martedì 30 luglio 2013

Sonia e Francesco sposi oltre la disabilità


Se vedi Sonia e Francesco insieme, ciò che balza all’occhio subito è che sono giovani, belli ed innamoratissimi. Nulla di nuovo sotto il sole, come ogni coppia, dopo un periodo di frequentazione, hanno deciso di sposarsi ed essere una famiglia.
E allora, direte voi, dov’è la notizia? La notizia è che la bellissima sposa Sonia, in chiesa ci va con vestito da sposa, velo, bouquet e un’insignificante carrozzina elettrica, ausilio necessario per potersi spostare, poiché ha una patologia neuromuscolare. Tutto qui direi, ma essendo una bellissima storia fatta di sentimenti sani e soprattutto positività, merita di esser raccontata.


Cara Sonia, ora sei la “Signora Consonni”, è una grande soddisfazione, oltre che, immagino, un’immensa gioia, ma andiamo per gradi. Come vi siete conosciuti tu e Francesco?

La storia con Francesco è nata per via di un amico in comune di Monza che, come me, ha una disabilità e gioca ad hockey in carrozzina. Francesco si è avvicinato a questo sport qualche anno fa tramite questo amico in comune e quindi ci siamo incontrati sia sui campi da gioco che in diverse occasioni, fino al fatidico primo appuntamento, avvenuto nell’estate di tre anni fa.

Cosa vi ha fatto decidere di convolare a nozze?

Per qualche anno, la nostra è stata una storia a distanza, io prendevo il treno il venerdì sera per andare a Monza, poi lui mi riaccompagnava la domenica sera e ripartiva lunedì mattina all’alba per andare al lavoro. Da subito è stata una storia importante ma, dopo due anni da pendolari, bisognava prendere una decisione.

Avete appunto vissuto per un po’ la vostra storia da pendolari, tra Monza e Genova, è stato complesso, avendo tu Sonia una disabilità fisica?

Per fortuna, da qualche anno, la linea Genova-Milano è abbastanza servita con alcune carrozze dei treni attrezzate per i disabili, anche se, qualche volta, è successo che spostassero gli orari dei treni o annullassero viaggi; purtroppo, in Italia, non si ha ancora la cultura del servizio perfetto, anche per chi ha un handicap; a volte ti senti dire “ringrazia che c’è questa soluzione”. Spero che il nostro paese sia in grado di fare un salto di qualità ed arrivi ai livelli della Germania o di altri paesi europei per quanto riguarda i servizi di trasporto (e non solo) nei confronti di chi ha un handicap.

Francesco non ha una dsabilità, mentre tu Sonia sì, come influisce o ha influito nella vostra storia? Avete incontrato molti pregiudizi? Se sì, come li affrontate?

Ci sono state difficoltà oggettive, soprattutto negli spostamenti; abbiamo trovato il modo di rendermi autonoma con il treno, perché, come ti dicevo prima, la linea Genova-Milano è diretta e abbastanza attrezzata. Poi abbiamo dovuto adattare un’auto nuova perché Francesco girava con una vecchia panda, ma non avevamo i soldi per acquistare un furgone attrezzato per la mia carrozzina elettrica. Così abbiamo preso una Fiat cubo usata e abbiamo inventato un modo per caricare la carrozzina con delle rampette, mentre Francesco, ogni volta, mi prendeva in bracco per farmi accomodare sul sedile anteriore. Finalmente, quest’anno, abbiamo preso un mezzo più grande! I problemi per una persona disabile ci sono sempre, perché i locali pubblici, i ristoranti e gli alberghi non sono sempre a norma, anche se a volte dicono di esserlo. Ci siamo armati di tanta pazienza e abbiamo superato tutto, anche se quelli più difficili da abbattere sono i pregiudizi delle persone. Una volta eravamo in partenza per Londra e ricordo che l’assistente per l’imbarco disabili all’aeroporto di Bergamo si è rivolto a me chiamando Francesco “tuo fratello”. La gente, talvolta, vede una coppia disabile e pensa che chi è con te sia un badante o un parente. Prima mi arrabbiavo, ora la metto sul ridere, in fondo è una questione di ignoranza.

Sonia, per seguire Francesco hai rinunciato ad un impiego a tempo indeterminato nella tua città. È stato difficile per te reinventare la tua vita altrove? Ha incontrato difficoltà? Ora di cosa ti occupi?

Ho avuto tantissime difficoltà perché lavoravo all’ospedale di Genova inserita grazie alla Legge 68/1999 e inquadrata come coadiutore amministrativo. Per trovare lavoro a Milano con un trasferimento avrei dovuto trovare vacante un posto da coadiutore amministrativo inserito tramite la Legge 68/1999, impossibile! Inoltre noi saremo andati a vivere a Milano Sud Est e non potevo trovare lavoro troppo lontano da casa perché non avrei saputo come arrivarci, non essendoci servizi di trasporto disabili, se non a pagamento e molto cari. Nonostante alcuni enti come il Comune di Segrate fossero interessati ad offrirmi un lavoro, mi sono sentita dire che, per farlo, i problemi burocratici sarebbero stati troppi. Un altro problema è stato il cambio di residenza, perché, cambiando residenza in un’altra regione, avrei perso da subito i servizi di assistenza nella mia città, e l’attivazione a Milano dei nuovi servizi non sarebbe avvenuta immediatamente, perciò ci sarebbe stato un periodo in cui non avrei avuto né l’assistenza a casa né la possibilità di richiedere il trasporto per andare al lavoro. Per fortuna, con il tempo, sono riuscita a sistemare le cose e mi è stata data la possibilità, tramite una cooperativa sociale, di lavorare part time al Centro Clinico Nemo, nell’ufficio accettazione. Il Centro si occupa di malattie del motoneurone e neuromuscolari come la mia.

Tornando all’aspetto più romantico, chi ha fatto per primo la fatidica proposta di matrimonio? Com’è avvenuto?

Abbiamo deciso di seguire un percorso cattolico perché entrambi credevamo nel valore del matrimonio, e quindi la prima cosa è stata cercare un corso matrimoniale. Francesco mi regalò l’anello di fidanzamento qualche mese prima di iniziare il corso, proprio dove ci saremmo sposati. Sapevamo entrambi che non sarebbe passato molto tempo dal momento in cui avrei dovuto cambiare città e dare una svolta alla nostra vita.

Lo scorso 27 aprile siete convolati appunto a nozze. È stato tutto come ve lo aspettavate?

Sì, a parte la pioggia. La festa all’aperto con un bel sole caldo sarebbe stata, per lo meno, oggettivamente più facile. Il resto è andato come previsto.

Che consigli vi sentite di dare a chi, avendo una disabilità, vive una storia d’amore?

Di non farsi mai condizionare da altri, né farsi tarpare le ali dalla società e dalle barriere culturali ed architettoniche che, purtroppo, ci sono ancora. Di seguire i propri sentimenti e i propri ideali, sempre.

di Valentina Boscolo

9 maggio 2013

FONTE: uildm.org
http://www.uildm.org/wp-content/uploads/2010/07/SoniaVeres.pdf


E' sempre bello pubblicare storie come queste..... e quella tra Sonia e Francesco è una di quelle storie che ci insegnano una volta di più come l'Amore, quello Vero, supera ogni barriera, ogni diversità e ogni pregiudizio.
E allora tantissimi Auguri da parte mia alla nuova coppia, per una vita insieme serena e Felice, fondata sui Valori più autentici e genuini. Certamente le difficoltà non mancheranno, ma il mio augurio è che queste difficoltà possano servire per accrescere ancor di più l'Amore e l'unione tra loro, come un solido cemento che resiste ad ogni prova della vita.

Marco

venerdì 26 luglio 2013

In ricordo di un giovane amico

« Quest'esperienza mi ha insegnato quanto mancano non solo le istituzioni a noi malati di MCS, ma anche le persone. Quanto poco amore c'è in questo mondo, ed è quella la cosa che fa più male, ed in quanta ipocrisia e menzogna si nascondono agli occhi degli altri queste persone, tante, che ci circondano. Mi sarebbe piaciuto trasmettere questo messaggio... a volte sembra che siano le istituzioni il nostro nemico, ma il nostro vero nemico è l'umanità stessa, in cui le persone speciali sono sempre eccezioni e persone rare. Nulla potrebbero le istituzioni, se ci fosse veramente più umanità, più amore, più capacità di soffrire e di crescere. Grazie dei doni che mi avete fatto.
[...]
Spero ci vedremo un giorno dove è luce Amore e pace!
»

M. P.



È mio desiderio condividere questo messaggio indirizzato a me e ad altre amiche mcs, qualche tempo fa. L'ho serbato preziosamente nel mio cuore, chiedendomi continuamente se divulgarlo o meno. Il pregio di queste parole, l'amore e la verità che trasmettono mi spingono a farlo, unitamente ad alcune mie considerazioni, nella speranza che possano essere d'aiuto ma mai fraintese.

