei soldi, quei diecimila euro per far tornare a “parlare”, anche se su uno schermo di un pc, Andrea non c'erano proprio.

Poi qualcosa è cambiato: «La Regione – continua Leandro - ha emesso una delibera per lo stanziamento dei fondi, il 31 gennaio i soldi sono stati trasferiti, ma ancora oggi, oggi che mio figlio è morto, quel supporto non è ancora arrivato».

Storia di dolore, di burocrazia, di crisi, storia di un papà che non vuole smettere di combattere. Leandro racconta: «Ci sono voluti tredici mesi per avere la pensione di invalidità, novanta giorni per far riconoscere dal Tribunale mia moglie come amministratore di sostegno, ossia delegata a firmare al posto di Andrea che non riusciva più a muovere neanche una mano».

Andrea ha sempre lavorato, prima come guardia giurata, poi come operatore ecologico all'Ama: «Amava il suo lavoro e la sua divisa – dice il papà - dopo diciotto mesi di malattia ha perso il lavoro come prevede la legge, abbiamo chiesto l'aspettativa anche se sapevamo che Andrea non sarebbe più tornato a indossare quella divisa proprio perché per lui era importante continuare a sentirsi parte del gruppo dell'Ama».

Leandro parla anche di quei soldi che la Regione Lazio a dicembre ha stanziato per i malati di SLA:
«Oltre nove milioni di euro: mio figlio era residente ad Ardea, ho chiesto più volte al Comune di Pomezia quando potessero essere impiegati quei fondi e la risposta è stata sempre la stessa: “Non sappiamo ancora come devono essere gestiti”».

«Intanto – dice il papà di Andrea - mio figlio è morto,
ma la mia battaglia continua per tutte le persone come lui, per tutti quei malati che devono poter morire con dignità».

di Laura Bogliolo 


23 Febbraio 2013
Ultimo aggiornamento: Lunedì 25 Febbraio

FONTE: ilmessaggero.it
http://www.ilmessaggero.it/roma/storie/morto_sla_roma_andrea_melone/notizie/253887.shtml


Vicende come queste riempiono sempre di dolore.
E' mai possibile che, a causa della crisi, non si riescano a trovare i soldi per fornire presidi di così grande importanza,
come nel caso di Andrea, di un puntatore oculare che gli avrebbe permesso di comunicare attraverso gli occhi? Quanta e quale importanza per un malato di SLA, impossibilitato a fare tutto a causa della sua tremenda malattia, è quella di poter comunicare con i propri cari per poter dire anche un semplice "ti voglio bene". E invece no, e invece nulla di tutto questo..... e intanto gli sprechi continuano, le spese non così necessarie anche, e chi fa il "furbetto" e non paga le tasse come dovrebbe, per mancanza di controlli, la fa sempre franca. E a rimetterci sono sempre gli stessi: gli onesti, i poveri, i malati e gli anziani. 
E' ora che le istituzioni si sveglino e cambino le priorità. E' ora di mettere in cima alla lista delle cose da fare, operazioni di civiltà e Amore come queste. E' ora che il buon senso e il cuore prevalgano sulle ragioni
esteriori, che servono solo per accattivarsi il consenso della gente (ma non di tutti) per tenersi ben stretta la "poltrona". E' ora di comportarsi da paese veramente civile !

Marco
 

lunedì 25 febbraio 2013

Ciao Salvatore..... non ti dimenticheremo mai !



Salvatore Crisafulli non è più fra noi.
La mattina di giovedì 21 febbraio 2013, il suo cuore da leone ha cessato di battere e quest'uomo coraggioso e amante della vita, dalla sua casa di Catania, all'età di 47 anni, ci ha lasciato.

Questo post è il mio omaggio personale a quest'uomo, questo mio amico, e credo di poterlo definire veramente così: un AMICO, sebbene non ci siamo mai nè visti nè conosciuti personalmente, vista la grande distanza (geografica) che intercorre tra noi, lui siciliano e io del nord Italia..... ma lo sentivo veramente come un amico da quando, circa 2 anni fa, l'ho conosciuto attraverso Facebook, attraverso You Tube, attraverso la sua Associazione Sicilia Risvegli Onlus, attraverso tutto ciò che parlava di lui. E da allora ho seguito passo passo la sua storia, scrivendo diversi post su di lui su questo mio blog, e manifestandogli la mia amicizia e vicinanza scrivendo spesso sulla sua bacheca o su quella di suo fratello Pietro o della loro Associazione, io come tante, tante, tante altre persone di tutt'Italia e anche oltre, tutti quanti vicini a lui, ammirati dal suo coraggio, dalla sua forza, dal suo esempio, un esempio ammirevole di Amore e attaccamento alla vita, lui che era stato colpito in maniera così feroce dalla rara e tremenda Sindrome di Locked-in, che significa letterariamente "chiuso dentro", ovvero una mente, un cuore perfettamente funzionanti chiusi dentro a un corpo completamente paralizzato.