« La nostra malattia e' grave ed invalidante; lo Stato non la riconosce e la società ci emargina. Perdiamo di fatto tutti i diritti, persino quelli fondamentali ed inalienabili sanciti dalla Costituzione. Ciò che più ferisce e' la mancanza di solidarietà ed empatia. Subiamo spesso comportamenti, anche consapevoli e voluti, che aggravano pericolosamente le nostre condizioni di salute.
Se solo ci fosse più UMANITA', se solo ci fosse più AMORE potremmo anche noi vivere assieme a voi in armonia, senza che la nostra presenza appaia un limite alla vostra libertà; percepiamo la tossicità e questo ci permette di combattere per sopravvivere, a differenza di altri malati che non hanno consapevolezza delle cause scatenanti legate all'inquinamento e alla chimica (cito a titolo di esempio le tante sofferenze che i tumori infliggono, soprattutto ai bambini).
Se solo ci fosse più UMANITA', se solo ci fosse più AMORE potreste considerarci come "preziosa presenza" e non come "nemici da allontanare". Non abbiamo scelto noi di ammalarci, siamo stati esposti a sostanze tossiche; se solo avessimo saputo in tempo molti di noi si sarebbero salvati, basterebbe più consapevolezza per evitare ad altri la stessa sorte. Lottiamo ogni giorno per preservare l'ambiente e per proteggere tutti voi, ma soprattutto i bambini: siamo considerati "sentinelle avanzate", "cartine di tornasole" che misurano inconfutabilmente il grado di tossicità di aria, cibo e prodotti di uso comune; siamo paragonati ai canarini che un tempo i minatori portavano in miniera perche' con la loro sensibilità sono in grado di percepire la tossicità dell'aria con molto anticipo, dando così modo agli uomini di correre al riparo, di salvarsi.
Non siamo nemici da allontanare e combattere, non siamo nemici della civiltà, semmai siamo lo strazio dell'inciviltà e della mancanza di rispetto per la terra, per la natura, per gli esseri viventi.
Continueremo a lavorare incessantemente perché le nostre poche energie siano tese a salvare altri, per diffondere il messaggio di amore di M. : non importa se continuerete a considerarci scomodi malati immaginari; potrete ferirci ma nessuno riuscirà mai ad ostacolare il nostro incessante lavoro, la volontà e la determinazione arrivano dove neanche l'immaginazione può.
Di tutte le guerre poche sono state così importanti. La nostra si aggiunge alle tante guerre combattute per i diritti fondamentali che caratterizzano le società civili: il diritto alla vita. La nostra e' una guerra di PACE. »

M. Valeria Faa

21 luglio 2013




Sinceramente mi riesce difficile aggiungere un commento allo splendido, bellissimo post scritto dall'amica Valeria.... le sue parole dicono già tutto e descrivono in maniera mirabile quella che è la situazione dei malati di MCS in rapporto alla società odierna.
“In ricordo di un giovane amico” è il titolo scelto da Valeria per questo suo scritto, in ricordo di M. , un giovane ragazzo che è e sarà sempre nel ricordo e nel cuore di tutti noi.

Marco

mercoledì 24 luglio 2013

Rinunciano al trapianto di rene per lasciarlo a chi è più giovane di loro e muoiono: le toccanti storie di Walter e Rina

"Lascio il mio posto a chi ha famiglia". Rinuncia al trapianto e muore
 
Walter Bevilacqua, pastore tra le montagne dell'Ossola, aveva 68 anni. Al parroco disse: "Io sono solo, è giusto così".

Varzo - "Sono solo, non ho famiglia. Lascio il mio posto a chi ha più bisogno di me. A chi ha figli e ha più diritto di vivere". Walter Bevilacqua lo aveva confessato al parroco poco tempo fa. La morte l'ha colto durante la dialisi a cui si sottoponeva ogni settimana all’ospedale San Biagio di Domodossola. Il cuore ha ceduto durante la terapia e la bara è stata portata a spalle al cimitero dagli alpini di Varzo, penne nere come lui. Dietro al feretro, le sue sorelle Mirta e Iside: "Era proprio come lo descrivono: altruista, semplice. Un gran lavoratore. Sapeva che un trapianto lo avrebbe aiutato a tirare avanti, ma si sentiva in un’età nella quale poteva farne a meno. E pensava che quel rene frutto di una donazione servisse più ad altri" racconta Iside.

Una vita piena di sacrifici, così come quelle di altri pastori di montagna, stretti alla loro terra. Solitario e altruista, nel momento più delicato della vita ha detto no al trapianto. "Sono in molti che aspettano quest’occasione. Persone che famiglia e più diritto a vivere di me. E’ giusto così" aveva detto, con quella naturalezza che l'ha sempre contraddistinto. Bevilacqua è morto a 68 anni, una storia venuta alla luce quando il parroco del paese, don Fausto Frigerio, l’ha raccontata in chiesa durante la messa, un esempio da affidare a tutti. Quella frase pronunciata tanto tempo prima, gli era rimasta impressa: "Me l’aveva detto durante una chiacchierata. So che l’aveva confidato anche a un conoscente con cui si trovava in ospedale per le terapie" racconta il prete.

E' questa la notizia che ha bucato il silenzio dell'Ossola, in una valle corridoio verso la Svizzera, a una manciata di minuti. Sui monti della valle Divedro, Walter Bevilacqua ha trascorso i suoi anni, allevato dal nonno Camillo, uomo di altri tempi, ligio alle regole, gran lavoratore. Da lui aveva imparato a non risparmiarsi mai, a non lamentarsi delle difficoltù di chi vive in quota. "Credo non abbia mai fatto le ferie" racconta chi lo conosceva bene. L’agricoltura e gli animali erano la sua passione. Il suo mondo era là, una fetta di terra strappata alla montagna che poco più in alto diventa spettacolo nella conca dell’alpe Veglia.

di Renato Balducci

20 gennaio 2013

FONTE: Lastampa.it


Rinucia al trapianto di rene e muore: "Datelo a chi è più giovane di me, io la mia vita l'ho fatta"

Paderno, provincia di Treviso, una 79enne ha rifiutato l'intervento che avrebbe potuto salvarla dopo 16 anni di emodialisi.

Da sedici anni era costretta a sottoporsi tre volte alla settimana a dialisi. Nonostante questa lunga battaglia, giunto il momento del tanto atteso trapianto di rene, ha deciso di rinunciarvi. Questo è il gesto di generosità di Rina Zanibellato, 79enne di Paderno in provincia di Treviso, che è morta per favorire qualcun altro in lista di attesa. Aveva spiegato a suo marito, a suo figlio e ai suoi parenti, la volontà e il desiderio di donare il rene della salvezza a un giovane, uno dei tanti ragazzi che aveva incontrato negli anni di dialisi.

Alla proposta di sottoporsi al tanto atteso trapianto, lei ha risposto nell’unico modo che conosceva, attraverso la generosità: “No, datelo a chi è più giovane di me, io la mia vita l’ho fatta”. E così ha continuato la dialisi, senza mai lamentarsi o abbattersi. Fino a giovedì 27 giugno, quando si è spenta nel reparto di Nefrologia dell’ospedale Ca’ Foncello, lo stesso ospedale nel quale aveva visto nel corso degli anni i tanti ragazzi malati come lei.

28 giugno 2013

FONTE: Tgcom24.mediaset.it


Due storie, quelle di Walter e di Rina, in tutto e per tutto simili tra loro, due storie di Vero Amore, senza compromessi, per il prossimo e per la vita. Sì, Amore anche per la vita, ma non la loro di vita, bensì quella di altri, di persone sconosciute più giovani di loro, a cui queste 2 splendide, meravigliose persone hanno ceduto il posto, hanno donato quell'organo che avrebbe permesso loro di vivere ancora a lungo.
Forse qualcuno potrebbe pensare che per una persona giunta oramai al tramonto della vita, sia facile compiere un gesto come questo..... pensarlo è lecito, ma farlo è tutta un altra cosa! Rinunciare alla propria vita a favore di quella di un altro, sopratutto se sconosciuto, non è mai facile..... ma loro l'hanno fatto, coraggiosamente, amorosamente, gratuitamente.

Riposate in Pace, cari Walter e Rina..... avete vissuto silenziosamente e lontani dai clamori del mondo, ma certamente ora i vostri nomi sono scritti a caratteri d'oro nel Libro Eterno dell'Amore.  Grazie di tutto!

Marco

domenica 21 luglio 2013

«Aspetto un cuore nuovo da cento giorni»: la toccante lettera di Chiara

L'appello di una dodicenne. Anche la sua amica Imma è tenuta in vita da un cuore artificiale: "Donare è un atto d'amore"


«Mi chiamo Chiara, sono una bambina di 12 anni e frequento la seconda media. Mi trovo in questo ospedale già da tre mesi e mezzo o meglio da 101 giorni.
Ero una bambina molto attiva, frequentavo la scuola di ballo, facevo pallavolo, ridevo e scherzavo con le mie amiche; all'improvviso un giorno la mia vita è cambiata, sono stata ricoverata nell'ospedale Monaldi di Napoli perchè il mio cuore non funzionava più bene. Da quel giorno ho perso la gioia che avevo nel cuore, mi sentivo in trappola e mi chiedevo: "Perchè proprio a me?". E non volevo più vedere nessuno. Ma grazie ai medici e agli infermieri di questo ospedale ho iniziato a reagire, adesso sono qui, con questa macchina che mi aiuta a tenermi in vita; mi vedete sto benino, ma non è così, porto un dolore dentro e soffro ogni volta che mi medicano la ferita. Vorrei andare a casa, vorrei tornare a ridere come prima, o meglio di prima e per farlo ho bisogno del vostro aiuto. Lo so le disgrazie capitano, è il corso della vita, chi più di me vi può capire. Vorrei dirvi solo un ultima cosa, che chi vi chiede aiuto non è solo una bambina ma è la Vostra bambina perchè se aiutate me, aiutate anche la persona cara che è venuta a mancare. Donare è un atto d'amore, è il gesto più bello che una persona possa fare. Donare è vita per me e anche per te
».