Ma chi era Salvatore Crisafulli? Mi pare quantomeno doveroso scrivere brevemente la sua storia.
Salvatore Crisafulli fino all'età di 38 anni era un uomo dalla vita apparentemente normale, sposato, padre di quattro figli, e con un lavoro presso la Asl di Catania. Tutto cambia per lui l'11 settembre del 2003, quando, mentre si stava recando al lavoro con la sua vespa, sbatte violentemente contro un furgone di gelati che gli taglia letteralmente la strada e viene sbalzato violentemente in aria. L'urto è violentissimo e si comprende subito che lo saranno anche le conseguenze. Riporta infatti pesanti lesioni cerebrali che lo portano a uno stato comatoso di quarto grado. Salvatore diviene come un vegetale destinato a morire in breve tempo, e tale viene ritenuto dai numerosi specialisti che seguono il suo caso, non dandogli alcuna speranza.
Nel marzo 2005 però, contro tutti i referti e contro ogni aspettativa, l’uomo si risveglia dal coma, e inizia a piangere ma non può nè muoversi nè comunicare. E' imprigionato nel suo stesso corpo che non risponde ai suoi impulsi, tanto da indurre i medici a non credere nel risveglio, motivando le lacrime e i piccoli movimenti che fa, quali riflessi incondizionati. Ma Salvatore è vivo e cosciente e, come racconterà in seguito nel suo libro “Con gli occhi sbarrati” (scritto assieme al fratello Pietro grazie ad un sofisticato comunicatore elettronico), lui era già cosciente dopo soli 7 mesi dall'incidente e sente ogni erronea diagnosi medica; e piange quando i suoi cari lo accarezzano e gli parlano, convinti che potesse sentirli.
La sua straordinaria famiglia ha continuato a credere in lui, contro ogni parere medico, contro ogni logica medico-scientifica, lo fanno uscire dall'ospedale, lo portano a casa e lo accudiscono con grande Amore. Salvatore inizia ad avere i primi piccoli miglioramenti e a condurre una vita che possa essere la più normale possibile, per quanto possa esserlo quella di una persona affetta dalla rara e invalidante Sindrome di Locked-in, questa la terribile diagnosi avuta dopo diverso tempo dagli specialisti, una patologia che blocca ogni tuo movimento, ogni tua parola, pur lasciandoti vigile e lucidissimo a livello mentale. 
Intanto la sua storia diventa nota a livello mediatico sopratutto grazie al fratello Pietro che fa di tutto affinchè suo fratello non venga lasciato solo a livello istituzionale, interpellando giornali, radio e televisioni, e anche grazie al libro "Con gli occhi sbarrati" che richiama l'attenzione persino dell'allora premier Silvio Berlusconi il quale ne parla pubblicamente. Salvatore viene ribattezzato da alcuni il "Terry Schiavo italiano" e fonda con il fratello Pietro l'Associazione "Sicilia Risvegli Onlus", che si impegna attivamente a sostenere pazienti affetti da gravi malattie neurodegenerative, stati comatosi e post-comatosi.
Gli anni successivi Salvatore li trascorre battendosi per la difesa della vita, il diritto alle cure, la garanzia dei fondi per la non autosufficienza. Diventa una sorta di “anti-Welby” italiano, tenacemente contrario all’eutanasia e accanito sostenitore ed innamorato della vita che, per sue stesse parole, egli definisce un “dono originale, irripetibile e divino” che vale sempre la pena di essere vissuta, in qualsiasi stato, anche da paralizzato in un letto di ospedale.
Di pari passo con la sua lotta a favore della vita Salvatore nutre concrete speranze di poter migliorare anche le proprie condizioni di salute: ecco allora che, non senza difficoltà, con il fratello Pietro intraprende un viaggio della speranza alla volta di Israele presso il centro di ricerca e cura del noto medico russo il Prof. Vassiliev, che attua un programma di bio correzzione attraverso la somministrazione mirata di dopamina. I risultati sono incoraggianti, ma a questo viaggio non ne seguono altri (i costi sono elevatissimi), e lo stesso professore russo di lì a poco muore, anche se il suo centro continua ad operare.

Una nuova speranza intanto si affaccia per lui e per tutte le persone affette come lui da gravissime patologie invalidanti: quella del trapianto delle cellule staminali mesenchimali, ovvero staminali “adulte” prelevate dallo stroma osseo, secondo la metodologia attuata dal dottore triestino Marino Andolina, la cui infusione in Italia, pur essendo disciplinata dal decreto ministeriale Turco-Fazio del 2006 relativa alle “cure compassionevoli”, è stata bloccata nel maggio 2012 a seguito di un’indagine dalla Procura di Torino “per dubbi di metodo e nessuna certezza scientifica”.
Inizia così una dura battaglia per poter intraprendere questa cura con cellule staminali adulte che, secondo quanto riportato da altri pazienti a cui erano state precedentemente somministrate, avrebbero dato risultati positivi in 2/3 dei casi. La battaglia è ardua perchè ci sono enormi interessi economici in ballo, e passa anche attraverso vari scioperi della fame, di Salvatore, del fratello Pietro e anche di tanti altri disabili sparsi in tutt'Italia, tutti speranzosi di poter intraprendere queste cure innovative. A suon di carte bollate e avvocati l'associazione di Pietro e Salvatore riesce a permettere a 17 malati, tra i quali 3 bambini siciliani, di intraprendere queste cure presso gli ospedali riuniti di Brescia, ma per Salvatore rimane tutto fermo e, il 12 febbraio 2013, presenta al Tribunale di Catania un ricorso urgente per sottoporsi alla terapia. Ma i giorni si susseguono veloci e le sue condizioni si aggravano.... fino al tristissimo epilogo di questo 21 febbraio in cui il cuore di quest'uomo coraggioso si ferma.

Come ho scritto precedentemente, è da 2 anni che conoscevo, sia pure virtualmente, Salvatore Crisafulli, e mi ritengo veramente ONORATO di aver conosciuto quest'uomo straordinario, che rimarrà sempre nella mia memoria e nel mio cuore, in me come in tantissime altre persone.
Era bello poter entrare nella sua bacheca e lasciargli un messaggio, un pensiero, un incoraggiamento..... ma sopratutto leggere quello che scriveva lui, non con le mani naturalmente, essendo paralizzate come tutto il resto del corpo, ma con questo particolare software che gli consentiva di scrivere con il movimento degli occhi, lettera dopo lettera. Ed erano sempre messaggi belli, ricchi di significati, ricolmi di Amore per la vita, lui che la vita l'aveva così duramente colpito. Un esempio, UN GRANDISSIMO ESEMPIO per tutti noi è sempre stato Salvatore, per noi che magari, senza neanche accorgercene, ci lamentiamo per delle piccolezze, mentre lui combatteva con ben altri problemi per sè stesso e per tante altre persone che si trovano in situazioni simili alle sue. Nelle sue parole traspariva sempre la sua forza, il suo coraggio, ma anche la sua personalità, fatta anche di piccole cose, come il suo desiderio di vedere colorarsi la sua camera con tante cartoline o di vedere un proprio parente in televisione. Era un uomo Salvatore, un VERO UOMO, che ha dato tanto a tutti noi, e che ora lascia un VUOTO enorme in tutti quanti lo hanno conosciuto.

Un mio pensiero particolare va alla sua meravigliosa famiglia, alla sua mamma, a suo fratello Pietro e a tutti gli altri, sempre così stretti e coesi attorno a Salvatore, come un unico cuore, come una cosa sola. E se Salvatore ha fatto quello che ha fatto e ha vissuto come ha vissuto, sono sicuro che lo ha fatto principalmente proprio per il grande Amore che la sua famiglia gli ha sempre donato. Posso soltanto immaginare il loro dolore in questi giorni di sofferenza, il vuoto che il loro caro avrà lasciato in loro, ma sono altresì convinto che Pietro e la sua Associazione continueranno a portare avanti le loro battaglie a favore dei tanti malati invalidi gravi e gravissimi che aspettano solamente che venga data a loro una speranza di vita migliore.
Una GRAZIE sentitissimo da parte mia a questa straordinaria famiglia. 

E per te, caro Salvatore, da Lassù dove ora sei, liberato dalle catene del tuo corpo, ti dico: veglia sulla tua amatissima famiglia e su tutti i malati che versano in condizioni gravi e gravissimi. Per tutti loro, come per noi, sei stato e sempre sarai un grandissimo esempio.
Grazie caro Salvatore, grazie per esserci stato, grazie per aver lasciato traccia del tuo cammino nei nostri cuori, grazie per tutto ! Ora Riposa in Pace e sii eternamente felice nell'Abbraccio dell'infinito Amore di Dio.