Chiara Campagnuolo
 


Scrive Fabio Cannavaro: «Aiutiamo Chiara, donare è importante»

Fabio Cannavaro ha voluto rispondere alla toccante lettera di Chiara Campagnuolo, 12 anni, ricoverata al Monaldi in attesa del trapianto di cuore.

«
Carissima Chiara, ho letto la tua lettera sul Mattino, in cui racconti l’attesa che vivi da oltre cento giorni per il trapianto di cuore. Ti sono vicino con grande affetto e mi dispiace essere partito proprio ieri mattina per Dubai, altrimenti ne avrei approfittato per venire al Monaldi per conoscerti e incoraggiare te e la tua famiglia.
Tempo fa ho partecipato come testimonial ad una campagna per la donazione degli organi e due anni fa a Dubai, dove vivo, ho avuto la fortuna di assistere all’operazione al cuore di una bambina effettuata da un’équipe di cardiochirurghi italiani.
Una fortuna perché è stata un’esperienza umana molto toccante: era un segnale di speranza e di vita. La tua storia, cara Chiara, colpisce profondamente perché cento giorni di attesa sono tanti, troppi. Immagino l’ansia della famiglia di questa dolcissima bambina, a cui mando una carezza in attesa di poterla conoscere. Ho potuto verificare che c’è attenzione verso le donazioni, anche attraverso la nostra Fondazione che a Napoli è molto vicina ai giovani che soffrono, ma evidentemente non si riesce a fare abbastanza ed ecco perché Chiara è da oltre tre mesi in una stanza di ospedale, una situazione evidentemente pesante, anche se c’è per lei l’amorevole supporto di familiari e medici. Sono un uomo di sport, lontano da politica e burocrazia, e nel nostro mondo i tempi sono molto più rapidi: c’è spesso un’efficacia che non si riscontra altrove. Accanto all’impegno del mondo della sanità, affinché le procedure siano sempre più veloci, deve esserci maggiore sensibilità da parte di tutti noi: donare vuol dire aiutare a vivere.
A presto Chiara
».

Fabio Cannavaro


L’ospedale è il Monaldi, centro di eccellenza per la cardiochirurgia, ed è qui che la bimba napoletana è ricoverata. Perché un cuore artificiale pompa il sangue al posto del suo, irrimediabilmente malato. In attesa dell’intervento salvavita, Chiara Campagnuolo è come sospesa nel tempo e nello spazio della parola «trapianto».

Ma è allarme donatori in Campania. Per questo, la piccola ammalata lancia un appello a cui ne segue un altro formulato dai vertici della struttura sanitaria. Per i bimbi aggrappati alla speranza, la lista è unica, senza distinzioni regionali che potrebbero creare una Italia a due velocità come invece avviene, in alcuni casi, per le cure agli adulti. Ciò significa una solidarietà trasversale, dal Nord al Sud. Secondo i dati elaborati dal Centro nazionale trapianti, 27 interventi pediatrici sono stati effettuati nel 2012, il tempo medio di attesa è stato di 23 mesi (inferiore a quello per gli adulti, di 30 mesi). «Chiara e i suoi genitori possono avere fiducia», dice Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti, che aggiunge: «In Campana è in atto un grande sforzo per riorganizzare la rete regionale in modo da far aumentare le donazioni, che oggi sono circa la metà rispetto alla media nazionale. Perché se da un lato il numero di interventi è legato a un gesto di bontà delle famiglie dei donatori, dall’altro, è fondamentale avere un sistema organizzato, efficiente con strutture attrezzate e personale qualificato».

Una banale influenza, la causa della miocardiopatia dilatativa. Così Chiara rivive la sua storia: la scuola di ballo, la pallavolo, gli scherzi con le amiche. «All’improvviso, la mia vita è cambiata». Scrive Chiara: «Da quel giorno ho perso la gioia che avevo nel cuore, mi sentivo in trappola e mi chiedevo: perché proprio a me?» Quindi, l’appello: «Porto un dolore dentro e soffro ogni volta che mi medicano la ferita. Vorrei andare a casa, vorrei tornare a ridere come prima, o meglio di prima e per farlo ho bisogno del vostro aiuto».

Chiara non è l’unica bambina che aspetta. Al Monaldi è ricoverata anche Imma, 13 anni, della provincia di Salerno, afflitta da una malattia congenita e da quasi un anno tenuta in vita dal cuore artificiale. «Grazie all’assistenza ventricolare – dice il primario della cardiochirurgia pediatrica, Giuseppe Caianiello – siamo riusciti a sviluppare una valida modalità terapeutica per i pazienti con cardiopatia dilatativa terminale. L’esperienza del Berlin Heart, capace di sostituire parzialmente o totalmente il cuore di un paziente, ha permesso di allungare la vita di tanti bambini. Ma se non si sensibilizzano i possibili donatori a far arrivare cuori nuovi, le prospettive per i piccoli diventano sempre più preoccupanti». Con il primario Caianiello, lavora una équipe specializzata: i medici Andrea Petraio e Fabio Ursomando per i trapianti pediatrici, in sinergia con Ciro Maiello (specializzato nei trapianti per adulti) e con la cardiologia pediatrica di Raffaele Calabrò con Maria Giovanna Russo e Giuseppe Pacileo.

Tra il 2005 il 2013, sono stati eseguiti 15 trapianti cardiaci, l’ultimo ieri in favore di un bimbo di 4 anni: il Monaldi è l’unica struttura del Mezzogiorno autorizzata dal ministero della Salute per questa tipologia delicatissima di interventi cui si aggiungono le 300 prestazioni chirurgiche effettuate ogni anno nella divisione di cardiochirurgia pediatrica, che è il secondo centro italiano per il trattamento delle cardiopatie congenite tra le sei strutture operative in Italia. Al Monaldi la Cardiochirurgia pediatriaca ospita 12 bambini in reparto e 7 in terapia intensiva. Quindi il centro d’eccellenza partenopeo è anche osservatorio privilegiato del calo di donazioni d’organo che attraversa la Campania e non solo. «Bisogna che cresca – afferma il direttore generale dell’Azienda dei Colli, Antonio Giordano – una forte cultura, una sensibilità nuova soprattutto nel Sud per evitare che gli sforzi prodotti e il grande impegno professionale degli specialisti vadano perduti». Gli interventi in campo? Con il decreto 30 il governatore Stefano Caldoro ha autorizzato l’attivazione di un dipartimento interaziendale dei trapianti, affiancato dal Centro nazionale trapianti per la razionalizzazione della rete regionale. «Un modello avanzato – dice Nanni Costa – perché propone un sistema unico organizzativo». Il papà di Chiara è un avvocato: ha fondato il comitato in difesa della vita.

«Il mio impegno continuerà anche dopo che mia figlia sarà operata», dice e ha le mani sudate che tradiscono l’emozione mentre mostra una poesia: «Facimm’ fess’ ’a morte: tutt’e ’dduie» recita l’ultima strofa, ma gli occhi di Chiara sono già fuori dal foglio, puntati sul futuro: «Vorrei dirvi solo un’ultima cosa, che chi vi chiede aiuto non è solo una bambina, ma è la vostra bambina... Donare è un atto d’amore. È vita per me e anche per te».


di Maria Pirro

20-21 luglio 2013

FONTE: Il mattino.it


Un toccante appello di una ragazzina di 12 anni che è anche voce per tutte quelle persone, bambini e adulti, che attendono con ansia di ricevere un trapianto per vedere salva la propria vita. Mi auguro, con tutto il cuore, di poter dare presto notizia sulle pagine di questo blog di questo avvenuto trapianto di cuore, con grande gioia di Chiara, della sua famiglia, di tutte le persone che le vogliono bene e di tutti quanti noi. 
Chiudo infine con le parole della stessa Chiara, cui fa eco Fabio Cannavaro, grande campione dello sport: "
Donare è un atto d'amore, è il gesto più bello che una persona possa fare. Donare è vita per me e anche per te".

Marco

sabato 20 luglio 2013

Cara, dolce malattia rara

Cara, dolce malattia rara,

Quando mi hai colpito,
Il mio umore è stato ferito.
 
La mia salute hai reso instabile e precaria,
Mi rendevi la vita un po' solitaria.

Ero pensieroso e sofferente,
Sentivo dentro di me il desiderio di avere vicino tanta gente.

Con la tua compagnia malattia rara, mi sembrava di percorrere un sentiero, buio, ripido e accidentato,
Ma in quel percorso tanta brava gente ho incontrato.

Gente, amici, parenti mi hanno trasmesso forza, la speranza ho ritrovato,
Solidarietà, affetto e bene mi hanno donato.

Era diventato tutto più bello, che mi sembrava di aver sognato,
Man mano che quel sentiero percorrevo, lo vedevo sempre più pianeggiante e illuminato.

Ed ecco scoccare dentro di me ottimismo, energia e la voglia di vivere con serenità,
L'ho ritrovata, scoprendo che nel cuore della gente c'è tanta umanità.

Ho riscoperto la grandezza e bellezza della vita,
La voglio vivere in compagnia di amici, parenti, la famiglia, a pieno con gioia e intensità.