Marco



" Nessuno muore sulla terra finchè vive nel cuore di chi resta "
 

giovedì 21 febbraio 2013

Inquinamento spaziale.... cosa c'è sopra le nostre teste?

Vi è una crescente accumulazione di oggetti artificiali che circolano in orbite geocentriche non controllate


Si potrebbe avere l’impressione che la porzione di spazio che circonda il nostro pianeta possa accogliere senza esaurirsi le future città spaziali che fino a pochi anni fa esistevano solo nel mondo del cinema o della fantascienza. Si potrebbe anche avere l’impressione che l’enorme mole di rifiuti spaziali, di satelliti, di piattaforme scientifiche e di diverse strumentazioni disseminati nello spazi e creata dagli astronauti-scienziati non crei problemi nell’immensità dell’universo. Così non è e, se pensassimo in questo modo, saremmo degli illusi. La corteccia spaziale che avvolge il nostro pianeta ha un’orbita propria che finisce irrimediabilmente per assorbire tutta la ferraglia spaziale che, una volta lasciata la Terra, diventa inutile per gli astronauti. Questa ferraglia produce continuamente un forte inquinamento spaziale che si traduce poi in inquinamento ambientale quando questi resti, o i loro componenti tossici, precipitano gradualmente verso il nostro pianeta. Abbiamo sempre sentito dire che l’atmosfera terrestre è una perfetta campana di protezione contro qualunque attività pericolosa per l’uomo, visto che la sua composizione impedisce l’ingresso di qualunque elemento pericoloso per la vita. Si potrebbe quindi dire che questo più di altri è il motivo che ha permesso alla vita nel nostro pianeta di evolversi lungo i millenni con pochi cambi evolutivi radicali rispetto ad altri pianeti. Nonostante ciò la gravità vince sempre e permette a elementi non appartenenti alla sua orbita, come i meteoriti o i già citati rifiuti, di tornare verso il centro attratti dalla forza di un enorme magnete che non è altro che il nucleo terrestre. In questo modo la vita può continuare ma si corre sempre il rischio di entrare in collisione con gli elementi spaziali che circondano il nostro pianeta, inclusi ovviamente i rifiuti tecnologici spaziali. Se si considera che non solo non si è cercato il modo di eliminare questi rifiuti ma si lascia che essi si accumulino nello spazio ci si renderà conto del pericolo che corre il nostro pianeta.

Storia

Tutto cominciò con lo Sputnik… Nel 1957, con il lancio dello Sputnik, si cominciò a produrre spazzatura spaziale. Da allora sono stati messi in orbita più di cinquemila apparecchi che, esaurendo con il tempo la loro funzione, vengono progressivamente abbandonati. Al momento esistono tre orbite che accumulano spazzatura: l’orbita bassa (LEO), l’orbita cimitero e l’orbita geostazionaria. Quest’ultima è la più preoccupante: vi si trovano i satelliti (a 36 chilometri dalla Terra) e si stima che vi siano circa tremila frammenti di diversa taglia (fra 15 cm e 1 metro). Vi si trovano anche gli oggetti più diversi da una semplice bottiglia fino a materiale per le riparazioni e il montaggio, passando per resti di satelliti danneggiati o guasti. Il razzo Pegasus, per esempio, spedito nello spazio nel 1994 esplose due anni dopo generando centinaia di migliaia di frammenti, di cui anche i più piccoli sono molto pericolosi. Un astronauta che fosse colpito da un piccolo frammento di pittura durante una passeggiata speciale morirebbe all’istante visto che la maggioranza di questi frammenti viaggia a una velocità altissima. Per esempio, nel 1965 l’astronauta Edward Hite perse un guanto di circa trenta centimetri che si disintegrò nell’atmosfera circa un mese dopo ma che nel frattempo aveva viaggiato a ventottomila chilometri all’ora. A questa velocità se una nave spaziale si scontrasse con il guanto verrebbe distrutta. Nel 1979, l’amministrazione nazionale di aeronautica e dello spazio degli Stati Uniti (NASA) disse pubblicamente che erano stati lanciati nello spazio 11.366 oggetti speciali dei quali 4633, e in seguito 6733, erano già rientrati nell’atmosfera terrestre. Nove anni dopo la Commissione Nordamericana di Difesa Aerospaziale (NORAD), un ente in grado di raccogliere oggetti del diametro di dieci centimetri a una distanzia di cinquecento chilometri nello spazio, disse pubblicamente che erano stati lanciati 19.037 oggetti nello spazio, dei quali circa 12.000 erano rientrati nell’atmosfera della terra. Di questi oggetti spaziali, sebbene tutti fossero stati lanciati contribuendo all’esplorazione e allo sfruttamento dello spazio, il 95% oggi non funziona, non è controllato e costituisce la cosiddetta spazzatura spaziale.

Conseguenze

Anche le azioni volontarie hanno contribuito alla creazione della spazzatura. La MIR russa, come esempio di negligenza, durante i suoi dieci anni di vita ha lanciato nello spazio centinaia di residui. Non è assurdo pensare che, metaforicamente, “il cielo può caderci sulla testa”.

Generalmente, questi residui senza controllo si distruggerebbero venendo a contatto con l’atmosfera terrestre. In passato sono però caduti sulla terra senza alcun controllo diversi detriti. Ne sono stati identificati almeno sessanta casi alcuni dei quali molto esemplificativi come le venti tonnellate di ferraglia create da Skylab che si sparsero fra l’Australia e l’India nel 1979. Un altro caso significativo si verificò nel 1997 quando il razzo Delta si schiantò su una fattoria a soli cinquanta metri dai suoi abitanti.

Migliaia e migliaia di pezzi di satelliti e altri oggetti fuori controllo pullulano intorno alla terra. In media, un rifiuto rientra tutti i giorni nell’atmosfera terrestre. Mentre la maggioranza si incendia un gran numero resiste e può atterrare, minacciando la vita e le proprietà delle persone. Si dice un oggetto abbia il 30% di possibilità di colpire la Terra. Ancora più improbabile è colpire un’area abitata però, come dice il mio stimato collega Prof. Doo Hwan Kim, non ci troviamo nell’ambito della teoria ma in quello della realtà e man mano che il numero di oggetti spaziali cresce aumenta anche la quantità di pezzi e frammenti, inquinando lo spazio e costituendo una minaccia presente e futura per l’umanità.

Nel novembre del 1960 alcune parti di un satellite nordamericano caddero su Cuba causando danni materiali e la morte di una mucca. Anche il 5 giugno 1969 dei marinai giapponesi furono feriti da alcuni frammenti di un satellite sovietico. L’Unione Sovietica lanciò il 18 settembre 1977 il satellite nucleare Cosmos 954 per operazioni di vigilanza nautica. Questo satellite si disintegrò sopra il Canada nel 1978 generando inquinamento radioattivo in un’area pari all’Austria. Il Canada chiese all’URSS informazioni sul Cosmos 954. Mosca rispose, offrendosi di rimuovere i resti del satellite. Il Canada declinò l’offerta.