La famiglia è un punto di riferimento meraviglioso, con il suo amore,
Ed ecco sollevato il mio umore.

Malattia rara, quel sentiero era diventato pianeggiante, pieno di luci colorate e sui bordi una siepe piena di fiori,
Ho finalmente ritrovato l'energia, la fiducia, la luce interiore la forza di vivere la vita a pieno tutte le sue componenti e tutti i suoi valori.

Francesco Lena


15 ottobre 2011

FONTE: giornaledimontesilvano.com

http://www.giornaledimontesilvano.com/poesie/66-poesia/9941-cara-dolce-malattia-rara-francesco-lena.html


Girando nel web, quasi per caso mi sono imbattuto in questa delicata poesia.... ed ho pensato di postarla sul mio blog. E' un post un pò diverso dal solito, ma direi proprio che ci sta bene.
Mando il mio più grande, caro, affettuoso abbraccio che posso a tutte le persone affette da patologie rare.... Vi voglio bene, siete tutte quante nel mio cuore e sempre vi rimarrete.

Marco

mercoledì 17 luglio 2013

Luca lancia un appello: voglio finalmente sapere qualcosa sulla mia malattia

Il ragazzo, che ha 36 anni e abita a Varese, è stato colpito da un morbo rarissimo ormai vent'anni fa e ora vuole andare fino in fondo.
"Tutte le sere quando vado a letto prego Dio di poter aprire gli occhi la mattina dopo e di poter camminare con le mie gambe”. Luca Alfano, 36 anni di Varese, ha una malattia sconosciuta che in venti anni lo ha piano piano consumato. Da ragazzo era una promessa del calcio, sognava di vincere le partite, oggi il suo sogno è quello di sapere di che cosa deve morire.

Un corpo esile e fragile che ha perso 40 chili, polmoni deboli che non riescono da soli a prendere ossigeno a sufficienza e che di notte non riescono a buttar fuori l’anidride carbonica. Luca respira tutto il giorno con la bomboletta di ossigeno e va a dormire con una macchinetta che lo aiuta a regolare i livelli di anidride carbonica.

Tanti dottori, tante diagnosi, la più frequente quella di Ehlers Danlos. Nel 2010 un medico che da 30 anni studia malattie rare guarda negli occhi Luca: “Lei ha qualcosa di talmente raro che non si riesce a dare un nome”. Una frase che pesa come il colpo di una scure. Senza sapere che cosa si ha, come ci si può curare, come si può trovare il modo per lottare contro una malattia? È quello che Luca vorrebbe tanto sapere, per questo ha chiesto anche alla redazione di Tgcom di aiutarlo, per cercare un centro di studi di malattie rare che possa studiare il suo caso, per sapere attraverso la rete se qualcun altro sia affetto dal suo stesso male.

In questi anni faticosi, Luca è riuscito anche a lavorare, adesso è molto debole e ogni tanto fa il volontario presso quell’ufficio dove una volta era parte attiva e dove tutti gli vogliono ancora bene. “Lo faccio per passare un po’ il tempo, anche se la mia giornata è faticosa, solo per alzarmi dal letto la mattina e vestirmi impiego un paio d’ore. Ma sono riuscito a scrivere un libro sulla mia vita, è pronto, ora ho anche un altro sogno: vederlo pubblicato, sullo scaffale di una libreria… perchè io sono chiuso in un corpo che non è il mio, sono pieno di vita e nonostante tutto, continuo a lottare contro qualcosa che non ha nemmeno un nome…”.

Per chiunque volesse contattare Luca, questo è l'indirizzo email: alfano77@virgilio.it

9 luglio 2013

lunedì 15 luglio 2013

Il mondo di Lorenzo, dal salotto di casa a Skype



Il bambino che vive a Villafranca è affetto dalla Sma fin dalla nascita

Ogni settimana nella cascina entrano una logopedista, un assistente a domicilio, una fisioterapista e un educatrice

Il mondo di Lorenzo è pieno di vita, di sorrisi, di gioia. Quando si varca la porta della piccola cascina di Villafranca d’Asti dove il bambino vive con mamma Isabella, papà Gabriele e i fratellini Federico e Valerio il clima è quello di festa. Non c’è traccia del dolore che una malattia terribile come la Sma, l’Atrofia Muscolare Spinale, provoca nei pazienti ma anche in chi gravita intorno a loro. Le uniche orme lasciate dalla patologia sono i macchinari disseminati di peluches che permettono a Lory di nutrirsi e di respirare e un lettino in mezzo al salotto, vero centro della casa, dove il piccolo passa la maggior parte del suo tempo, accudito da tutti, fratelli, genitori, nonni, infermieri ed educatori. A qualche settimana dalle polemiche nate dopo la messa in onda della trasmissione tv “Le Iene” che in un’intervista doppia di Sabrina Nobile ha affrontato il tema delle malattie genetiche. In quell'occasione Noris e Alberto, entrambi portatori sani di atrofia spinale, hanno raccontato la loro storia, arrivata fino alla Corte Europea di Strasburgo, fatta di feti affetti dalla patologia, scelte difficili come quella di abortire e dalla nascita di Pietro che oggi ha 7 anni. Un racconto che ha portato a una serie di polemiche legata alla qualità della vita dei bambini affetti da gravi malattie genetiche. Una polemica alla quale si sottraggono invece Isabella, 39 anni, mamma a tempo pieno, e Gabriele, 40 anni, operaio. Loro hanno fatto una scelta di vita, quella di avere 3 figli, Federico, 10 anni, Lorenzo, 6 anni, e Valerio 2 anni, nonostante entrambi siano portatori sani della patologia e attorno a loro si è creato un micromondo, intorno al quale ruotano molte persone. Ogni settimana infatti in casa di Isabella e Gabriele entrano diverse figure professionali che migliorano l'esistenza di Lory, una logopedista, un assistente a domicilio, una fisioterapista e un educatrice.
Una quotidianità che va avanti da oltre 5 anni, da quando cioè i medici, dopo un calvario fatto di esami invasivi, attese e sofferenza, hanno fatto la diagnosi: Lorenzo è affetto da Sma, una malattia genetica di cui non si conosce la cura. Ma quella dei malati non è sopravvivenza. Lorenzo infatti va all'asilo quando sta bene, interagisce con gli altri bambini, e usa persino l'Ipad per giocare. Quando invece la salute non gli permette di uscire di casa, si collega via Skype con gli amichetti. La situazione per ora è stabile anche se Isabella e Gabriele confidano nella ricerca e nella sperimentazione. Per questo lanciano un appello.
In pochi conoscono la Sma, anche se nell'Astigiano sono diversi i bambini affetti da questa malattia – spiegano -. In queste settimane è tempo di dichiarazione dei redditi, per questo chiediamo di donare il 5x1000 all'associazione Famiglie Sma (codice 972319205849)”.
Esiste anche un numero verde che fornisce informazioni utili e consigli 800589738.
Perchè di Sma si muore, ma come dimostra Lory, di Sma si può anche vivere.

St. P.

 E' la malattia che colpisce le cellule nervose

L'Atrofia Muscolare Spinale (SMA) è una malattia delle cellule nervose delle corna interiori del midollo spinale. Da queste cellule (motoneuroni) partono i nervi diretti ai muscoli, principalmente quelli più vicini al tronco. La Sma, quindi, limita o impedisce attività quali andare a carponi (“gattonare”), camminare, controllare il collo e la testa e deglutire.
E' la principale causa genetica di morte per i bambini sotto i 2 anni, ma al momento non esiste una cura. Una persona su 40 è portatrice sana della malattia e un bambino su 6000 è affetto da Sma (oggi in Italia i malati fra bimbi e adulti sono 3000).
La malattia è dovuta all'assenza di un gene che produce una proteina necessaria all'attività delle cellule nervose che inviano gli impulsi motori ai muscoli. I muscoli volontari, quelli ad esempio addetti alla respirazione, alla deglutizione e al movimento, subiscono così una progressiva paralisi. Nelle forme più gravi la Sma provoca la morte o la completa invalidità.

12 aprile 2013

FONTE: Gazzetta d'Asti





Di fronte a storie come queste, fatte di Amore, di coraggio, di abnegazione, di dolcezza e di tanto, tanto altro ancora, che cosa si può dire.....? Si può soltanto rimanere ammirati e in cuor proprio dire "grazie", grazie a persone come queste che ci dimostrano che il vero Amore supera ogni ostacolo e anche una vita come quella del piccolo Lorenzo, affetto dalla rara ed estremamente invalidante Atrofia Muscolare Spinale (SMA), si può riempire di tante bellissime cose, di sorrisi e di gioia autentica.  
Grazie Lorenzo, grazie Isabella e Gabriele, grazie Federico e Valerio..... con la vostra vita ci date una bellissima testimonianza di ciò che è il vero Amore e di quella che è un autentica famiglia.... Valori veri, autentici, genuini, esempi di cui al giorno d'oggi c'è tanto, tanto bisogno.


Marco

sabato 13 luglio 2013

Displasia Neuronale Intestinale (IND). Che cos'è?