L’unione fra USA e Canada per effettuare la rimozione fu chiamata “operazione luce del mattino”. Il Canada chiese all’URSS sei milioni di dollari nel 1979 ma non cercò di ottenere il rimborso dei venticinque milioni di dollari di spese. L’incidente del Cosmos 954 nel 1978 servi da precedente per decidere come devono comportarsi gli Stati rispetto agli incidenti dei satelliti. Queste linee guida hanno a che fare con l’obbligo di a) avvisare, b) informare, c) rimuovere i detriti e provvedere alla bonifica, d) indennizzare i danni.
Nel 1989 la NASA annunciò che un satellite era fuori controllo e si sarebbe disintegrato su una parte dell’Africa, del Sudamerica, India, Sudest asiatico e Australia a meno che una operazione di salvataggio non fosse riuscita a riportare sulla Terra il satellite integro. Nel 1991 caddero sull’Argentina senza causare nessun danno, le quaranta tonnellate della stazione spaziale Salyut. Secondo il rapporto dello studio sui rifiuti spaziali del Giappone del marzo 1993 si dovrebbero osservare circa settemila frammenti di oltre dieci centimetri di diametro al disotto di un’altitudine di cinquemila chilometri nell’orbita spaziale. Questo gruppo di studiosi concluse che la media di collisioni fra rifiuti spaziali crescerà notevolmente nel tempo.

La NASA ha annunciato che da ventimila a settantamila detriti spaziali a un’altitudine di ottocento/mille chilometri girano intorno alla Terra. La conclusione è che esistono migliaia di pezzi di satelliti e altri oggetti ormai fuori controllo e non funzionanti.



Cause


I satelliti inutili, i moduli del razzo usato per il lancio, le piattaforme di ricerca vanno in giro per la nostra orbita senza nessun tipo di controllo. Quando entrano per caso o a causa della corrosione nell’orbita terrestre effettuano la loro apparizione rispettando le regole fisiche dell’attrito spaziale. Proprio come le meteore o le rocce che, nello spazio, si disintegrano (chiaramente dipende sempre dal materiale, la stazione spaziale sovietica MIR atterrò, fortunatamente nell’oceano, quasi intera) e, a causa dell’attrito, si scompongono evitando i danni che potrebbero essere causati da un impatto con una città ma diffondendo in questo modo elementi tossici per la vita.

Visto che nessuno li ha considerati un problema i rifiuti spaziali non prendono un’orbita definita una volta assolta la loro funzione. Molti di loro si trovano a un’altitudine relativamente bassa (circa millecinquecento chilometri) e proprio lì possono rendersi pericolosi. Nonostante alcune macchine dispongano di calcolatori d’orbita che continueranno a funzionare per molto tempo arriverà il momento in cui questi meccanismi cederanno. A quel punto arriverà il momento decisivo: se l’oggetto si mantiene oltre la capacità di attrazione della Terra potrà vagare per un tempo indefinito. Al contrario, se finiscono in un punto in cui l’attrazione terrestre è forte in poco tempo entreranno nell’atmosfera e cominceranno il processo di disintegrazione. L’una e l’atra cosa sono negative. È negativo il fatto di vagare indefinitamente per lo spazio visto che il rischio di scontrarsi con un satellite, con un meteorite o con le stazioni spaziali è alto, è negativo entrare nell’atmosfera perché, al disfarsi, gli elementi tossici si espandono sulla biosfera e quelli che rimangono intatti possono causare dei danni fisici in determinati luoghi.

Informazioni sulla proliferazione spaziale

La proliferazione spaziale consiste nella crescente accumulazione di oggetti artificiali che circolano in orbite geocentriche non controllate.

Questi oggetti derivano fondamentalmente da varie fonti:

1. Esplosione, voluta o no, di un oggetto artificiale.
2. Collisioni fra questi oggetti.
3. Permanenza in orbite non controllate di satelliti che hanno terminato il loro periodo di utilità.

Bisogna distinguere fra orbite al di sotto di 5000 km (Leo, Low Earth Orbit) e quelle che nascono da oggetti geostazionari, ossia quelle che percorrono orbite circolari sul piano equatoriale a un’altitudine approssimativa di trentaseimila chilometri con velocità angolare pari a quella di rotazione della Terra. Queste ultime si chiamano GEO (Geostationary Orbit) e sono quelle dei satelliti per le comunicazioni che hanno superato il loro periodo di utilizzo.
La maggior proliferazione avviene nel LEO e si stima che attualmente la massa totale della circolazione sia nell’ordine delle tremila tonnellate e una possibile collisione fra questi oggetti possa avvenire alla velocità relativa di km/sec. D’altra parte è stato constatato che in alcune missioni del tipo Space Shuttle che la nave spaziale ha ricevuto un numero considerevole di colpi da parte di oggetti non controllati. La proliferazione che nasce nel GEO è meno pericolosa a causa dell’altezza e della minore abbondanza di oggetti.

Possibili soluzioni


Non esistono soluzioni immediate all’accumulazione di rifiuti spaziali e sembra difficile trovarne in un futuro prossimo. Anche se si dovessero adottare misure per evitare la produzione di spazzatura spaziale, i lanci da terra continueranno a essere una fonte di inquinamento differito. L’unica cosa possibile è catalogare e osservare i rifiuti esistenti fino a quando non si riuscirà ad avere la tecnologia adeguata per distruggere i rifiuti senza rischi o costi altissimi.

La scienza avanza con passi da gigante e la evoluzione tecnologica si perfeziona costantemente. Nonostante ciò non si è ancora riusciti a trovare una soluzione per evitare tutti i rifiuti spaziali. Negli ultimi anni il massimo che i governi e le agenzie spaziali sono riusciti a fare è limitare il numero di satelliti lanciati nello spazio, riuscendo così a evitare l’indiscriminata e incontrollata invasione dello spazio che sembrava prospettarsi negli anni settanta. Ciò però può al massimo ridurre leggermente i pericoli per la nostra orbita spaziale, visto che tutti gli apparecchi tecnologici hanno una vita limitata e legata alle condizioni climatiche dello spazio. Infatti, temperature eccessivamente basse e la presenza di elementi chimici nel lungo periodo possono risultare corrosivi. Il problema nasce quindi quando questi apparecchi iniziano a rilasciare elementi tossici o del combustibile che potrebbero arrivare a essere pericolosi tanto nello spazio, a causa della possibilità di uno scontro casuale con uno di questi elementi e uno pienamente funzionante, quando a livello terrestre visto che, come abbiamo detto prima, le conseguenze dell’inquinamento possono essere nefaste.

Se entriamo nella pagina della NASA ci accorgiamo che esiste un dipartimento destinato a seguire il processo orbitale dei rifiuti spaziali, nonostante ciò abbiamo potuto capire che al momento questo dipartimento non cerca una soluzione al problema. Al massimo si catalogano i rifiuti esistenti con numeri differenti che si cerca di seguire per evitare qualunque tipo di problema al momento di un lancio. È chiaro però che questo dipartimento non sta prendendo in considerazione nessuna soluzione per l’eliminazione o il recupero dei rifiuti e non si sta nemmeno ponendo il problema ambientale. Nemmeno nella pagina ufficiale del NORAD si parla del tema ambientale anche se sembra che il proseguo sia più esaustivo. Ciò che sembra evidente è che questi dipartimenti sono riusciti a catalogare solo dieci/quindicimila oggetti su circa ottanta/novantamila. Da ciò deriva che un numero considerevole di resti spaziali gira senza controllo sulle nostre teste per non parlare dei rifiuti tossici, piccolissimi e assolutamente incontrollabili.

L’altra faccia dell’avventura spaziale non è più divertente. A volte i gruppi ecologisti, ben inseriti nel senato statunitense e nella comunità europea, sembrano sul punto di porre in essere precauzioni per il futuro come controllare i residui tossici che potrebbero formarsi. Altrimenti, si propone si spedire più lontano i satelliti ormai inutili o perfino controllarne il rientro e il luogo di caduta anche se ovviamente questa non è una soluzione al problema. Forse sarà necessario aspettare che l’uomo assuma coscienza del problema ecologico non solo sulla Terra ma anche universalmente. Da ciò dipende il nostro futuro.

Su questi temi sono stati realizzati numerosi studi, ricerche e lavori teorici e sperimentali per la analisi e il possibile controllo di questo fenomeno. La NASA sta sviluppando un programma che ha i seguenti obiettivi:

1. Minimizzazione o riduzione della proliferazione spaziale.
2. Definizione dello stato attuale della proliferazione, sviluppo di modelli di evoluzione e mantenimento di basi di dati per agenzie spaziali nordamericane o straniere.
3.
Sviluppo di tecniche avanzate di protezione fisica di future missioni spaziali.
4. Studio e sviluppo di politiche di regolazione delle attività spaziali.

Tradotto da Alessandro Stoppoloni per PeaceLink.
N.d.T.: Titolo originale: "Contaminación Espacial"

7 febbraio 2013

FONTE: peacelink.it
http://www.peacelink.it/ecologia/a/37665.html


Quello dell'inquinamento spaziale è un problema poco considerato e poco trattato...... eppure sopra le nostre teste, sia pure a distanza di svariati chilometri, c'è veramente di tutto e di più, e questa enorme mole di "spazzatura spaziale" non è inerme come si vorrebbe far credere, ma costituisce una fonte di pericolo sia per gli oggetti (e gli uomini) che sono in orbita, sia per noi che siamo sulla terra. Questo perchè, come spiega bene questo articolo, gli oggetti che precipitano sulla Terra nella maggior parte dei casi si disintegrano per via dello "sfregamento" con l'atmosfera terrestre prima di toccare il suolo, generando però un non indifferente inquinamento ambientale.... altri, assai meno per fortuna, riescono addirittura ad arrivare intatti o parzialmente illesi al suolo terrestre e quindi possono costituire un pericolo d'impatto per tutti.
Ecco quindi un altra forma d'inquinamento e di pericolo da non sottovalutare..... un altro aspetto da considerare della nostra società evoluta e super-tecnologica, che nella sua evoluzione si è però portata appresso una scia di GRANDI problemi con cui dobbiamo fare costantemente i conti.

Marco

lunedì 11 febbraio 2013

Bimbo malato: «Papà uccidi il mostro»

TARANTO“Papà uccidi il mostro”: è la frase scritta da un bambino di Taranto su un foglio dove il piccolo ha disegnato i camini dell’Ilva, con i fumi a forma di mani e facce da mostro. Il bambino ha contratto una patologia legata all’inquinamento di origine industriale ed è costretto a curarsi anche lontano dalla propria città. Suo padre ha inviato il disegno al Comitato "Donne per Taranto", insieme a una lettera in cui racconta il calvario del figlio.

Ho insegnato a mio figlio in questi anni – racconta il papà – ad avere fiducia sempre negli altri, negli adulti, nella vita. Lui da oltre un anno si prepara il suo trolley da solo ogni 20-30 giorni per andare a fare la cura a Parma ed è stato sempre lui a trasmetterci l’ottimismo per l’esito delle analisi”. L’ultima volta, spiega il genitore, “non è tornato con me, è ricoverato perchè i valori non si sono normalizzati. Mercoledì prima di ritornare a Taranto per il lavoro, sono andato a salutarlo, dormiva ancora e sul comodino c'era un disegno con l’Ilva e sotto la scritta 'papà uccidi il mostro”.

Il disegno, – scrive ancora il papà – mentre lui è lontano da me, lo tengo tra le mani e sento di averlo tradito, il mostro è là e più forte che mai”.

Il papà si chiede: “cosa gli dirò domani quando lo riabbraccerò? Che il mostro è ancora lì e che io (il suo eroe) non sono riuscito a sconfiggerlo?”. La lettera è stata divulgata da Rosella Balestra, coordinatrice del Comitato "Donne per Taranto", che ha già preannunciato azioni legali contro il rilascio dell’Autorizzazione integrata ambientale all’Ilva.

20 ottobre 2012

FONTE: lagazzettadelmezzogiorno.it
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDCategoria=2699&IDNotizia=561580