La Displasia Neuronale Intestinale (IND), descritta dal patologo svizzero Meier-Ruge nel 1971, è la forma più complessa di alterazione del sistema nervoso enterico intramurale.
L’affezione è caratterizzata da iperplasia del plesso sottomucoso con presenza di gangli intramurali giganti (iperganglionosi) e con la possibilità di varia estensione della malattia, da forme localizzate al colon a forme disseminate all’intero tratto intestinale.
Negli anni successivi tutta una serie di lavori sono stati pubblicati al fine di dimostrare l’associazione tra disturbi motori digestivi, pseudo-ostruzione intestinale cronica e displasia neuronale, sottolineando la notevole varabilità di espressione clinica di questa alterazione del Sistema Nervoso Enterico (SNE).

Per definizione la IND è un’alterazione complessa dell’innervazione enterica che si manifesta clinicamente con segni e sintomi simili a quelli della malattia di Hirschsprung (HSCR), ma in assenza di aganglia dei plessi intramurali. Utilizzando le espressioni comunemente scelte per descrivere la malattia ai genitori dei bambini affetti, si potrebbe sottolineare che, mentre nella HSCR il “cervello intestinale” manca, nella IND il cervello non è assente, anzi presenta un elevato numero di neuroni, ma nel suo complesso organizzativo è incapace di svolgere una funzione corretta a causa di alterazioni e meccanismi non ancora ben conosciuti.

Epidemiologia

Da un punto di vista epidemiologico allo stato attuale delle conoscenze non è possibile una quantificazione esatta dell’incidenza e della distribuzione geografica e per sesso. Fadda, Maier, Meier-Ruge, Scharli e Daum nel 1983 concludono che la frequenza della displasia neuronale è da considerarsi identica a quella della malattia di Hirschsprung (1 caso ogni 5000 nati vivi).
Questi ed altri dati epidemiologici, riferiti da autori svizzeri e tedeschi, hanno fatto pensare ad una maggiore incidenza della IND nel centro e nord Europa. Le notevoli discrepanze di incidenza tra aree geografiche possono essere principalmente spiegate dall’utilizzo di differenti metodiche diagnostiche: solo facendo ricorso a tecniche sofisticate istochimiche ed enzimo-istochimiche, nello studio di pazienti con stipsi cronica, è possibile individuare casi di IND.

Presentazioni cliniche e classificazione

La Displasia Neuronale Intestinale diventa malattia conclamata entro l’anno di età.

La prima e più importante suddivisione delle forme cliniche spetta a Fadda nel 1983, che considera 2 forme principali: IND tipo A e IND tipo B.

La IND tipo A è una forma molto rara di disglanglionosi, che presenta un fine incremento di fibre positive all’attività acetilcolinesterasica (AChE) nella lamina propria (in assenza di aganglia), accompagnato da segni di flogosi, ulcerazioni mucose, e da lesioni strutturali focali della muscolaris mucosae. La diagnosi definitiva di questa affezione è ottenibile solo con la dimostrazione di un’aplasia o di un’ipoplasia dell’innervazione simpatica (ad attività inibitoria), utilizzando la tecnica dell’acido gliossilico. Il quadro clinico è molto caratteristico, poichè si presenta con l’alternanza di stipsi, sub-occlusione e grave enterocolite muco-ematica. La terapia di queste forme rare è soltanto chirurgica.

La IND tipo B è un’alterazione che interessa prevalentemente l’innervazione colinergica del plesso sottomucoso di Meissner.
L’attività acetilcolinesterasica (AChE) dimostra la presenza di gangli sottomucosi giganti (quattro volte più grandi, con 8-13 cellule gangliari) associata ad un incremento di fibre colinergiche nella lamina propria della mucosa e/o in corrispondenza dei vasi venosi sottomucosi. Possono dimostrarsi anche gangli eterotopici nel contesto della lamina propria della mucosa.

Secondo Borchard i criteri obbligatori per la diagnosi di IND tipo B sono:
1) l’iperplasia del plesso sottomucoso (gangli sottomucosi giganti o numerosi);
2) la presenza di fibre nervose colinergiche attorno ai vasi venosi sottomucosi.

I criteri facoltativi corrispondono a:
1) la presenza di fibre colinergiche nella lamina propria della mucosa;
2) la presenza di gangli eterotopici nel contesto della mucosa;
3) il riscontro di gangli “button-like” (gangli giganti che terminano con fasci di fibre nervose).

Il quadro clinico della IND tipo B è eterogeneo. La maggior parte dei casi si presenta con stipsi ostinata, difficilmente gestibile con lassativi. La costipazione fecale è in genere ingravescente nel corso del primo anno di vita, in seguito può verificarsi una progressiva maturazione del SNE con remissione della sintomatologia e ripristino di una normale motilità intestinale entro il 3° anno di vita. Per questo motivo tutti gli esperti del settore concordano che sia opportuno gestire in modo conservativo la IND nei primi anni di vita ed intervenire chirurgicamente in caso di complicanze ostruttive, o se non si sia verificata risoluzione spontanea dopo il 3° anno di vita. La terapia conservativa non può prescindere dai clisteri di pulizia, anche perchè non esistono procinetici intestinali efficaci in questa affezione.
Consigliabile è di non usare mai microclismi contenenti glicerina. Purtroppo sono i clisteri più utilizzati in età pediatrica perché il farmacista o i genitori partono dal ragionamento che "essendo il bambino piccolo, ha bisogno di un clistere piccolo". I clisteri alla glicerina funzionano bene ma utilizzano un meccanismo irritativo per scatenare il riflesso defecatorio. L'uso prolungato determina anche fenomeni di flogosi e può peggiorare la stipsi.

In caso di intervento chirurgico la IND localizzata al retto e colon sinistro può essere trattata con enterostomia derivativa temporanea o intervento radicale addomino-perineale, come in caso di HSCR.
Nei casi di IND tipo B in forma diffusa, che coinvolgono tutto il colon e differenti porzioni del tenue il quadro di presentazione è sempre quello della pseudo-ostruzione intestinale cronica. 

FONTI: chirurgiapediatrica.eu, wikipedia.org

mercoledì 10 luglio 2013

Aiutiamo Karin... affetta da Displasia Neuronale Intestinale


Karin ha 17 anni e una rara malattia all'intestino, la Displasia Neuronale Intestinale (IND), che non le permette di mangiare in quanto anche lo stomaco è compromesso. Vive in nutrizione parenterale attaccata a un filo per 14 ore al giorno. è stata già sottoposta a diversi interventi chirurgici per "tamponare" la malattia . Ma ad oggi Karin sta molto male e l'unica speranza che ha è un trapianto multiviscerale che purtoppo in Italia viene fatto solo in 2 centri dove però non vogliono assumersi la responsabilità di farlo in quanto è un trapianto estremamente a rischio. C'è ancora una possibilità... quella di una consulenza e un eventuale trapianto all'estero.

Per chi volesse aiutare Karin:

Numero Libretto Postale: 000037315980
intestato a Karin Losco




Questa è la storia di Karin, una giovane ragazza affetta da questa rara malattia: la Displasia Neuronale Intestinale.
Vogliamole bene e iscriviamoci in tanti al suo gruppo facebook (vedi link sopra) e alla sua pagina personale:
https://www.facebook.com/karin.losco
Tanti Auguri per tutto Karin...... sei ancora giovane e sicuramente la vita ti regalerà tante nuove e bellissime cose, tanta Gioia e Serenità.... credici sempre ! Un grande abbraccio da parte mia.
 
Marco

lunedì 8 luglio 2013

Dall'acne alla paralisi: un calvario lungo 30 anni. «Abbandonata da tutti»

 
Nicoletta si è ammalata a 13 anni, è arrivata a pesare 28 chili e il busto che per sostenerla le avrebbe causato l'immobilità

TREVISO - Ha la parte sinistra del corpo semi paralizzata, due vertebre schiacciate e uno stato di disabilità riconosciuta al 100%. Un calvario, quello di Nicoletta Breda, iniziato trent'anni fa da una banalissima forma di acne e accentuato da un busto correttivo che le ha schiacciato le vertebre, il midollo osseo e l'intestino, atrofizzando un braccio e una gamba.

Ora, completamente abbandonata dal sistema sanitario e sociale, chiede un'accompagnatoria che le permetta di pagare le spese sanitarie e il supporto dei servizi sociali per accompagnarla alle terapie riabilitative.

All'età di 13 anni, Nicoletta contrae una forma aggressiva di acne, inizialmente sul volto e sulla bocca, che poi si propaga anche alla gola, impedendo alla ragazzina di nutrirsi. I genitori intraprendono un esodo in tutta Italia contattando i migliori specialisti dermatologi, ma senza risultati, tanto che a 15 anni Nicoletta, alta un metro e 78 centimetri, arriva a pesare 28 chili. Al malessere fisico si aggiungono problemi muscolari causati dalla magrezza. La famiglia Breda si rivolge all'ospedale di Padova, che le ordina un busto per sostenere la ragazza dal punto di vista motorio. Ma è solo l’inizio di un calvario ancor più doloroso: Nicoletta è troppo fragile e non sopporta il peso del busto che schiaccia due vertebre e atrofizza tutta la parte sinitra del corpo. I genitori percorrono tutte le strade possibili e non solo quelle della medicina ufficiale.