Ieri, 11 febbraio, era la Giornata Mondiale del Malato, e credo sia nostro dovere morale non dimenticarci mai dei tanti malati che ci sono in tutt'Italia e in tutto il mondo, non di rado anche tra nostri parenti più stretti o amici. La malattia è sempre una gran brutta cosa, ma quando ad essere malato è un bambino, bè..... lo è ancora di più !
Questo post che ho pubblicato oggi, parla da solo: quante persone, anche bambini, sono malati a causa dell'inquinamento ambientale: tanti, tantissimi !!! Allora, se vogliamo vivere in un mondo migliore, meno inquinato, più giusto e civile, dobbiamo IMPEGNARCI, ciascuno facendo il suo, a rispettare la nostra cara Terra che ci ospita amorevolmente, non inquinandola, non insozzandola, ma trattandola Bene, come se fosse un figlio, oppure come se fosse una madre che merita tutto il nostro rispetto per tutto quello che gratuitamente ci dona (aria, acqua, cibo, bellezza... e ogni quant'altro).
"Mostri" come l'Ilva e come tanti altri simili sparsi per il nostro pianeta non hanno più ragione di essere e di esistere.... ma attenzione, il rispetto dell'ambiente passa anche attraverso cose molto più piccole, come, per esempio, fare un accurata raccolta differenziata, andare più spesso a piedi o in bicicletta, acquistare prodotti bio-compatibili, riutilizzare in vario modo le cose che abbiamo già, e così via.... Non pensiamo che il rispetto e la tutela dell'ambiente sia solo affare dei poteri forti, dei politici e dei grandi industriali: NO, ognuno di noi può fare tanto, tantissimo, più di quanto si possa immaginare. Ognuno può e deve fare il "suo", senza eccezzioni e senza scuse. Amare l'ambiente significa amare tutto il creato, quindi anche l'uomo stesso, quindi significa avere maggiore rispetto di sè. Ricordiamocelo sempre, non tralasciamo mai i nostri piccoli e grandi doveri quotidiani verso l'ambiente e verso noi stessi.
Non dimentichiamoci MAI di questo bambino che lotta contro il tumore (e quanti come lui !), per l'ingrata e immeritata eredità che noi genitori gli abbiamo lasciato. Quante responsabilità, quante responsabilità che abbiamo noi tutti verso di loro..... NON DIMENTICHIAMOCELO MAI !!!

Marco 

sabato 9 febbraio 2013

Piemonte: “a causa dei pesticidi tanti agricoltori colpiti da Sla?”. Indagine di Guariniello

Ebbene sì: basta con le immagini di bucolica salubrità di vita e lavoro agresti!

La SLA, Sclerosi Laterale Amiotrofica, la terribile malattia senza cura e scampo, ha colpito solo in Piemonte, in questi ultimi anni, 123 contadini, di cui ben 20 giovani, sotto i 30 anni.

 
Il dato emerge dall’analisi delle schede di dimissioni ospedaliere che Raffaele Guariniello aveva chiesto di raccogliere alla Regione attraverso le Asl piemontesi.

Per l’esperto in SLA, professor Chiò: “Il periodo di esposizione più importante al rischio è fra i 15 e i 30 anni di vita. Per quanto riguarda l’agricoltura, non è detto che siano quanti svolgano o abbiano svolto questo lavoro ad essere più a rischio di altre categorie. Conta l’essere stati a contatto, e a lungo, con l’ambiente agricolo
.

Guariniello:
Vi sono solo ipotesi di lavoro, in questo caso sospettiamo dei pesticidi e di altre sostanze tossiche largamente usati in agricoltura, analogamente con quella del trattamento chimico per i campi di calcio, almeno di certi campi di calcio.

Come nel caso dell’Ilva di Taranto buona parte della questione sembra incentrarsi (o meglio celarsi) nella raccolta di dati epidemiologici.

Abbiamo un relativamente efficiente Servizio Sanitario Nazionale che non sa (o non vuole sapere?) quanti siano i cittadini, provenienti da ambito agricolo, afflitti e/o deceduti per la malattia neurodegenerativa?

In effetti, Guariniello si era posto, tempo or sono, analogo quesito sull’incidenza di SLA tra quegli sportivi di discipline a costante contatto con l’erba, debitamente “curata” con erbicidi, defolianti e insetticidi.

I calciatori, diversamente da altri sport, sono in continuo contatto con l’erba dei campi, esposti ai pesticidi sia per le abrasioni cutanee e sia per la pressione della palla sulle gambe. Un’esposizione paragonabile a quella professionale degli agricoltori.

Non a caso, infatti, la devastante patologia neurodegenerativa che provoca l’irreversibile perdita di motoneuroni è anche chiamata il male di Lou Gehrig, il giocatore americano di baseball morto nel 1941di SLA.

Lo studio sui 24.000 calciatori italiani, condotto a seguito dell’inchiesta promossa da Guariniello nel 1999, ha evidenziato un rischio circa 10 volte più alto per i calciatori, rispetto al resto della popolazione.
Un successivo studio del 2009 condotto su 7325 calciatori italiani, attivi tra il 1970 e il 2002, di serie A e B, ha accertato un incremento dell’incidenza di mortalità da SLA 16 volte più alta rispetto alla popolazione generale.
Analogamente uno studio, del 2007, su 3.891 giocatori della National Football League (Nfl) degli Usa ha evidenziato fra questi sportivi un’incidenza di SLA ben 40 volte più alta del normale.

In proposito un interessante articolo di sintesi di Davide Manucra, pubblicato dalla rivista dell’ARPA dell’Emilia Romagna, così conclude: “(...) il campo da gioco rappresenta al momento il solo fattore comune al calcio e agli altri sport praticati dai giocatori morti di SLA negli Usa, in Italia e in Inghilterra”.

D’altra parte è stato riconosciuto recentemente (articolo di Le Monde) in Francia, (anche a seguito di un duro conflitto giuridico che ha visto la totale sconfitta della Monsanto) il Parkinson, quale: “malattia professionale degli agricoltori”. 


E a rincarare la dose una recente ricerca scientifica – denominata Phytomer - dell’INSERM (National Institute of Health and Medical Research), presentata a maggio a Parigi, ha accertato che gli agricoltori, i viticoltori in particolare, possono subire una perdita delle capacità cognitive e disabilità cervello, a causa del contatto con limitate dosi di pesticidi. (articolo di Le Monde).

Lo studio durato 12 anni, e finanziato dall’Anses (Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare, nutrizione, ambiente e lavoro), ha monitorato un campione di 929 agricoltori di età compresa tra 42-57 anni, del dipartimento della Gironda.

Isabelle Baldi e la sua equipe hanno verificato l'effetto dell’esposizione ai pesticidi, con test neuropsicologici, e accertato la percentuale di viticoltori che mostra segni di declino delle performance cognitive a seguito d'esposizione ai pesticidi. Con tra l'altro diminuzione della memoria, della concentrazione o della semplice presenza.


Il 50% dei vigneron seguiti dallo studio ha manifestato effetti significativi del deterioramento delle funzioni cerebrali.

Sta assumendo una dimensione oramai imponente e assai preoccupante la mole dei lavori scientifici che indica una connessione diretta tra pesticidi e disturbi cerebrali:

- Studio scientifico per cui esposizione a pesticidi può comportare un rischio maggiore di sviluppo del Parkinson e dell’Alzheimer: (R.Lewin, Parkinson’s disease : an environmental cause? Science 229(1985) 257-258-258).

- Studio francese per cui l'utilizzo agricolo dei pesticidi moltiplica il rischio di contrarre il Parkinson per 5,6 e quello di sviluppare l’Alzheimer di 2,4 volte, rispetto alla popolazione non direttamente esposta a pesticidi (I; Baldi et al. 2003).

- “Le sostanze chimiche perturbatrici del sistema endocrino possono interferire con lo sviluppo neurologico e comportamentale, e di conseguenza con il potenziale degli individui esposti in utero... Questa perdita di potenziale... può assumere la forma di anomalie fisiche o comportamentali. Può manifestarsi come una riduzione della capacità mentale, minore capacità di adattamento sociale, menomata capacità di risposta agli stimoli ambientali... ecc.” (Erice Statement. In “Chemicals and the brain”. Rachel’s environment and health weekly n° 499 et n° 501. http://www.monitor.net/rachel/rehw-home.html)

- Studio del dottor Dott. Porter che ha dichiarato:
Al ventesimo giorno di gravidanza, quando il tubo neurale del feto si chiude se riceve una dose di pesticidi... il suo livello di ormone tiroideo, sale o scende; l'ormone attraversa la placenta e può influenzare irreversibilmente lo sviluppo del cervello.” (Porter et al. 1999. Endocrine, immune and behavioral effects of aldicarb, atrazine and nitrate mixtures at groundwater concentrations. Toxicology and industrial health 15: pp133-150.)

- Recente studio scientifico che evidenzia l’effetto dei pesticidi sull’incremento della sindrome dell’attenzione nei bambini (HDHD).

30 agosto 2012

FONTE: mieliditalia.it
http://www.mieliditalia.it/index.php/api-agricoltura-ambiente/notizie-agricoltura-e-ambiente/81139-piemonte-a-causa-dei-pesticidi-tanti-agricoltori-colpiti-da-sla-indagine-di-guariniello

giovedì 7 febbraio 2013

Emma Orbach, la donna che vive in maniera quasi medievale a impatto zero


Senza luci, senza TV o radio, né acqua corrente. Sulle pendici del Mount Carningli, nella contea di Pembrokeshire, a ovest del Galles, Emma Orbach, 58 anni, laureata a Oxford e madre di tre figli, ha mandato l'orologio indietro a un'esistenza quasi medievale e da 13 anni vive come un hobbit, in una capanna di fango a 15 minuti a piedi dalla strada più vicina.
Figlia di un ricco musicista, la signora hobbit - così l'hanno ribatezzata i giornali - frequentò fin da piccola le scuole più costose e prestigiose del Paese, insieme, per fare un esempio, alle figlie dei Presidenti stranieri, per poi trasferirsi a Oxford e completare i suoi studi con una laurea in cinese.
Qui incontrò il marito Giuliano, storico dell'architettura. Per cinque anni vissero in una casetta a Bradford, ma presto si trasferirono in un casolare abbandonato vicino a Bath, dove sono nati e cresciuti i loro figli. Da lì entrarono in una comunità hippie, con altri genitori che piuttosto di fare la spesa nei supermercati lavoravano la terra.
Ma negli anni '90 arriva l'illuminazione e i due comprano 175 ettari di terreno per 150.000 sterline. “La mia vocazione era quella di immergermi totalmente nella natura e allontanarmi da tutte le interferenze moderne
, racconta la donna “hobbit, che però non fu seguita da tutta la famiglia: “mio marito non è mai venuto a vivere con me e ci siamo separati. Mi sono resa conto che questa era la mia vocazione e non potevo chiedere al resto della mia famiglia di fare lo stesso. È stato normale aspettarsi che degli adolescenti non volessero vivere improvvisamente senza energia elettrica


Perché una donna brillante e laureata arriva a scegliere una strada che può sembrare quantomeno drastica? “Da bambini, non siamo mai stati incoraggiati a concentrarci sulle cose materiali – continua Emma -. Ero solita giocare nei campi. Ho sempre amato i fiori e la natura. Io e mio fratello a volte mangiavamo i nostri pasti sugli alberi. È stato idilliaco. Ho avuto la vera libertà. Sono molto grata di non aver mai dovuto vivere la sensazione di aver fatto qualcosa solo perché tutti gli altri l'hanno fatta. Ho portato avanti questo principio. Oggi, tutto ciò che riguarda la mia vita mi rende felice. Svegliarsi in un bosco e guardare i bellissimi alberi, vedere le stelle e la luna, ho un rapporto molto stretto con il mondo naturale
.
Per questo Emma ha deciso di vivere prendendo l'acqua da un ruscello, tagliando la legna, coltivando le sue verdure, curando i suoi animali (sette galline, tre capre, due cavalli e due gatti) e costruendo una capanna in stile hobbit fatta di paglia, fango e sterco di cavallo. E trascorre la propria esistenza in un luogo straordinario che lei chiama casa, dove ogni tecnologia moderna è bandita e la vita a impatto zero, con i minor danni possibili sul pianeta, è possibile. 



di Eduardo Capuano

 20 gennaio 2013

FONTE: ecplanet.com
http://www.ecplanet.com/node/3717


Chi ha detto che non si può vivere su questa Terra senza inquinare? La signora Emma Orbach ci dimostra con i fatti, con il suo stile di vita, esattamente il contrario !
Certo la sua è una scelta di vita molto drastica, che certamente ai più non può andare bene, però non si può non apprezzarla per questo suo modo "libero" e "green" di vivere la propria vita, a stretto contatto con la natura, come avveniva per le popolazioni di una volta.
Onore e merito quindi a questa persona e un insegnamento anche per tutti noi, a cercare di vivere nel modo più rispettoso possibile verso la nostra cara Madre Terra che ci accoglie sempre con tanto Amore, e di cui noi uomini dovremmo avere assolutamente più rispetto, considerandoci i custodi di essa e non degli stolti dominatori che si possono permettere di fare tutto quello che vogliono. 
 

Marco

lunedì 4 febbraio 2013

Pcb da record nel sangue dei bresciani

Analisi choc dell'Asl e dell'Istituto superiore di sanità su 300 lavoratori delle aziende metallurgiche e 113 cittadini
 
Chi lavora in fonderia e ci vive vicino è più contaminato che nel resto d'Italia

Il sangue dei bresciani non è come quello degli altri italiani. Nelle vene dei bresciani scorrono più diossine e pcb, usciti negli ultimi decenni dai camini delle industrie metallurgiche e finiti sui campi e quindi nei cibi. Chi lavora nelle acciaierie della città e dell'hinterland, chi vive vicino alle aziende incriminate ha più veleni in corpo di chi ha la fortuna di risiedere sui monti della Val Sabbia e nell'alto Garda, sebbene anche queste persone abbiano dosi elevate di pcb (ma non di diossine). A stabilirlo è uno studio del servizio prevenzione dell'Asl di Brescia e dell'Istituto superiore di Sanità (pubblicato recentemente sul Giornale italiano Medicina del lavoro).