Ora la donna è curata dagli specialisti dell’Arep, che oltre a regalarle una carrozzina per poter uscire, stanno cercando di alleggerire una situazione cronicizzata negli anni. La famiglia, però, chiede un maggior supporto da parte delle istituzioni. «Ancor oggi i medici non sanno dare spiegazioni sulla patologia di mia sorella - spiega Morena, che ora ha promosso una crociata in difesa dei diritti di Nicoletta -. Mia sorella sopporta quotidianamente dolori fortissimi dovuti alla sua condizione fisica, ma è abbandonata da tutti. I miei genitori hanno ottant'anni ed è problematico anche solo metterla a letto e accompagnarla alle visite specialistiche. Ogni due ore, giorno e notte, papà e mamma le somministrano le terapie. Passa le sue giornate in piedi o al massimo seduta in cucina, perché anche portare la carrozzina al piano terra o farle fare una passeggiata è complicato. Le è stata riconosciuta una pensione di invalidità di 286 euro, ma le spese dei medicinali ammontano mensilmente a 600 euro. In passato mio padre ha investito tutti i suoi risparmi nel tentativo di far curare Nicoletta, ma le istituzioni hanno voltato le spalle a lui e a tutta la nostra famiglia. Da anni presentiamo le nostre istanze alla Commissione invalidità all'Usl 9 alla Madonnina. L'ultima richiesta è stata depositata a gennaio, ma ancora non abbiamo avuto risposte. Ed è comunque paradossale che Nicoletta abbia l'invalidità riconosciuta completamente, ma le venga negato qualsiasi supporto assistenziale».

di Samantha Cipolla


 
Dall'acne alla paralisi, Zaia: «Faremo tutto il necessario per aiutare Nicoletta»

TREVISO
- «Non posso rispondere dell'operato delle istituzioni nazionali, ma per quanto riguarda l'Usl di Treviso posso assicurare che tutto quanto possibile per supportare le necessità di Nicoletta Breda è stato fatto e sarà fatto». Parola di Luca Zaia. All'indomani dell'appello lanciato dai familiari di Nicoletta, giovane divenuta invalida al 100% a causa di una gravissima forma di acne aggravata da un busto correttivo che le ha schiacciato due vertebre sino a paralizzarle la parte sinistra del corpo, il governatore assicura che nessuna strada resterà intentata.

I genitori ormai ottantenni, assieme alla sorella Morena, chiedono un accompagnatoria che consenta loro di affrontare le spese sanitarie, visto che i 286 euro di pensione di invalidità di Nicoletta riescono a coprire circa un terzo del costo mensile dei medicinali, e un supporto da parte dei servizi sociali per l'accompagnamento a visite e terapie riabilitative. Cose indispensabili, insomma, non certo privilegi. Purtroppo la commissione invalidità della Madonnina non ha margini di discrezionalità rispetto alle normative nazionali, tanto fredde quanto precise. Nonostante queste, però, l'Usl di Treviso proverà a intervenire dove possibile per garantire un un po’ di sollievo a Nicoletta e ai suoi familiari.

«Ho sentito il direttore generale, Giorgio Roberti - rivela Zaia - a brevissimo i responsabili della direzione servizi sociali contatteranno la famiglia e si metteranno a disposizione per agevolare l'ottenimento di tutti i supporti possibili, a cominciare dalla richiesta di aggravamento per proseguire con l'attivazione delle procedure per ottenere quanto previsto dalla legge in materia di aiuto alla disabilità».

«Per quanto di sua competenza l'Usl di Treviso si prenderà ulteriormente in carico questa situazione - conclude il governatore - da parte mia ringrazio il dottor Roberti che ha immediatamente attivato tutte le strutture di competenza dell'azienda sanitaria». Ma anche il settore sociale di Ca’ Sugana sarà chiamato a fare la propria parte per provare a trovare una soluzione a 30 anni di dolore. È a questo, infatti, che la famiglia ha chiesto di poter contare su un accompagnatore in caso di necessità. La giunta Manildo per il momento tace. Già si sa, comunque, che è pronta ad analizzare il caso nei minimi dettagli. Perché sentir dire dai familiari di Nicoletta, pur in cura all'Arep, che «le istituzioni le hanno voltato le spalle» è uno schiaffo dato a tutti i trevigiani.

di Mauro Favaro

4 luglio 2013

FONTE: il gazzettino.it


Davvero una storia di grande dolore questa di Nicoletta Breda, da 30 anni disabile grave con varie e dolorose problematiche fisiche.
Al di là di tutto, mi auguro solo che questa donna e la sua famiglia possano essere supportati nel migliore dei modi dalle Istituzioni, come il governatore Zaia ha promesso di fare. Il dolore probabilmente non potrà toglierlo nessuno a Nicoletta, ma almeno la serenità e il necessario supporto materiale è giusto e doveroso fare di tutto per potergliele garantire.


Marco

venerdì 5 luglio 2013

Controvento, sul cammino di Santiago a ruote libere per rinascere (e tornare)


Pietro ci racconta il suo Cammino di Santiago di Compostela in handbike: un’impresa sportiva che è anche e soprattutto un percorso di rinascita

Pietro Scidurlo ha una storia che parla di lui, e per lui. Trentaquattro anni, paraplegico, è uno che negli schemi non ci sa stare, e non ci vuole stare. Da un percorso personale fatto di rabbia, difficoltà di accettazione della propria condizione, ma anche sfida, è nata una rinascita che oggi ci facciamo raccontare. Nell’estate scorsa Pietro porta a compimento un cammino che per chiunque è una sfida impegnativa e sudatissima: il Cammino di Santiago di Compostela. E per Pietro non sono le gambe a percorrerlo, ma le braccia, quelle con le quali manda avanti la sua handbike, il mezzo che lo porta a macinare 973 km in un percorso che più che un punto di arrivo, è l’emblema della vita.
Abbiamo fatto due chiacchiere con lui, che ci racconta il SUO Cammino di Santiago.

Pietro, quella del Cammino di Santiago è una bella sfida, per chiunque. C’è chi lo intraprende per motivi religiosi, chi con motivazioni di tipo personale. Nel tuo caso, quale è stata la molla che ti ha portato a iniziare il viaggio? E perché proprio il Cammino di Santiago?
Venivo da un periodo molto difficile, la mia vita è sempre stata in salita e per lo più ad ostacoli; e uno di questi fu l’ennesimo intervento subito. Per quanto non si possa pensare, stare in ospedale mesi ti porta a perder contatto con quella realtà che magari piano piano ti eri costruito. Una mattina come tante mia sorella Chiara viene a trovarmi e mi porta un libro: “Il Cammino di Santiago” di P. Coelho... Non ero un gran lettore ma lessi quel libro… e mentre lo facevo mi rendevo conto che qualcosa dentro di me stava cambiando. Una frase mi colpì molto: “Le persone giungono nei luoghi nel momento preciso in cui sono attese”. Probabilmente quel libro attendeva me, o ero io ad attendere lui proprio in quel momento.
Finito di leggerlo mi son detto: “Probabilmente è l'ennesimo tentativo buttato via per cambiare la mia vita, o forse no! Magari non servirà, però io da oggi lavoro per me, per mettermi in condizioni fisiche e psicologiche per percorrere il Cammino di Santiago”
.

Anche fisicamente è un’impresa che comporta un grande allenamento e sforzo. Come ti sei preparato per il cammino? Chi ti ha seguito e accompagnato in questa avventura?
Prima di partire per il Cammino sapevo che dovevo “mettere sulle spalle” almeno la metà dei km che mi accingevo a percorrere. In realtà mi allenai per quasi il doppio. Non son mai stato uno sportivo e assieme a degli amici pianificai un allenamento molto intenso: 3 mesi di palestra, 2 mesi di Crank-cycle e nei week end uscivo in bicicletta con Jhonny, un caro amico. Col senno di poi credo che la vera differenza sia stata nel frequentare un corso di Cranking.
All’inizio dovevo partire con due persone che però all’ultimo non se la sono sentita. Così la mia famiglia, punto nevralgico dei miei valori, ancora una volta senza batter ciglio mi è stata accanto. Mio padre e mia madre mi hanno detto: “Non preoccuparti, partiamo noi con te!”. E cosi… con Yari Zardini, un caro amico di origini galiziane, mamma e papà siamo partiti. Noi ragazzi pedalavamo e mamma, con la nostra jeep, ci seguiva per il supporto. E’ stato un team eccezionale… il vissuto ce lo portiamo tutt’oggi nei nostri cuori e me ne accorgo tutte le volte che parliamo del Cammino e guardo negli occhi loro.

Il Cammino è anche e soprattutto incontri. Lungo i 973 Km si incontrano molti pellegrini, coi quali ci si scambia solo un saluto o si intrecciano amicizie. Chi hai incontrato lungo il tuo cammino?
Lungo il cammino son tanti gli aneddoti che ti investono, tanti gli incontri che mai scorderai.
E mai scorderò Pino: aveva passato una vita a parlare sempre troppo. Ora percorreva il cammino comunicando con dei biglietti: non avrebbe proferito parola sino alla Cattedrale di Santiago de Compostela. E quando io lo incontrai sotto la Cruz de Hierro, fu con dei biglietti che facemmo amicizia e percorremmo poi parte di quella tappa.
Incontrai poi tantissimi altri pellegrini, tra cui Hans: un signore sulla settantina che aveva avuto tutto dalla vita: percorreva il Cammino sino alle spoglie di San Giacomo per ringraziarlo. Incontrai Pedro, ma vedendo sul suo manubrio la foto di un bambino piccolo… forse il figlio… non gli chiesi mai nulla. I nostri occhi comunicavano con le emozioni. Ancora oggi mi commuovo pensando a lui. Incontrai Padre Ignazio in un convento Francescano che mi donò molto di più del suo rosario (che ancora oggi porto al collo); mi raccontò una storia, la sua… e mi disse che mi stava attendendo. Fu la prima volta che piansi sul cammino.
E alla fine, sulla strada del ritorno forse l’incontro più atteso: durante il cammino vedevo le persone aiutare me; mi chiedevo quando sarebbe giunto il mio turno, se mai sarebbe giunta la mia occasione per aiutare gli altri. Ebbene, dopo Santiago e poi Finisterre, proprio quando meno me lo aspettavo... sulla via del ritorno... fermandomi a Moratinos conobbi un pellegrino francese sordo. Quando fummo a tavola, vedendo che parlavo fluente Francese e un poco di Spagnolo mi chiese se lo aiutavo ad interagire con gli altri pellegrini. E fu così che per la prima volta riuscii ad aiutare un altro pellegrino. Fu molto emozionante per me.


In che modo, se è successo, questa esperienza ti ha cambiato? La consiglieresti? Se sì, perché?
“Ero in cerca di qualcosa e non sapevo cosa. E prima che potessi trovarla… lei trovò me!” Queste le parole con cui ho sempre descritto il mio salto nel vuoto, il mio cambiamento. Non ricordo molto di quel giorno, se non che mi accingevo ad affrontare l’Alto do Cebreiro, una delle vette più difficili del cammino. Avrei dovuto salire oltre i 1300m e quella mattina un forte dolore alla spalla mi fece fermare. Mi spalmai dell’arnica e ripresi a pedalare. Faceva freddo, le nuvole piano piano sembravano volerci inghiottire ma io, come tutti gli altri giorni, non pensavo altro che a capire cosa mi avesse donato quel giorno il mio Cammino. E prima che me ne rendessi conto, lungo l’ennesima salita cominciai a piangere. Pedalavo e piangevo e sentivo il mio cuore chiedere scusa. Tutto il veleno che avevo dentro sembrava come evaporare. Non capivo, ma pedalavo e piangevo allo stesso tempo sotto gli occhiali neri.
Quando parlo alle persone del Cammino, del mio Cammino dico sempre che è una cosa da fare, da rifare e da consigliare di fare. Quindi certo che sì, lo consiglio ai ragazzi che magari si approcciano alla vita da un punto di vista nuovo. Io sono un ragazzo normalissimo e tramite FreeWheels un giorno vorrei poter vedere tanti Pietro Scidurlo, tanti ragazzi che trovano il coraggio di agire e reagire. "DARE TO ACT!" dico sempre. Abbiate il coraggio di agire e reagire, fate il primo passo… solo così vi renderete conto di quanto sarebbe stato pauroso rimanere fermi. Solo così potrete superare le vostre paure. E’ questo quello che mi ha insegnato il Cammino. Ma in realtà è un messaggio che vorrei colpisse trasversalmente tutte le persone.

Questo tuo percorso, del tutto individuale, ti ha portato anche a proiettare verso l’esterno l’entusiasmo e la voglia di andare oltre le barriere. Mi riferisco all’associazioni Free Wheels, che tu stesso hai fondato.
FreeWheels Onlus (http://www.freewheels.it/) è un’associazione che si propone di incentivare lo sviluppo dell’indipendenza fisica e sociale di persone con disabilità. Vorremmo fare in modo che tanti ragazzi disabili che pensano che la loro vita finisca su un divano, provassero a fare il primo passo. Ad agire e reagire. Io per primo, non ho la forza e quella costanza fisica e mentale da aspirare a competizioni internazionali. Quindi, forte del mio percorso di vita, e poi del Cammino, mi son detto: “Ma se l’ho fatto io... dal basso della mia semplicità, umiltà e anonimato, magari raccontandolo a tutti, posso permettere ad altri di trovare quella forza in loro stessi per cambiare la loro vita. E magari questa cosa come ha aiutato me... può aiutare anche loro.


So che hai intenzione di bissare l’impresa. In quanto seconda volta, sarà diversa come esperienza. Lo sarà anche dal punto di vista pratico? A quando la partenza?
Sì ho intenzione di rifare il cammino; ogni anno se mi sarà possibile proverò ad incamminarmi. Ai primi di Giugno, io e un altro ragazzo, di nome Federico, dovremmo partire di nuovo in handbike. Partire nuovamente sarà l’ennesima occasione per raccogliere quelle informazioni turistiche sull’accessibilità di altri alberghi del pellegrino e privati, col fine di raccogliere materiale per il mio tanto rincorso sogno di una guida vista attraverso i miei occhi di persona con disabilità.
Siamo, sì, alle soglie della partenza ma ancora abbiamo alcune difficoltà da superare. Una tra tutte è un mezzo di supporto, come può essere un pulmino: abbiamo contattato tante aziende ma ancora una risposta certa non c’è, speriamo arrivi presto. Un secondo accompagnatore che guidi il pulmino di supporto, un’ottima opportunità per vivere il cammino in modo differente, avvicinandosi alla nostra realtà e al nostro punto di vista. E magari qualche sponsor per le coprire le spese. Per chiunque voglia aiutarci in questo, potete scriverci a pietro.scidurlo@gmail.com o info@freewheels.it o chiamare al 340-3914360 dopo le 14:00.

di Francesca Martin

23 maggio 2013


FONTE: disabile.com
http://www.disabili.com/amici-e-incontri/articoli-amici/28366-controvento-sul-cammino-di-santiago-a-ruote-libere-per-rinascere-e-tornare-#.Uddl0KzX-_J



Una storia bellissima quella di Pietro Scidurlo, che merita veramente di essere conosciuta. Una storia di volontà, coraggio, determinazione.... e anche di conversione personale, un cambiamento di sè stessi verso qualcosa di nuovo, di diverso e di migliore.
In data odierna Pietro dovrebbe già aver realizzato il suo secondo viaggio verso Santiago di Compostela, oppure essere in viaggio di ritorno da esso..... da parte mia faccio i miei più sinceri AUGURI a Pietro, affinchè questo secondo viaggio possa essere stato ancor più ricco di sensazioni, emozioni ed esperienze da raccontare rispetto al primo, tanti Doni da portarsi nel cuore per tutto il resto della vita.

Marco

giovedì 4 luglio 2013

Un amore lungo 82 anni. Si erano scelti da bambini... solo la morte li ha separati


MILANO - Una storia d’amore lunga ottantadue anni è quasi un altopiano della memoria. E Concetto Bucceri, novant’anni, ogni notte sogna la compagna di tutta una vita, scomparsa a novembre. I Concetti, come li chiamano con affetto le tre figlie, si erano scelti a Taormina, quando lei aveva quattro anni e lui sette. È il 1930 e qualcuno chiede alla piccola: «Chi ti piace di tutti questi bambini?». Senza esitazioni lei punta il dito proprio su Concetto. Da quel gesto nasce tutto, raccontano dei genitori Carmen e Nunzia, e da quel giorno giocheranno insieme.

Il primo bacio in spiaggia, di nascosto. Sono trascorsi dieci anni da quel dito puntato, lei ha 14 anni, lui 17. Ma è il 1940 e Concetto va in guerra. Solo per miracolo evita il fronte, finendo comunque a fare il panettiere per la fanteria, prima in Corsica, poi in Sardegna. In quattro anni di assenza appena può le scrive. Lettere, cartoline, pensieri. Dopo la Liberazione, contratta la malaria e finito in coma all’ospedale di Napoli, guarisce, torna a casa e riabbraccia Concetta.

Ma in sicilia non c’è lavoro. Così parte da solo per il Nord, dove scoprirà la neve. Lasciando libera Concetta. «Non volevo imporle di aspettarmi. Senza lavoro, non potevo darle un futuro». Arriva a Bernareggio, trova impieghi saltuari, alla cartiera e alle acque minerali, quindi fa il fuochista per caldaie a Milano. Passano otto lunghissimi anni in cui lui, bel moro del Sud, viene corteggiato senza ritegno. Ma a tutte dice: «Il mio cuore non è libero». Anche Concetta vede solo il suo fantasma.

Nel ’55 lo assume a tempo indeterminato la Vigilanza Città di Milano. Lui prende il treno, va dritto a casa di lei e la famiglia lo invita a pranzo. Quel giorno le chiede di sposarlo. Il 12 maggio ’56 i due sono in chiesa, subito dopo andranno a Roma in viaggio di nozze, per un giorno, poi poseranno le valigie in un abbaino di via Morgagni, a Milano.

Dal matrimonio, oltre a Carmen e Nunzia, nascerà anche Giusi e nel ’68 la famiglia si sposterà nella casa attuale di via Aselli, Città Studi. Concetta fa il mestiere che le hanno insegnato nell’infanzia, al Sud: cuce in casa, soprattutto occhielli per camicie. Sei anni fa, dopo alcuni malesseri, la diagnosi: fibrosi polmonare idiopatica, malattia rara e degenerativa delle vie respiratorie, che nella sua progressione toglie il fiato, fino a soffocare.

L’unica terapia è la bombola ad ossigeno, ma Concetta non perde la sua innata eleganza. Lui le è sempre accanto e ogni giorno, come sempre, al mattino per prima cosa le prende la mano: «Buongiorno, signora». Il caffè, servito con il cucchiaino e il latte, a letto. Un fiore. Mai una galanteria di meno. Fino a quel 2 novembre 2012, l’ultimo mattino. «Eri pura luce», scrive uno che le voleva bene, sul registro dei saluti. «È venuta meno la mia vita - dice Concetto - Mi sento sempre quel dito puntato addosso».