Contiene dati choc. Basta leggere le conclusioni: «La popolazione di Brescia, anche non residente nelle aree inquinate dall'impresa Caffaro, si caratterizza per concentrazioni nel siero di diossine e Pcb superiori ai valori osservati nelle popolazioni italiane non esposte». Non solo. Anche in chi vive lontano da fonti inquinanti (per l'esattezza a Tignale e Bagolino) «le concentrazioni di diossine, furani e pcb sono apparse più elevate di quelle osservate in alcuni gruppi di popolazione generale italiana», compreso chi vive nella Campania delle discariche tossiche e dell'allarme rifiuti. Nel dettaglio: gli abitanti di alto Garda e dell'alta Val Sabbia hanno concentrazioni di diossine nella norma rispetto alla media italiana, ma non è così per i pcb. La ricerca condotta dal dottor Pietro Gino Barbieri (Asl Brescia), da Silvio Garattini (Iss) e da altri sei medici-ricercatori (Pizzoni, Festa, Abbale, Marra, Iacovella, Ingelido, Valentini, De Felip) era mirata a valutare l'esposizione cumulativa a policlorodibenzodiossine (Pcdd), policlorodibenzofurani (Pcdf) e policlorobifenili (Pcb) in lavoratori metallurgici e nella popolazione generale della provincia di Brescia.

I ricercatori
hanno analizzato il sangue di 300 lavoratori metallurgici e di 20 impiegati negli uffici amministravi. Identica procedura per 46 persone che vivono vicino alle aziende che fondono rottami (ma che lavorano nel terziario) e per altre 47 che vivono a chilometri di distanza (per l'appunto Tignale e Bagolino). I risultati? «Per i lavoratori metallurgici si osservano livelli ematici di pcb più elevati di quelli osservati nella popolazione non professionalmente esposta, sebbene in modo non statisticamente significativo, fatta eccezione per alcuni congeneri - come i pcb 28, 52 e 101 - che risultano significativamente più abbondanti». In sostanza, anche i residenti «vicini» alle aziende hanno «livelli ematici di organoclorurati pressoché sovrapponibili a quelli rilevati nei professionalmente esposti». Al contrario in chi risiede lontano dalle fonti inquinanti «l'intervallo di valori osservati è più basso».
I valori variano anche da azienda ad azienda e da reparto a reparto; chi lavora in una fonderia di ghisa è meno esposto dei colleghi che lavorano nella fonderia di alluminio o in acciaieria. E gli addetti alle aree di fusione e manutenzione risultano «sovraesposti» rispetto a chi lavora nelle aree di colata e parco rottame.

Va precisato che tutti i soggetti analizzati hanno un'età media di 43 anni e nessuno di loro ha consumato cibi contenenti grassi (dove si accumulano diossine e pcb) in quantità significativamente maggiore rispetto agli altri. Ecco allora che risultano più chiare le conclusioni dello studio: «la fusione dei metalli da rottami contaminati con materiali plastici può contribuire al rilascio in ambiente di composti organoclorurati», diversi dei quali sono cancerogeni (è il caso delle tetraclorodibenzodiossine). La stessa Unione Europea, ricordano i medici, ha individuato nell'industria del ferro e dell'acciaio una delle maggiori sorgenti di emissione di diossine e furani in Europa. Brescia per decenni ha recuperato il 40% del rottame metallico circolante in Italia, creando ricchezza, migliaia di posti di lavoro e proporzionalmente una grande dose d'inquinamento, visto che fino a pochi anni fa erano quasi inesistenti leggi e tecnologie per l'abbattimento degli inquinanti.

Oggi non è più così. Basti pensare all'autoregolamentazione che si sono date le 22 principali aziende siderurgiche bresciane (riunite nel consorzio Ramet) che negli ultimi 2 anni hanno speso milioni per diminuire dell'80 per cento le emissioni di diossine (auto-imponendosi il limite di 0,1 nanogrammi per metrocubo) e installando anche un monitoraggio in continuo per facilitare i controlli degli enti. Ma i fumi usciti nei decenni passati hanno lasciato il segno. Lo certifica il sangue dei bresciani.

di Pietro Gorlani

20 dicembre 2012

FONTE: brescia.corriere.it
http://brescia.corriere.it/brescia/notizie/cronaca/12_dicembre_20/20121220BRE05_16-2113243148341.shtml

sabato 2 febbraio 2013

Caldogno, il consiglio dichiara guerra alla MCS

È una delle tante malattie rare che rendono quasi impossibile la vita a chi ne è affetto, ma nonostante abbia effetti gravissimi si tratta di una malattia “fantasma”, che in Italia, a differenza di altri grandi paesi industrializzati, non è riconosciuta. Stiamo parlando della Sensibilità Chimica Multipla (MCS), una patologia cronica invalidante che comporta reazioni multiorgano a seguito delle esposizioni a varie sostanze chimiche in quantità normalmente tollerate dalla popolazione in generale.

I criteri diagnostici sono stati stabiliti da un Consenso Internazionale nel 1999: la MCS è dunque riconosciuta negli USA, in Canada, in Germania e in Giappone come malattia di origine ambientale, ma in Italia questo non accade, nonostante una quota rilevante della popolazione, che varia dal 2 al 10%, risulti ipersensibile alle sostanze chimiche presenti nell'ambiente e nei prodotti di uso comune e una percentuale crescente della stessa non tolleri l'esposizione a sostanze multiple, con una compromissione della capacità lavorativa, della vita sociale e dell'autonomia, fino alla difficoltà respirare a causa dell'aria contaminata.

Il consiglio comunale di Caldogno ha deciso di attivarsi su questo fronte, anche perchè una cittadina di Caldogno ha fatto presente la propria situazione famigliare compromessa dalla presenza di questa malattia. Nell'ultima seduta del consiglio è stato approvato un documento che comporta l'adesione alla campagna per il riconoscimento della Sensibilità Chimica Multipla quale malattia rara e invita la Presidenza della Regione del Veneto e l'Assessorato regionale alla Sanità a sollecitare presso le dovute sedi l'iter procedurale per il riconoscimento della MCS come malattia sociale, utilizzando il Consenso Internazionale del 1999 come parametro per le diagnosi, come avviene in tutto il Mondo, affinchè sia possibile fornire diagnosi e cura ai malati.

“In Italia – recita il documento - manca una legge quadro che equipari i diritti dei malati ambientali, non solo di MCS, ma anche di Sindrome da Stanchezza Cronica, di Elettrosensibilità, di Fibromialgia, Sindrome dell'Edificio Malato ecc., a quelli dei malati di qualsiasi altra forma di disabilità, in termini di tutela del lavoro, del diritto alle cure, del diritto a una casa "sicura" ecc..”.

Quello di Caldogno è un piccolo passo, ma che sommato ad altri potrebbe portare a grandi risultati.

29 gennaio 2012

FONTE: vicenzapiu.com
http://www.vicenzapiu.com/leggi/caldogno-il-consiglio-dichiara-guerra-alla-mcs