Le figlie provano a rincuorarlo. «Papà, ci siamo anche noi, siamo una parte di mamma». Lui abbozza mezzo sorriso. Al pomeriggio esce con loro a fare due passi, la vista gli impedisce di farlo da solo. Ha una gran fretta di ritrovare quello sguardo. Ma sa anche che ha tutta l’Eternità per assaporare migliaia di ricordi, la luce tra le foglie, l’odore della neve, il caffè insieme. Il prossimo bacio, ad occhi chiusi.

di Enrico Fovanna

10 aprile 2013

FONTE: ilgiorno.it

http://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/2013/04/10/871739-milano-amore-bambini-morte-concetto.shtml?ssidc=tmpjdbrkbb&wt_rtgx=CMP01_VV.EXP01 


Una storia bellissima, toccante.... una storia d'Amore con la "A" maiuscola che ci insegna, se ancora ce ne fosse bisogno, che l'Amore Vero, quello che dura per sempre, esiste veramente, non è una chimera, ma una bellissima realtà.
Certo, l'Amore non è una passeggiata.... esso va costruito su solide basi, va nutrito, rivitalizzato.... è come una piantina che ha bisogno di cure costanti per rimanere in vita. Queste cure, fatte di gentilezza, di dolcezza, di premure costanti, anche se di mezzo c'è una malattia aggressiva come la fibrosi polmonare, non sono mai mancate in casa Bucceri, ed ecco svelato il "segreto" del loro rapporto durato oltre 80 anni e che solo la morte ha interrotto. La morte ha interrotto la loro vita insieme, ma non il loro Amore.... quello c'è ancora, quello ci sarà per sempre !

Marco
  

lunedì 1 luglio 2013

La piccola Chanel ha bisogno di noi


Chanel Bocconi è una bambina di due anni, nata il 21 marzo 2011.
Inizialmente Chanel sembra una bimba sana come tutte le altre, poi quando inizia a muovere i primi passi, i genitori Simone Bocconi e Viviana Cunegondi, si accorgono che zoppica con una gamba. Inizia allora un lungo pellegrinaggio fra vari medici e ospedali per capire che cos'ha la bambina, finchè si giunge all'ospedale Rizzoli di Bologna dove arriva la dolorosa diagnosi: Fibrosi aggressiva, una rara forma tumorale che sta portando la bambina alla paresi. I tumori sono 3 e, come detto, sono di tipo aggressivo, non possono essere tolti perché recidivi e non possono neppure essere toccati perché si potrebbe riattivare la malattia e potrebbero espandersi verso altri canali, anche vitali.
L’unica cosa che al momento è dato di fare per Chanel è un intervento di protesi muscolare, da eseguire però in un punto dove non ci sono tumori, che servirà per permettere alla gamba della bambina di stendersi, in quanto la piccola non riesce più a raddrizzare il ginocchio. Fatto questo la piccola dovrà essere ingessata dal bacino alle caviglie (per dei mesi) e nel frattempo le masse tumorali andranno tenute sotto controllo attraverso risonanze magnetiche da ripetere periodicamente, nella speranza che non aumentino di volume. Intanto la bambina viene curata con costose sedute di osteopati e fisiatri che l'aiutano a scongiurare la paresi e a sopportare i dolori lancinanti che purtroppo la colpiscono in vari momenti.
Le conseguenze che questi tumori hanno portato a Chanel, sono l'intestino deviato, il bacino storto, l'inguine retratto e tutti gli organi interni spostati.


La famiglia di Chanel non si è arresa alla dolorosa diagnosi dell'ospedale di Bologna (dove non le hanno dato alcuna speranza di guarigione) ed hanno iniziato incessantemente a cercare una possibilità di cura per la loro bambina, fino a venire a conoscenza di un ospedale pediatrico a Boston, nel Massachusetts (USA), il Children’s Hospital Boston, (tra i più importanti e prestigiosi ospedali pediatrici degli Usa affiliato alla Harvard Medical School), dove studiano questa malattia (nonostante che essa colpisca solo 2 persone ogni 100.000) e lo contattano immediatamente. In quest'ospedale hanno una cura accertata per questa rara malattia, e dato che la bambina non ha ancora tumori in zone vitali (come l'addome), si sentono dire che per ora non è a rischio della vita, ma che occorre muoversi tempestivamente perchè la situazione potrebbe aggravarsi in quanto nei bambini i tumori si propagano velocemente. Si riaccende la speranza! I genitori di Chanel inviano tutti i referti medici all'ospedale di Boston e ora attendono con ansia di partire per gli Stati Uniti per una prima visita che confermi quanto detto loro attraverso il primo contatto telefonico.


Purtroppo, come spesso accade in queste vicende, sia la visita che la cura in quest'ospedale (che potrà avvenire solo dopo l'operazione e l'ingessatura della bambina) hanno dei costi elevatissimi..... ma la generosità e l'altruismo degli italiani ancora una volta non si sono fatti attendere, e attorno a Chanel Bocconi e alla sua famiglia s'è creata una vasta rete di solidarietà che ha coinvolto tutta Senigallia, il loro paese... e anche oltre. Questa catena di solidarietà è passata attraverso cene di quartiere, raccolte spontanee di fondi, interessamento di associazioni di volontariato, mostre fotografiche, eventi sportivi, concerti e aste online.
Anche personaggi famosi si sono mobilitati per aiutare la piccola Chanel; tra questi il campione di motociclismo Valentino Rossi che ha donato un suo casco autografato, indossato in una delle sue ultime gare. L’asta di beneficenza per il casco dovrebbe svolgersi su e-Bay, appena si sarà compiuto l’iter burocratico che per le aste di beneficenza che è più complicato di quello necessario per le aste ordinarie.
Tra i primi noti sostenitori della raccolta fondi per far curare Chanel in America, ci sono stati anche l’attrice Barbara De Rossi e la conduttrice televisiva Antonella Clerici, attraverso la quale sono stati contattati i medici dell’ospedale “Bambin Gesù” di Roma, che poi hanno visitato Chanel e hanno indicato la strada dell’ospedale di Boston per le cure necessarie alla bambina.

Quella della piccola Chanel è una corsa contro il tempo e ogni aiuto che riceve è oro colato per lei e per la sua famiglia.
Ciascuno di noi può dare il proprio contributo, donando la propria “goccia”, per piccola o grande che sia, a queste coordinate:

IBAN: IT 33 O 03075 01603 CC8000 501923 (NB: la O nella parte IT 33 O 03075 è una lettera, NON uno zero), presso Banca Generali
Intestatari: Bocconi Simone e Cunegondi Viviana
Causale: “Contributo per le cure di Chanel”

Per chi vive all'estero:

IBAN: IT 33 O 03075 01603 CC8000 501923 presso Banca Generali
Codice BIC SWIFT BGEN IT 2T
Intestatari: Bocconi Simone e Cunegondi Viviana
Causale: “Contributo per le cure di Chanel”



E’ possibile dare un contributo anche tramite carta Poste Pay:

N° carta (nuovo numero): 4023 6006 3728 8202
Intestataria: Viviana Cunegondi
Codice Fiscale: CNGVVN74P65F205N


Per chi vuole c'è anche la possibilità di donare il 5x1000 della nostra dichiarazione dei redditi a favore della piccola Chanel.
Lo si può fare intestandola alla

Fondazione Maria Grazia Balducci Rossi.
Codice fiscale:  92021780421

Una parte della somma sarà devoluta alla piccola Chanel dall'associazione.



Per conoscere meglio la storia della piccola Chanel, gli eventi che si organizzano a suo favore e seguire la raccolta fondi, si può andare sul suo blog personale:
http://www.aiutiamochanel.blogspot.it/

o attraverso questo blog:
http://www.lestanzeletterarie.blogspot.it/2013/04/aiutiamo-chanel.html

Si può anche iscriversi alla sua pagina facebook “beneficenza per curare Chanel Bocconi”:
https://www.facebook.com/groups/453926731351576/

o sulla sua pagina Twitter:
https://twitter.com/search?q=%23AiutiamoChanel&src=hash


Personalmente mi sento di dare il mio “grazie” a tutti coloro che finora hanno aiutato (e sono tanti) la piccola Chanel nella sua battaglia contro la terribile malattia che l'ha colpita.... e a tutti coloro che ancora lo faranno, perchè la strada da percorrere è ancora lunga e irta di difficoltà.
Ma tutti insieme, uniti a Chanel e alla sua famiglia, possiamo fare questo miracolo, un miracolo di Solidarietà e di Amore, e lo possiamo fare in vari modi: donando un contributo in denaro, organizzando eventi (sempre con il consenso della sua famiglia) o partecipando a quelli che verranno organizzati, divulgando la sua storia a parenti, amici e conoscenti o, meglio ancora, a istituzioni e mass media. Ciascuno può fare la sua parte, nessuno escluso, in base alle proprie possibilità.

Marco


FONTI: ilrestodelcarlino.it/pesaro, senigallianotizie.it, la Gazzetta di Parma, facebook.com, lestanzeletterarie.blogspot.it, aiutiamochanel.blogspot.it